venerdì 31 maggio 2019

Cannes 2019 - Bong Joon-ho vuole incontrare Gianni Morandi. La risposta del cantante.

Con il suo ultimo film, Parasite, regista coreano Bong Joon-ho ha appena coronato un suo sogno, vincere il Festival di Cannes, ora però ha espresso un altro grande desiderio: conoscere Gianni Morandi!

Può sembrare una notizia surreale ma c'è un punto d'incontro tra i due. Nella colonna sonora film che ha vinto la Palma d'Oro 2019 e che ha ricevuto applausi ed elogi da critica e pubblico, c'è la canzone "In Ginocchio da Te" di Gianni Morandi, che accompagna non una scena a caso ma quella finale. Una scelta molto particolare, che ha sorpreso non poco gli italiani presenti, ma perfettamente sensata all'interno della storia.

Dopo la vittoria, con la Palma ancora tra le braccia, Bong Joon-ho ha dichiarato pubblicamente a tutti i giornalisti italiani che ha incontrato di essere un grande fan del cantante e di volerlo incontrare. Ovviamente non possiamo non chiederci come e quanto Bong Joon-ho è diventato fan di Morandi. Comunque, la dichiarazione e la richiesta del regista è arrivata, tramite il distributore italiano del film (Academy Two), fino a Gianni Morandi, che si è detto molto sorpreso. "Mi vuole conoscere?", ha dichiarato il celebre cantante, "Sono sorpreso e contento. Magari vado io da lui, potrebbe essere l'occasione per un tour in Sud Corea, dove non sono mai stato". Morandi ha postato su Facebook un video omaggio al film vincitore, accompagnato ovviamente dalla canzone "In Ginocchio da Te".

A questo punto possiamo solo sperare che l'incontro avvenga presto, sarebbe un momento bellissimo.

Ufficiale: Robert Pattinson sarà Batman

E' ufficiale, Robert Pattinson sarà il nuovo Batman nel film che sarà diretto da Matt Reeves.

Il nome dell'attore è sempre stato presente nella shortlist per il film The Batman, e tra i nomi presenti è stato considerato fin da subito come il favorito. La descrizione del tipo di attore cercato dalla produzione infatti combaciava perfettamente con Pattinson.

Nei giorni scorsi era stata diffusa la notizia dell'inizio delle trattative tra le due parti, ma stando agli ultimi rumor, la decisione definitiva è arrivata solo ieri. Questa mattina infatti si era diffusa la notizia secondo la quale la produzione era indecisa tra Robert Pattinson e Nicholas Hoult, tanto da aver richiesto ai due attori di sostenere un ultimo provino video. Ieri la riunione finale della produzione e la decisione: sarà Robert Pattinson.
Le trattative finali tra le due parti sarebbero già iniziate, con l'attore che dovrebbe firmare un contratto per tre film. I detrattori dell'attore, che avevano già fatto partire petizioni online per chiederne la sostituzione, dovranno mettersi l'anima in pace. Ricordiamo che a suo tempo, anche la scelta di Heath Ledger come Joker venne molto criticata, poi abbiamo visto cosa ha saputo creare.

Robert Pattinson ha 33 anni, due in più di Christian Bale in Batman Begins e molti meno dell'ultimo Batman di Ben Affleck.
Del film The Batman si sa ancora molto poco, tempo fa Matt Reeves ha dichiarato che il suo film sarà meno "supereroistico" e più noir, con un Bruce Wayne più giovane e un Batman più "detective".

Le riprese dovrebbero partire in autunno.

Rocketman - la recensione

È arrivato anche il turno di Elton John. Rocketman è sbarcato nelle sale con un'energia decisamente travolgente.

Seppur con uno "scheletro" abbastanza classico, riconducibile allo stile dei biopic, il film di Dexter Fletcher mescola le sue carte con il musical puro, creando qualcosa di inedito (o quasi), fresco e ben congegnato. Il film è in grado di far entrare lo spettatore in maniera molto consapevole nella mente del noto artista britannico, interpretato da un credibilissimo ed estremamente talentuoso Taron Egerton, anche (e soprattutto) nelle performance vocali.

Vita, musica, performance, amore. Il tutto viene messo in scena con una delicatezza, un ritmo e una schiettezza tali da non poter rimanere indifferenti a ciò che ci viene mostrato. Funziona tutto, anche grazie ad un reparto tecnico e di supporto attoriale di alto livello. I costumi e le coreografie incorniciano la vita sfarzosa e sfrenata di Elton John, dall'inizio alla fine di questo onesto e suggestivo viaggio chiamato Rocketman. Appare chiara l'intenzione di raccontare la vita dell'artista con un occhio più fantasioso, quasi surreale rispetto a progetti di questo tipo. Meno didascalico e più "fantasy". Non a caso ci viene presentato come un racconto "basato su una vera fantasia".

Rocketman è probabilmente il biopic musicale più riuscito e coinvolgente degli ultimi anni.


giovedì 30 maggio 2019

Anche Boy George avrà il suo biopic

Forse era inevitabile che il fenomeno dilagasse, fatto sta che dopo il grande successo di Bohemian Rhapsody, biopic su Freddie Mercury e i Queen, e l'imminente uscita di Rocketman, la storia di Elton John, un altro cantante potrebbe sbarcare presto al cinema.

Si tratta di Boy George, uno dei cantanti che ha segnato gli anni '80. Secondo quanto riporta Deadline, la MGM sarebbe già al lavoro su un film che racconti la storia del cantante britannico di origini irlandesi, dalle umili origini fino al grande successo con i Culture Club, tra eccessi e cadute.
E' già stato scelto il regista, si tratta di Sacha Gervasi, che nel 2012 ha diretto Hitchcock, incentrato sul grande regista. "Non c'è un regista più adatto di Sacha Gervasi per raccontare la storia di Boy George con l'irriverenza e l'emotività che merita", ha dichiarato Jonathan Glickman, capo della MGM, "Non vediamo l'ora di lavorare con lui per portare agli spettatori di tutto il mondo questa storia straordinariamente onesta ed estremamente divertente". Ora aspettiamo si conoscere il nome dell'attore che si calerà nei panni di Boy George.

Quello su Boy George non è l'unico biopic su un cantante in preparazione alla MGM, infatti si sta già lavorando a un film sulla vita di Aretha Franklin.

Bohemian Rhapsody ha aperto la via, Rocketman l'ha assestata, ora la strada sembra essere libera e percorribile per tutti i biopic musicali possibili.

mercoledì 29 maggio 2019

Dolor y Gloria - la recensione

Torna dopo tre anni Pedro Almodovar e lo fa con un film che più autobiografico non si può, una vera e propria confessione su pellicola, una messa a nudo di se stessi a 360 gradi, dai malanni dolorosi del corpo a quelli forse ancora più dolorosi dell'anima. 
E non è un caso, infatti, che una confessione di questo tipo arrivi con la musa Penelope Cruz e l'amico Antonio Banderas, nel festival che lo ha lanciato e che è sempre stato il suo festival, ovvero Cannes.


Salvador, palese alter ego del regista, è un uomo tormentato da dolori fisici e che si ritrova sulla soglia della vecchiaia a rivalutare la sua vita, partendo dall'infanzia, al suo rapporto con la madre e con il cinema, e la sua sessualità. Non vediamo mai la "gloria" del titolo, sappiamo e conosciamo l'apice del successo, ne vediamo solo il prima e il dopo, intrecciati in una serie di rimandi, ricordi e suggestioni meta narrative che creano un'atmosfera intima da cui è difficile non farsi avvolgere.
Antonio Banderas, rinato anche lui alla gloria, vincitore del premio come migliore attore a Cannes e in profumo di nomination all'Oscar, è l'anima e il corpo del suo regista, e riesce a essere incredibilmente intenso anche con pochi sguardi, a partire dalla scena iniziale in cui lo vediamo galleggiare, senza peso, in una piscina.



Molto si è detto circa il fatto che per apprezzare davvero questo film, la conoscenza dell'opera dell'autore spagnolo sia necessaria, ma sarebbe una cosa sbagliata ridurre Dolor y Gloria a un puro gioco di citazioni dei precedenti film, o a una semplice autobiografia. Se è vero che la conoscenza pregressa del cinema di Almodovar permette di poter godere di molti rimandi visivi e di riconoscere nella centralità del corpo uno dei temi a lui più cari (la sensualità in primis, ma qui il corpo a tutto tondo, inteso per se stesso), non si può non trovare il film bellissimo in ogni caso, perché oltre l'aspetto più intimo e personale, si gode di una storia che parla a ognuno di noi in modi diversi ma con uguale efficacia, grazie alle immagini e alle parole e al di là della produzione precedente del regista.


Un film potente, intimo e commovente che mette a nudo il suo autore grazie a uno straordinario Antonio Banderas, volto e soprattutto corpo del suo alter ego su schermo. Chi ama Pedro Almodovar non potrà non considerare questo come probabilmente il suo film più bello, chi vi si approccia per la prima volta non vedrà l'ora di recuperarne la filmografia, in ogni caso non si può rimanere indifferenti.

lunedì 27 maggio 2019

Nastro d'Argento 2019 al film Sulla Mia Pelle

E' stato uno dei film più importanti dello scorso anno, non solo a livello cinematografico, e il prossimo 30 maggio il Sindacato dei Giornalisti Cinematografici Italiani consegnerà a Sulla Mia Pelle il Nastro d'Argento 2019.

"Un film necessario, emozionante, coraggioso che, oltre il valore artistico, ha impresso una svolta determinante nel caso anche giudiziario della tragica, sconvolgente vicenda di Stefano Cucchi", questa la motivazione della SNGCI, che ha poi sottolineato il valore di "una ricostruzione oggettiva che, oltre la battaglia per la verità di Ilaria Cucchi, ha messo in scena con toccante semplicità anche il racconto del dramma privato di una famiglia che, nella sua sofferenza, non si è mai arresa".

"La prova eccezionale di Alessandro Borghi e l’interpretazione di Jasmine Trinca, nel coro di un ottimo cast, sono la conferma – con l’impegno dei produttori e dell’intera squadra che ha affiancato il regista – che un altro cinema, in questo Paese, è possibile", ha aggiunto Laura Delli Colli, presidente del sindacato, "Ed è stato certamente importante, in questo caso, oltre la sala, anche il contributo di Netflix che ha diffuso il film sulla sua piattaforma in 190 paesi".

Un premio collettivo che sarà ritirato durante la cerimonia al MAXXI di Roma, dal regista Alessio Cremonini, i protagonisti Alessandro Borghi e Jasmine Trinca, per la produzione Andrea Occhipinti (Lucky Red), Luigi e Olivia Musini (per Cinemaundici), per la sceneggiatura Lisa Nur Sultan (autrice insieme al regista), e al direttore della fotografia Matteo Cocco.

Presentato al Festival di Venezia 2018, il film ha già ricevuto quattro David di Donatello 2019, al regista esordiente, produttore, attore protagonista (Borghi) e il David Giovani. Il film è disponibile su Netflix.

Box office Italia: Aladdin si prende la vetta

Il nuovo live action della Disney conquista il box office italiano. Aladdin si piazza al primo posto con un incasso di 6.4 milioni di euro raccolti in cinque giorni.
Miglior debutto dell'anno dopo Avengers: Endgame, ma non il migliore esordio per un live action Disney (La Bella e la Bestia, 7 milioni in quattro giorni).

Grazie anche alla presentazione al Festival di Cannes, ottimo esordio al secondo posto per il film italiano Il Traditore, con 1.4 milioni di euro. Scende al terzo posto Dolor Y Gloria di Almodovar, con il totale che sale a 2.1 milioni di euro.

Scende al quarto posto John Wick 3 – Parabellum, che fino ad oggi ha raccolto 2.6 milioni di euro in totale. Chiude la cinquina la commedia Attenti a Quelle Due, il cui incasso totale sale a 1.4 milioni di euro.

Aladdin debutta in testa al box office USA

Ottimo esordio per la versione live action di Aladdin, diretta da Guy Ritchie. Il film si prende subito il primo posto del box office USA con un incasso di 86 milioni di dollari raccolti tra venerdì e domenica. Il weekend negli Stati Uniti però non è ancora finito, oggi si festeggia il Memorial Day e si stima che l'incasso del film potrebbe salire fino a 105 milioni.
Bene anche nel resto del mondo, dove il film ha incassato 121 milioni di dollari, per un totale di 207 milioni raccolti in quattro giorni.

Al secondo posto scala John Wick 3 – Parabellum, che sale a 100.1 milioni di dollari e a 175 milioni nel mondo. Resiste al terzo posto Avengers: Endgame, con il totale che sale a 798 milioni di dollari, a livello mondiale invece il film è a 2.76 miliardi di dollari. Il record di Avatar è molto vicino ma potrebbe anche non riuscire a superarlo.

Quarto posto per Pokémon – Detective Pikachu, il cui incasso totale sale a 116 milioni negli USA e a 352 nel mondo. Chiude la cinquina la new entry L’Angelo del Male – Brightburn, con 7.5 milioni di dollari incassati negli USA e 15.3 in tutto il mondo.

domenica 26 maggio 2019

Aladdin - la recensione

Aladdin, ennesimo rifacimento in live-action di un classico Disney. Questa volta l'impresa era molto ardua, visto l'affetto del pubblico per il film animato del 1992. I primi materiali promozionali non brillavano di qualità, e anche per questo le aspettative non erano esageratamente alte, anzi.

Guy Ritchie (Sherlock Holmes), tuttavia, è riuscito in qualche modo a sorprendere anche (e forse) i più scettici. Le avventure dello "straccione" più noto del panorama Disney prendono vita in questo lungometraggio in "carne ed ossa", che ripropone la stessa identica storia dell'amato classico con qualche aggiunta e qualche modifica, funzionale all'economia generale della narrazione (con un occhio ai tempi moderni odierni).

Il cast fa il suo lavoro, da Mena Massoud, un Aladdin fresco, sorridente e abbastanza carismatico, fino a Naomi Scott, una Jasmine con le sue passioni e convinzioni, condite da un pizzico di girl power che ben si amalgama allo spirito del suo personaggio. Menzione speciale, ovviamente, per il Genio di Will Smith. Divertente e ben rappresentato, anche visivamente, sul grande schermo. Smith rimane Smith, su quello non ci piove. Non è l'interpretazione della sua vita, ciononostante risulta credibile e ben inserito nel contesto da "notti d'Oriente".

Ciò che tuttavia stona un po' nell'insieme è proprio l'atmosfera "notti d'Oriente", che in questo progetto viene fortemente mixata a elementi "indianeggianti", in maniera quasi del tutto ingiustificata. Della parte tecnica, che presenta questo bizzarro mix, si salvano solo i costumi (e non tutti), colorati e sgargianti. Il secondo punto debole (in parte) è Jafar, interpretato da Marwan Kenzari. Un villain a cui è stato dato un background coerente e lineare, ma che non riesce a riproporre il carisma del malvagio Jafar originale. Un punto per l'impegno, ma avrebbero potuto renderlo più diabolico.



Inutile (o forse no) elogiare la colonna sonora. Nuovo arrangiamento, nuove parole (almeno nella versione italiana) ma stesso spirito. Alan Menken non ha bisogno di presentazioni o particolari elogi. Tuttavia il suo lavoro è sicuramente la punta di diamante dell'intera opera, anche quando va a comporre una nuova canzone dedicata interamente a Jasmine (molto orecchiabile, quasi radiofonica).

Aladdin non aveva delle buone premesse, su questo non ci piove, ma sicuramente, dopo averlo visto, non può non essere inserito tra i "live action" più riusciti finora.

sabato 25 maggio 2019

Cannes 2019 - Palma d'oro a Parasite di Bong Joon-ho

Si è conclusa poco fa la 72a edizione del Festival di Cannes. La Palma d'Oro 2019 è stata assegnata al film Parasite (Gisaengchung) del regista coreano Bong Joon-ho.

Un vincitore quasi annunciato, il film era da tutti considerato il favorito, ha ricevuto subito delle recensioni entusiastiche, conquistando critica e pubblico.
Altro vincitore annunciato, Antonio Banderas, che ha ricevuto il premio come migliore attore per la sua ottima performance nel film Dolor y Gloria di Almodovar. Migliore attrice la britannica Emily Beecham per il film Little Joe.

Resta a mani vuote Quentin Tarantino con il suo C'era una Volta a Hollywood (che però ha vinto la Palm Dog per il miglior cane in un film, premio ritirato dallo stesso regista). Nessun premio anche per l'unico film italiano in Concorso, Il Traditore di Bellocchio.

Ecco tutti i vincitori, del Concorso e della sezione Un Certain Regard.

Palma d’Oro: “Parasite,” Bong Joon-ho
Grand Prix: “Atlantique,” Mati Diop
Gran Premio della Giuria: “Les Misérables” (Ladj Ly) e “Bacurau” (Kleber Mendonça Filho, Juliano Dornelles)
Migliore attrice: Emily Beecham, “Little Joe”
Miglior attore: Antonio Banderas, “Dolor Y Gloria”
Miglior regista: Jean-Pierre & Luc Dardenne, “Young Ahmed”
Miglior sceneggiatura: “Portrait of a Lady on Fire,” Céline Sciamma
Menzione speciale della giuria: “It Must Be Heaven,” Elia Suleiman
Camera d’Or: “Our Mothers,” César Díaz
Palma d’Oro al cortometraggio: “The Distance Between Us And The Sky,” Vasilis Kekatos
Menzione speciale della giuria: “Monstruo Dios,” Agustina San

Queer Palm (lungometraggio): “Portrait of a Lady on Fire,” Céline Sciamma
Queer Palm (cortometraggio): “The Distance Between Us And The Sky,” Vasilis Kekatos

Un Certain Regard Award: The Invisible Life of Eurídice Gusmão by Karim Aïnouz
Un Certain Regard Jury Prize: Fire Will Come by Oliver Laxe
Un Certain Regard Award for Best Director: Kantemir Balagov for Beanpole
Un Certain Regard Jury Award for Best Performance: Chiara Mastroianni for On a Magical Night
Un Certain Regard Special Jury Prize: Albert Serra for Liberté ; Bruno Dumont for Joan of Arc
Coup de Cœur Award: A Brother’s Love by Monia Chokri ; The Climb by Michael Angelo Covino

Sonic The Hedgehog, il film è stato rimandato al 2020

Salta l'uscita a novembre del film dedicato a Sonic, lo storico personaggio dei videogame SEGA, il film è stato ufficialmente rimandato al 14 febbraio 2020.

A dare l'annuncio dello slittamento è stato lo stesso regista del film, Jeff Fowler, che su Twitter ha scritto: "Ci prendiamo giusto un po’ di tempo in più per rendere giustizia a Sonic". Con l'aggiunta dell'hashtag #novfxartistswereharmedinthemakingofthismovie ("nessun artista vfx è stato danneggiato nella realizzazione di questo film").

Il motivo dello spostamento non è un mistero. Dopo la pubblicazione del trailer, le reazioni dei fan all'aspetto di Sonic non sono state quelle sperate, sono piovute critiche, feroci e ironiche. Lo stesso regista si era detto poco soddisfatto dell'aspetto finale del riccio, così è stato deciso di spostare la data di qualche mese per permettere ai realizzatori di riprogettare da zero il personaggio e dargli un aspetto migliore.


La scelta però ha fatto ugualmente storcere il naso a molti, perché in questo modo la produzione avrebbe ceduto alle proteste dei fan. Se le produzioni, anche le grandi produzioni come la Paramount, cominciassero a cedere alle proteste o capricci del pubblico, dove andremo a finire?

Ecco il tweet del regista che annuncia la nuova data d'uscita.


venerdì 24 maggio 2019

Cannes 2019 - giorno 10

Mentre Fuori Concorso Sylverster Stallone presenta le prime immagini di Rambo: Last Stand, ultimo capitolo della saga che vede protagonista il personaggio di Rambo, in Concorso vengono presentati due film molto diversi: Il Traditore di Marco Bellocchio, e Mektoub, My Love: Intermezzo di Abdellatif Kechiche.

Convince Il Traditore di Bellocchio, l'unico film italiano in Concorso quest'anno è stato accolto bene dal pubblico e dalla stampa, che in particolare ha elogiato la performance del protagonista Piefrancesco Favino.

Il film racconta vent'anni della vita di Tommaso Buscetta (Favino), primo grande pentito di mafia. Dagli anni '80 fino alla sua morte nel 2000, l'esilio in Brasile, la lotta con i Corleonesi, l'arresto e la decisione di diventare collaboratore di giustizia, mossa che portò al maxiprocesso contro la mafia, fino alla testimonianza contro Andreotti che gli si ritorse contro.

Un film diverso dai precedenti lavori del regista, e a confermarlo è lo stesso Marco Bellocchio. "Forse somiglia un po’ a Buongiorno, Notte, ma è un film diverso", ha spiegato il regista, "perché i personaggi si chiamano con i loro veri nomi, ma lo sguardo è più esposto all'esterno, i protagonisti sono spesso in pubblico, per esempio nel gran teatro del maxiprocesso di Palermo, trascurando quei tempi psicologici, quelle nevrosi e psicosi borghesi che sono state spesso la materia prima dei miei film [...] La mia preoccupazione era di fare un film non convenzionale, ma semplice, popolare. Era necessario rappresentare i tanti delitti della mafia ma con una propria forma che io ho ricercato nella dimensione teatrale. Il Maxiprocesso è in assoluto un luogo teatrale dove lo spettacolo si gioca tra i mafiosi che volevano che il grande processo fallisse e Buscetta capace di controbattere nel confronto. Quando Buscetta fa il confronto in aula con Calò è come assistere alla performance di due vecchi attori".
Grande lavoro sul personaggio di Buscetta di cui il regista all'inizio sapeva solo quello che aveva potuto leggere sui giornali. "Poi ho letto libri, incontrato persone che lo avevano conosciuto", ha raccontato Bellocchio, "Non è un eroe ma un uomo coraggioso, che non ha paura di morire ma che non vuole morire. Buscetta era un conservatore, avrebbe voluto che la mafia fosse rimasta quella di un tempo. Era un uomo ignorante, non aveva studiato ma aveva una grande personalità, un certo carisma. Incarnava la quintessenza dell'italianità, amava la vita, le donne, amava la moglie ma la tradiva".

Ottimo Pierfrancesco Favino, che ha fortemente voluto questo ruolo, lodato dalla stampa per la sua performance carismatica per cui è dovuto ingrassare quasi dieci chili. "La sua fisicità rimanda alla ruralità della mafia", ha spiegato l'attore, "Gli stomaci rotondi, un’aria tozza che tentano di sfinare con i completi. Una presenza fisica che mi serviva anche per il respiro, perché quando prendi peso cambia il tuo modo di respirare. E poi dovevo raccontarlo nel corso degli anni, quindi bisognava proprio ingrassare. Non è virtuosismo". E poi sul personaggio: "È stato un fine stratega della comunicazione. [...] Gli altri lo vedono come il traditore, l’infame, la spia: ma gli occhi degli altri sono importantissimi anche per la sua vanità. Il fascino che emanava dipendeva dalla sua leggenda. Falcone è l’unica persona che sia riuscita a manipolare Buscetta, ma l’incontro con il giudice lo cambia, perché anche Falcone, come lui, è qualcuno che crede fino in fondo al suo sogno. Tra i due non ci fu amicizia ma un certo rispetto siciliano".

Buono anche il riscontro per il mercato estero, il film è già stato acquisito da 20 paesi, la Sony Classic lo distribuirà negli USA con il titolo The Traitor.


Torna in Concorso anche Abdellatif Kechiche, con il suo Mektoub, My Love: Intermezzo, seguito del film Mektoub, My Love: Canto Uno (2017), che ha fatto gridare allo scandalo la platea di giornalisti.

Sia questo film che il precedente sono basati sul romanzo "La Blessure, la vraie", di François Bégaudeau, e raccontano la storia d'amore di Ophélie (Ophélie Bau) e Amin (Shaïn Boumédine), in mezzo a una complicata rete di relazioni e tradimenti. La trama di Intermezzo vede Amin, diviso tra la possibilità di svoltare con la carriera di attore grazie a un produttore che ha mostrato interesse nei suoi confronti, e due donne, quella che ama e la moglie del produttore che sembra molto interessata a lui.

Un film circa tre ore e mezza (ma in realtà dura 4 ore) che, a parte l'apertura in spiaggia e la chiusura mattutina, si svolge quasi tutto nello stesso luogo, una discoteca, e per più di due ore procede in tempo reale, con la telecamera fissa e insistente a seguire i protagonisti e tutto quello che si muove intorno a loro, balli sfrenati, l'alcol, i baci, il sesso, e soprattutto gli sguardi.
Durante la conferenza stampa il regista ha motivato la scelta di un unico luogo con una visione "mitologica, con riferimento al mito della caverna. L’idea è stata quella di rintracciare dei valori". "Con questo film volevo rappresentare il desiderio, celebrare la vita, l’amore, il corpo, la musica", ha continuato Kechiche, "Volevo un’esperienza di cinematografia libera, cercare altre forme narrative, "rompere" le regole narrative. È stato un esperimento, con un’estetica differente; il film racconta diverse storie e differenti personaggi, per cui ho avuto differenti modelli d’ispirazione".

Kechiche non è certo nuovo a scandali, sia il precedente che La Vita di Adele (che vinse la Palma d'Oro nel 2013) avevano suscitato reazioni molto forti da parte di pubblico e stampa, e stavolta non è stato da meno. Durante le proiezioni qualcuno ha abbandonato la sala prima della fine del film. Motivo? una lunga scena di sesso orale (12 minuti circa) con la telecamera fissa sulle parti intime della ragazza. Una momento che ha disturbato non poco la platea. Ma non è stata solo la lunghissima scena di sesso esplicito, anche l'insistenza con cui il regista riprende continuamente il corpo femminile ha infastidito molto una parte della stampa, in particolare quella femminile.
Una morbosità e un voyeurismo troppo eccessivo che secondo qualcuno sconfina nel pornografico, e quindi non adatto a un festival come quello di Cannes, e c'è stato anche chi ha accusato il regista di maschilismo (non è la prima volta). Questi aspetti sono venuti fuori durante la conferenza stampa ma Kechiche ha tagliato corto, mostrando anche un po' di fastidio: "Non a tutti può piacere questo genere di film e la cosa non è un dramma, perché non tutti guardano allo stesso modo, ma io amo i miei personaggi e il loro fuoco. Non tutti riescono a vedere la potenza dei personaggi. Per me Intermezzo era un modo per uscire dalla visione frammentata del mondo, per ritrovare i rapporti tra gli esseri umani".

Mektoub, My Love: Intermezzo è un film senza mezze misure, se una parte dei critici è uscita disgustata dalla sala prima della fine, dall'altra c'è chi ha apprezzato molto il film, che infatti ha ricevuto anche ottime recensioni.

giovedì 23 maggio 2019

Cannes 2019 - giorno 9

Dopo un periodo di apparente polemica, torna in Concorso al festival il regista canadese Xavier Dolan, con il suo nuovo film Matthias & Maxime.

Non solo regista ma anche attore protagonista, Dolan torna nel doppio ruolo a sei anni dal suo Tom à la Ferme (2013).
Il film racconta la storia di due grandi amici, Matthias (Gabriel D'Almeida Freitas) e Maxime (Dolan, che recita con una grossa voglia rossa sulla guancia), entrambi accettano di comparire in un cortometraggio diretto da una loro amica e, per esigenze di scena, i due si scambiano un bacio. Le conseguenze di quel bacio dato per gioco saranno inaspettate. Nei due si insinua il dubbio, inizieranno a chiedersi quale sia il loro vero orientamento sessuale, mettendo in pericolo l'amicizia di una vita.

Il senso del film, secondo il regista, è la ricerca del proprio posto nel mondo. "Questo è stato, senza dubbio, il leit motiv dei miei vent'anni, un po' come accade alla maggior parte delle persone", ha dichiarato Xavier Dolan durante la conferenza stampa, "Con il successo, per me è arrivato anche l’isolamento, e fino ai venticinque anni stavo solo la maggior parte del tempo. Poi delle persone straordinarie hanno incrociato il mio cammino, ho lasciato che si avvicinassero e loro mi hanno accolto. Con loro al mio fianco ho avuto la possibilità di riscoprire delle persone con cui essere soprattutto me stesso, prima di essere il regista o lo scrittore. Matthias & Maxime, raccontando un’altra storia, parla di amicizie come queste. Giovani adulti che hanno provenienze e status differenti, e che, arrivati a quel particolare periodo di cambiamenti, si chiedono com'è successo a me? qual è il posto a cui dovrebbero appartenere?".
Matthias & Maxime è un film con dei toni molto diversi di precedenti lavori del regista, più luminoso, più ironico, ed era proprio questa la volontà di Dolan. "Non è un mix delle mie pellicole precedenti", ha detto il regista, "ma l’opportunità di esplorare qualcosa di diverso. Da un punto di vista estetico, è meno dark, con toni meno cupi e colori pastello. Una sorta di transizione per me, che mi porterà ad aprire un nuovo capitolo della mia vita".

Il film ha avuto una buona accoglienza.



Presentato sempre in Concorso, Roubaix, une lumière, nuovo polar diretto da Arnaud Desplechin. Con Lea SeydouxRoschdy Zem protagonisti.

Il film racconta la storia del commissario Daoud (Roschdy Zem), che la notte di Natale vaga per le strade di Roubaix, cittadina in cui è cresciuto, per cercare di risolvere un caso di omicidio, un'anziana donna uccisa in modo brutale e in cui le uniche sospettate sono due donne, Claude e Marie, alcolizzate, povere e amanti. Ad accompagnare il commissario ci sarà l'ultimo arrivato.

Un ritorno a casa per il regista, nato a Roubaix, che per fare il film si è lasciato ispirare dal libro Delitto e Castigo. "Dopo Les fantômes d'Ismaël, un fuoco d’artificio di finzione, avevo bisogno di deporre le armi davanti agli attori e filmare la mia città natale, Roubaix", ha spiegato Arnaud Desplechin, "Mi sono ricordato di un fatto di cronaca che aveva impressionato me e tante altre persone, l'omicidio di una anziana strangolata da due donne e così ho costruito una storia che usa veri poliziotti e persone del luogo, insieme ad attori professionisti e a una scrittura che deve molto a Delitto e castigo di Dostoevskij, un libro a cui pensavo tutti i giorni".

Il film ha convinto e ha ricevuto ottime recensioni.

Tenet - Ludwig Göransson per la colonna sonora del nuovo film di Nolan

Prende sempre più forma il nuovo film di Christopher Nolan, Tenet, dopo l'annuncio del cast completo, ecco il nome di chi realizzerà la colonna sonora.

Questa volta non ci sarà il fidato Hans Zimmer, che ha collaborato con il regista in sei dei suoi film, ma Ludwig Göransson, compositore svedese vincitore del premio Oscar per la colonna sonora di Black Panther.

La direzione della fotografia è stata invece affidata nuovamente a Hoyte Van Hoytema, che ha lavorato con Nolan per i film Intesterllar e Dunkirk. Il film sarà girato in un mix di IMAX e 70mm.

I protagonisti del film, un action ambientato nel mondo dello spionaggio internazionale, saranno John David Washington, Robert Pattinson, e Elizabeth Debicki. Nel cast anche Kenneth Branagh, Aaron-Taylor-JohnsonClémence Poésy, Dimple Kapadia, e (ci verrebbe quasi da dire ovviamente) Michael Caine.

Uscita fissata al 17 luglio 2020.

Star Wars: L'Ascesa di Skywalker - da Vanity Fair alcuni indizi sul film

La rivista Vanity Fair ha pubblicato ieri un bellissimo servizio fotografico dal set del prossimo attesissimo film di Star Wars, L'Ascesa di Skywalker.

Dalle foto, scattate dalla grande fotografa Annie Leibovitz, e dal video realizzato direttamente dal backstage, sono emersi diversi dettagli inediti sui personaggi e su alcuni risvolti della storia che vedremo nel prossimo episodio, diretto da J.J. Abrams.

Ecco i dettagli più interessanti.

- nel nuovo film si arriverà al culmine della millenaria epica battaglia tra Jedi e Sith;
- ci sarà un approfondimento sulle origini del Primo Ordine, una parte che era stata "tagliata" da Il Risveglio della Forza;
- il film "tornerà indietro" e mostrerà come è nato questo "caos";
- verrà ovviamente affrontato il rapporto tra Kylo Ren e Rey, due opposti con un legame molto stretto che, a quanto pare, è molto più profondo di quanto si potesse immaginare;
- vedremo finalmente i Cavalieri di Ren. Saranno su un pianeta chiamato Paasana che si trova ai margini della Galassia, un pianeta desertico abitato dagli Aki-Aki;
- svelato il ruolo di Richard E. Grant, sarà il Generale Pryde del Primo Ordine, e molti ipotizzano che possa trattarsi del padre del Generale Hux (Domhnall Gleeson);
- svelato anche il misterioso ruolo di Keri Russell, si tratta di Zorri Bliss, una fuorilegge e vive nel quartiere dei ladri del pianeta nevoso Kijimi. Nella foto di Vanity Fair, l'attrice indossa un casco e una tuta viola;
- una delle new entry, Naomi Ackie, interpreta Jannah, una guerriera. Durante la presentazione del film alla Star Wars Celebration, l'attrice aveva dichiarato che il suo personaggio è strettamente legato ad un altro (le ipotesi? Finn / John Boyega o Lando / Billy Dee Williams);
- a quanto pare C-3PO ci stupirà facendo qualcosa di mai fatto prima.



Capitolo a parte, il delicato ruolo di Carrie Fisher, presente grazie a scene girate, e poi scartate, per Il Risveglio della Forza.

Ne ha parlato proprio il regista J.J. Abrams, che ha costruito la storyline conclusiva di Leia proprio partendo da quelle scene tagliate: "È già difficile anche solo parlarne senza passare per una specie di fessacchiotto spiritualista cosmico, ma è stato davvero come trovare, all'improvviso, la risposta impossibile alla domanda impossibile.[...] Abbiamo adattato i dialoghi di Leia al nuovo contesto e ricreando anche l’illuminazione in maniera tale che fosse omogenea a quella con cui avevamo illuminato le sue scene. Passo dopo passo, ha trovato il suo posto nel nuovo film".

Il regista ha poi confermato che nel film ci sarà spazio per alcune scene che vedono protagoniste Carrie Fisher e sua figlia, Billie Lourd. Momenti fortemente voluti dalla figlia dell'attrice.
"Ci sono momenti in cui parlano, altri in cui hanno un contatto fisico", ha spiegato Abrams, "Ci sono attimi in questa pellicola che sarebbero avvenuti proprio in questa maniera, come se Carrie fosse stata lì, e mi pare davvero che ci sia questo elemento strano, spirituale, da classica Carrie e in una qualche maniera tutto ha funzionato. E non avrei mai pensato che sarebbe successo."

Il film sarà italiane dal 18 dicembre, negli USA uscirà il 20.

mercoledì 22 maggio 2019

Cannes 2019 - giorno 8

Era il film più atteso di questa edizione e, in un modo o nell'altro, non ha deluso le aspettative. Presentato in Concorso C'era una Volta a Hollywood, nono film di Quentin Tarantino.

Un numeroso cast di altissimo livello, con Leonardo DiCaprio, Brad Pitt, Margot Robbie, Al Pacino, e tanti altri, e una storia inventata inserita nella Hollywood di fine anni '60, e che corre parallela a un fatto di cronaca reale, l'efferato omicidio di Sharon Tate da parte degli adepti di Charles Manson, compiuto esattamente 50 anni fa.

Al centro della storia c'è Rick Dalton (DiCaprio), un attore di serie tv deciso a fare il salto di qualità e approdare finalmente nel cinema. Al suo fianco il fedele Cliff (Pitt), storica controfigura e ora anche autista di Dalton. Il passaggio dalla tv al cinema non è per niente semplice, e mentre Dalton cerca disperatamente un modo per sfondare, nella villa accanto alla sua accadrà l'impensabile: un gruppo di giovani e apparentemente spensierati hippie, seguaci di un certo Charles Manson, ucciderà in modo brutale l'attrice Sharon Tate, incinta al nono mese, e alcuni suoi ospiti.

C'era una Volta a Hollywood è un capitolo nuovo nella carriera di Quentin Tarantino, meno azione e meno "pulp" (a parte una scena finale molto tarantiniana), più dialoghi, una maggiore dilatazione dei tempi, e una enorme quantità di Cinema, tra citazioni e omaggi.
Buona l'accoglienza del film alla fine della premiere, mentre la stampa si è divisa. Molte le recensioni e i commenti positivi che parlano di un Tarantino in grande spolvero, ma ci sono stati anche commenti più freddi, delusi da un film che, secondo il loro giudizio, non offre nulla di nuovo, o contrariati da alcuni aspetti.

Durante la conferenza stampa Tarantino è sembrato molto rilassato e felice, ma davanti ad alcune domande, sulla rappresentazione delle donne o sull'uso dell'omicidio di Sharon Tate, le risposte sono state piuttosto lapidarie e sbrigative. Al regista è stato chiesto della possibile reazione di Roman Polanski. "Non ci siamo mai parlati", ha risposto Tarantino, "L’ho incontrato un paio di volte in vita mia. Nel film ne parlo come del regista più "caldo" dell’epoca. Rosemary's Baby aveva fatto un incasso enorme, e quello è anche il mio preferito. Sono un grande fan di quel film". Sul fatto che Margot Robbie/Sharon Tate nel film abbia pochissime battute e sia stata rappresentata solo come un'attrice bella e sensuale, Tarantino ha risposto secco: "Rigetto la sua ipotesi".
Molto più aperto invece sulla questione Charles Manson e la sua Familia, su cui il regista si è informato molto. "Nella vicenda dell’omicidio di Sharon Tate mi ha attratto l’impossibilità di dare una spiegazione a questa strage terribile", ha raccontato Tarantino, "Ho fatto qualche ricerca, ho letto libri, ma non mi sono dato una spiegazione. Questi giovani hanno compiuto un’azione incomprensibile e questo rende la vicenda affascinante. Siamo affascinati perché non riusciamo a comprenderla". Il regista nel film offre anche un ritratto tutto suo della comunità di Charles Manson. "Degli hippie che ho immaginato vivessero in un ranch dove prima si giravano western tv", ha spiegato, "Ho voluto mostrare la loro vita quotidiana, mentre portano i turisti a fare delle passeggiate a cavallo, sono gentili, amichevoli, ma le cose non sono esattamente come appaiono".

E poi c'è il Cinema, in un film che Leonardo DiCaprio definisce "una lettera d’amore all'industria cinematografica". Una lettera d'amore nostalgica verso la Hollywood di una volta. Quentin Tarantino si è divertito molto a creare una carriera al personaggio di Rick Dalton e inserirla in un contesto reale, come quando l'attore viene spedito in Italia per girare un film con Sergio Corbucci. "Sergio è uno dei più grandi, uno dei miei preferiti", ha dichiarato Tarantino, "Con Django Unchained ho fatto la mia versione del suo film e quando Rick Dalton, il personaggio di DiCaprio viene spedito dal suo produttore [Al Pacino] a Roma per girare "Nebraska Jim", diventa parte di quella storia. Rick non lo apprezza ma se io lo incontrassi quarant'anni dopo gli direi: "Ma tu hai davvero lavorato con Sergio Corbucci?!". Poi ho immaginato che dopo quello, Rick abbia girato Operazione Dyn-o-mite! ma con Antonio Margheriti perché ho pensato che Rick si sarebbe comportato talmente male che Corbucci un secondo film non glielo avrebbe fatto fare".

Ovviamente l'attenzione era anche puntata sui protagonisti del film, la coppia d'oro formata da Leonardo DiCaprio e Brad Pitt, entrambi alla seconda esperienza con il regista. "Ci sono veramente poche persone al mondo che hanno una conoscenza così profonda della storia del cinema, della musica e della televisione", ha detto DiCaprio parlando di Tarantino, "È come entrare nel database di un computer, è incredibile. Questo film per lui è il suo ritorno a casa, un gesto d'amore nei confronti di questo mondo che siamo così fortunati di abitare e a tutti gli attori misconosciuti che lo hanno reso grande". DiCaprio inoltre ha dichiarato di essersi immedesimato molto nel suo personaggio: "Sono cresciuto nell'industria del cinema e capisco Rick nel suo sentirsi perduto. Lotta per ritrovare la fiducia in se stesso, per ottenere un nuovo ruolo. Io sono stato molto fortunato come attore, ma queste cose accadono". "I due sono come una sola persona", ha continuato Brad Pitt parlando dei personaggi di Rick e Cliff, "una persona che deve accettare questa situazione di cambiamento. Sono due outsider, però il mio personaggio, Cliff, è un po' più navigato, ha superato la fase di depressione, è in pace con se stesso, accetta quello che la vita gli porta". L'attore poi fa una sua personale analisi del film: "Racconta la perdita di innocenza di un'epoca, era un tempo di pace e amore, poi la tragica morte di Sharon Tate è stato uno shock che ha mostrato il lato oscuro di quell'epoca".
Diverso il compito di Margot Robbie, chiamata ad interpretare una persona reale, un'attrice famosa come Sharon Tate che ha subito un destino davvero crudele, e ha dovuto farlo con poche battute a disposizione e una rappresentazione che guarda soprattutto all'esaltazione della sua bellezza. "Ho visto tante cose su Sharon Tate, ho fatto molta ricerca e ho letto il più possibile", ha spiegato l'attrice, "ma allo stesso tempo, come attrice, penso di dover comprendere il ruolo del mio personaggio nella storia. Per me lei è la vera luce del film, sapevo che questo doveva essere il mio compito e ho cercato di farlo rispettando il personaggio nella memoria della vera Sharon Tate. Quello che mostra, cioè la perdita dell’innocenza, avviene senza parlare, senza bisogno di dialoghi".

Negli USA il film uscirà il 26 luglio. In Italia arriverà il 19 settembre.


Ieri in tarda serata è stato presentato in Concorso il nuovo film di Bong Joon Ho, Parasite (Gisaengchung), che rinnova la collaborazione del regista con il suo attore feticcio Song Kang Ho.

Il film racconta la storia della famiglia Ki-taek, molto povera, un po' cialtrona , disoccupata ma molto interessata allo stile di vita dei ricchi. Quando il figlio dei Ki-taek, falsificando i suoi requisiti, viene chiamato a dare lezioni d'inglese alla figlia di una famiglia ricca, i due mondi si incontreranno e le due famiglie resteranno improvvisamente invischiate in una strana e assurda storia.

Per Parasite, dove il "parassita" del titolo è il figlio della famiglia Ki-taek che si insinua nella famiglia ricca, è stato un tripudio, il film è stato accolto benissimo dalla platea e ha poi raccolto critiche davvero entusiastiche. Si tratta di un film sulle differenze sociali ma il tutto è raccontato con lo stile unico di Bong Joon Ho.

"È un dramma familiare con due famiglie coreane, una ricca e una povera", ha dichiarato il regista coreano, "È difficile da definire come genere. Potrebbe essere un crime drama. Potrebbe essere un dramma familiare. Potrebbe essere una commedia nera. È un mix di una varietà di generi". Il tema della famiglia è ricorrente nei lavori del regista. "Non sono necessariamente ossessionato dal tema della famiglia", ha spiegato Bong Joon Ho, "ma questo film è diverso dai miei precedenti, dove le famiglie erano incomplete. Mi sono occupato spesso di famiglie incomplete e di come una famiglia con membri mancanti riesca a trovare un equilibrio. Ma questo film, Parasite, presenta una famiglia convenzionale, con quattro membri al suo interno, e io sono più interessato a come queste due famiglie convenzionali si incontrano e che tipo di dramma emerge dal loro incontro".
Secondo molti, il film potrebbe essere un candidato forte per la vittoria della Palma d'oro, o di qualche altro premio.

martedì 21 maggio 2019

Cannes 2019 - giorno 7

Due signore del cinema francese sono le protagoniste della settima giornata del Festival di Cannes: Isabelle Huppert e Fanny Ardant.

In Concorso, diretta dal regista americano Ira Sachs, Isabelle Huppert è la protagonista del film Frankie.

L'attrice interpreta Frankie, una donna vicina alla fine della propria vita, e per questo motivo organizza una vacanza a Sintra, in Portogallo, per dirsi addio in modo elegante. Insieme alla donna ci saranno il marito, l'ex marito, il figlio, alcuni colleghi e una cara amica a cui Frankie vorrebbe tanto trovare un uomo. Nell'arco di una giornata verranno fuori interessi, affetto, invidia, e la questione eredità.
Ottima l'interpretazione di Isabelle Huppert (ma questa non è certo una novità), che sul suo personaggio ha dichiarato: "Frankie racconta l'indicibile realtà in cui ci si ritrova quando qualcuno sta per morire. All'improvviso ci si trova davanti all'impossibilità di dire ciò che si ha, di parlare della propria malattia. Resta in qualche modo come innominabile nel film e questo la rende ancora più paurosa. Frankie racconta questa dimensione della malattia e della morte alla quale non si pensa mai. La cosa più dura da sopportare per il mio personaggio è il fatto che gli altri piangono ed è proprio per questo che lei si tiene lontana dal dolore. La sua distanza è un modo per trovare un'uscita che non c'è".
L'attrice ha apprezzato molto la visione del regista. "Non cede mai ad alcun cliché sulla malattia", ha dichiarato, "proprio come fa Frankie verso i suoi parenti, almeno quelli che sanno che sta per moriree. Questo film è per certi versi sorprendente, originale e mai lacrimoso. Il desiderio di Sachs di non cadere nel pathos è il cuore stesso della sua scrittura".

Nel cast anche Jérémie Renier, Marisa Tomei, Brendan Gleeson, Pascal Greggory, e Greg Kinnear.



Presentato Fuori Concorso, e accolto molto bene, il film francese La Belle Epoque, con Fanny Ardant e Daniel Auteuil protagonisti.

Auteuil nel film interpreta un sessantenne la cui vita viene stravolta dall'offerta di un uomo che si propone di far rivivere il momento più bello della propria vita grazie a una serie di efficaci espedienti teatrali e ricostruzioni storiche. Il protagonista decide così di rivivere quella che considera come la settimana più importante della sua vita, andando indietro di 40 anni.

Nel film Fanny Ardant interpreta una donna vitale, mondana e di successo, e ha confessato che il film, e in particolare il personaggio di Daniel Auteuil le ha ricordato Marcello Mastroianni. "Ho pensato a Marcello Mastroianni e al suo modo di essere", ha raccontato l'attrice, "il personaggio che interpreta Daniel Auteuil me lo ricordava tanto, mi e' piaciuto pensare fosse ispirato a lui e anche per questo ho accettato il film, pensando ad un omaggio sentimentale a Marcello".

Il film è stato acquisito da I Wonder Pictures e arriverà in Italia in autunno.

lunedì 20 maggio 2019

Cannes 2019 - giorno 6

Presentato in Concorso il nuovo film di Terrence Malick, A Hidden Life, accolto piuttosto bene dalla critica.

Malick non era presente alla conferenza stampa ma era a Cannes e ieri ha assistito all'anteprima serale. Il regista più schivo del mondo non è riuscito ad evitare di essere immortalato in alcuni video e foto.

La pellicola è tratta da una storia vera, quella del contadino austriaco Franz Jägerstätter (August Diehl) che viveva, insieme alla moglie e alle tre figlie, in un piccolo villaggio vicino al confine con la Germania. Convinto cattolico e obiettore di coscienza, Franz fu l'unico nel villaggio a non piegarsi alla volontà dei nazisti e a votare contro l'annessione dell'Austria alla Germania di Hitler. Una volta scoppiata la guerra si rifiutò di arruolarsi e di prestare giuramento al Reich e a Hitler e per questo venne accusato di tradimento, portato a Berlino, incarcerato e poi ucciso.


La presentazione del film è stata affidata ai due attori protagonisti, August DiehlValerie Pachner, entrambi entusiasti di aver lavorato con Malick.
"È uno dei film più emozionanti nella mia carriera", ha dichiarato Diehl, "Non lo ritengo un film sugli eroi, ma piuttosto sulle scelte personali e silenziose, legate all'invisibilità del privato e non alla notorietà dell'eroe. È anche un film sociale, sulle persone che, mentre tutti acconsentono, si fermano e dicono no, perché sentono che c’è qualcosa di sbagliato. Un tema attuale, specialmente nell'Europa di oggi con gli sviluppi storici cui assistiamo. Ma non è qualcosa solo di politico, riguarda più in generale l’approccio personale, il capire che ci sono cose giuste e cose sbagliate".

Nel cast anche Matthias Schoenaerts, Michael Nyqvist e Bruno Ganz, per gli ultimi due in particolare si tratta di un film postumo, per Ganz proprio l'ultimo lavoro fatto.

domenica 19 maggio 2019

Cannes 2019 - giorno 5

Domenica di festival sotto il segno di Alain Delon, a cui sarà consegnata la Palma d'Oro alla carriera.

Incontrando la stampa (selezionata), l'attore ha raccontato la sua carriera, con i suoi momenti cruciali, come quando ha deciso di abbandonare la carriera militare nella Marina, durante la quale ha anche combattuto in Indocina, per dedicarsi al cinema. Una carriera iniziata quasi per caso ma in modo fulminante. "Sin dalla prima volta sono stato quasi subito a mio agio", ha dichiarato Delon, "ho percepito che quella era la mia vita, e le parole che più spesso mi hanno ripetuto gli autori sono state: non recitare, usa lo sguardo e vivi!".
Alain Delon ha poi parlato di quello che, forse, è stato il regista più importante della sua carriera, Luchino Visconti, e ricordandolo l'attore si è commosso. "Mi è stato presentato a Londra, mentre era in corso una rappresentazione del Don Giovanni: ero stato visto recitare e mi veniva ripetuto ‘tu sei Rocco, tu sei Rocco’, così mi hanno fatto conoscere Luchino", ha raccontato Delon, riferendosi ovviamente al grande film Rocco e i suoi Fretelli (1960), un film che "è stato un sacrificio, ma uno di quelli che hanno portato una delle migliori cose possibili".
L'attore ha poi ricordato quando si è affacciato a Hollywood per poi tornare, quasi subito, al cinema europeo. "Ho vissuto là due anni", ha raccontato Delon, "poi però mi mancavano Parigi, i suoi cinema, e così ho lasciato l’opportunità di quella carriera e sono rientrato, applaudito dai francesi per la scelta".

La scelta di Alain Delon come Palma d'Oro alla carriera ha provocato qualche protesta, soprattutto da parte di movimenti femministi a causa di comportamenti non sembra giusti dell'attore nei confronti delle donne. Durante l'incontro con la stampa però, Delon ha ribadito spesso l'importanza delle donne, delle attrici che ha incontrato, per la sua carriera, l'attore ha dichiarato proprio di essere "debitore alle donne per il mio successo". Ha ricordato in particolare Monica Vitti, con cui ha recitato ne L'Eclisse (1962), e ovviamente Romy Schneider, grande amore della sua vita (anche se, finito non benissimo tra i due), con cui ha recitato ne La Piscina (1969), film che l'attore ha confessato di non riuscire più a vedere: "troppo difficile pensando a Romy, anche se è un film magnifico, di cui s’è parlato per molti anni".
La Palma gli verrà consegnata questa sera.



Presentato Fuori Concorso il film francese Les Plus Belles Années d’une Vie, diretto da Claude Lelouche e che vede protagonista Jean-Luis Trintignant e Anouk Aimée. Nel cast anche Monica Bellucci.

Il film è una sorta di sequel della pellicola vincitrice della Palma d'Oro nel 1966, Un Uomo e una Donna, anche se il regista ci tiene a precisare che non è un seguito di quel film. "Non è un sequel, può essere visto anche da chi non conosce l’altro", ha dichiarato Lelouche, "Parla delle tracce che lasciamo nella vita degli altri, è un film solare, positivo. Conferma l’opinione di Hugo, gli anni più belli sono quelli non ancora vissuti. Il presente è più forte del passato". Il riferimento a Victor Hugo è nel titolo, una frase "rubata" direttamente allo scrittore.
Un film girato in soli tredici giorni e che è nato proprio durante il 50° anniversario di Un Uomo e una Donna. "Mentre celebravamo l'anniversario di Un uomo e una donna, osservavo Jean-Louis e Anouk insieme", ha ricordato il regista, "Ridevano, si divertivano insieme, la gioia di ritrovarsi era immensa. Mi sono reso conto che il loro era un incontro incompiuto, e che io volevo prolungarlo indefinitamente".

sabato 18 maggio 2019

Cannes 2019 - giorno 4

Dopo il red carpet di ieri sera, è il giorno di Pedro Almodovar e del suo ultimo film, Dolor y Gloria. In Concorso.

Il grande regista spagnolo realizza uno dei suoi film più intimi e personali, anche uno dei meno eccentrici della sua carriera, e per farlo ha chiamato due dei suoi attori preferiti: Penelope Cruz, alla sua sesta collaborazione col regista, e un bravissimo Antonio Banderas, per l'ottava volta diretto da Almodovar.

Al centro della storia c'è un regista alle prese con una crisi creativa (Banderas) e con dolori fisici, reali, che si trova a riflettere sulla propria vita e il proprio passato e l'infanzia.

La proiezione di ieri sera si è conclusa con scroscianti applausi e una lunga standing ovation che ha commosso Pedro Almodovar, tanti applausi anche oggi, all'ingresso del regista e del cast nella sala per la conferenza stampa. Una gioia che nemmeno la pioggia su Cannes ha potuto offuscare. "Non dimenticherò mai la serata di ieri. E oggi sono molto contento, nonostante la pioggia. Questa pioggia è la più gradita della mia vita", ha dichiarato in apertura il regista.

Un film molto personale e in parte autobiografico, anche se tra Almodovar e il personaggio di Antonio Banderas ci sono delle differenze che il regista ha voluto sottolineare. "La gloria di Salvador, nel film, è nel successo che ha avuto, nel magnifico appartamento in cui abita, circondato da opere d'arte", ha spiegato Almodovar, "Per me invece la gloria è la possibilità di fare film, di raccontare storie e raccontarle nella miglior maniera possibile, nella mia maniera, che può anche essere piccola, insignificante, ma è la mia, e credo sia importante correre il rischio di ascoltare la propria voce interiore. Sento di aver raggiunto il successo ogni volta che riesco a fare esattamente il film che volevo, anche sbagliando, perché comunque si tratta di miei errori. Voglio essere il solo e unico padrone della mia carriera. Il successo e la gloria ovviamente sono pericolosi: se li ottieni, devi stare attento a non perderti, a restare con i piedi per terra".
"Ci sono molte cose inventate in Dolor y Gloria", ha continuato il regista, "Di solito, quando comincio a scrivere, le prime righe sono legate alle mie esperienze personali, ma poi la finzione prende piede, e quando succede, sento che non la devo più abbandonare". Ad esempio la scena in cui Salvador si rende conto di essere omosessuale guardando un operaio nudo mentre si lava, non è autobiografica ma possibile. "Sono contento di quella scena, è molto sottile", ha detto il regista, "Non mi sono innamorato di nessun operaio quand'ero piccolo, quindi non dovete prendere il film alla lettera. Però, tutto ciò che accade al personaggio, sarebbe potuto succedere a me".

Altro personaggio centrale nel film è quello della madre di Salvador, interpretata da Penelope Cruz, e anche in questo caso, non è proprio la rappresentazione della madre di Almodovar, ma quasi. "C'è il mio modo di sentire nel rammentare mia madre e la mia infanzia", ha dichiarato il regista.

Il film è stato accolto molto bene, ha ricevuto critiche positive, con particolari lodi all'interpretazione di Antonio Banderas, e c'è già chi lo piazza tra i possibili premiati.

Dolor y Gloria è uscito nei cinema italiani ieri, 17 maggio.



Fuori Concorso, presentate i primi due episodi della serie Amazon Prime, Too Old to Die Young, diretta da Nicolas Winding Refn. Con Miles Teller protagonista.

La serie racconta la doppia vita di un detective (Teller) in crisi esistenziale, di giorno a difesa della legge, di notte spietato assassino. Una doppia vita che lo fa scivolare in una spirale di violenza e omicidi.

"L'idea è venuta mentre ero in auto, a Los Angeles, stavo lavorando a The Neon Demon. Era il periodo in cui Netflix si stava affermando e sembrava che tutti volessero lavorare per la tv. Io non la guardo molto, ma ero incuriosito dalle possibilità del mezzo, come esplorare un nuovo modo di comunicare", ha raccontato Refn durante la conferenza stampa, "Ho iniziato ad avere il desiderio di lavorare alle tematiche come religione e morte, e il titolo mi è venuto spontaneo, Too Old to Die Young. [...] In quel periodo ci sono state le elezioni e mi sono sentito un alieno. Ho sperimentato da vicino l’evoluzione dell’America e così è nata l’idea di uno show dove le donne, i teenager fossero la speranza... e gli uomini la distruggessero".
Il regista però non vede il suo lavoro come una serie tv: "Non è una serie televisiva, è un film di tredici ore. All'interno, volevo che tutto dipendesse da due fattori: l'immagine e il silenzio. La prima è fondamentale per me, è il più efficace elemento comunicativo che abbiamo. Il silenzio invece può essere un'arma usata per rivelare le paure, o può dar vita a situazioni poco piacevoli, ed era proprio questo che desideravo esplorare".

Refn infine anticipa qualcosa su uno specifico episodio della serie. "In ogni mio film c'è una scena madre", ha detto il regista, "e anche qui, nel nono episodio. Ma non vi dirò qual è, dovrete capirlo da soli".

Nel cast anche John Hawkes e Jena Malone. Su Amazon Prime dal 14 giugno.

venerdì 17 maggio 2019

Cannes 2019 - giorno 3

Terzo giorno di festival e in Concorso arriva il due volte vincitore della Palma d'oro Ken Loach.

Il regista britannico torna sui temi a lui più cari, la working class, con il suo nuovo film Sorry We Missed You.

Al centro della storia ci sono Ricky (Kris Hitchen) e Abby Turner (Debbie Honeywood) e la loro vita segnata dalla precarietà lavorativa, lui è un fattorino mal pagato e lei una badante a domicilio, ma nonostante questo cercano di vivere dignitosamente provando a non far mancare niente ai loro figli. Una vita dignitosa ma mai stabile, con una casa mai davvero di proprietà e una condizione finanziaria sempre al limite, la svolta arriva quando Abby vende l'auto per permettere a Ricky di comprare un furgone e mettersi in proprio, ma il continuo viaggiare farà sorgere nuovi problemi e metterà a rischio l'unità familiare.

A spingere Ken Loach, a 82 anni, a tornare nuovamente dietro la macchina da presa è stata la realtà dei fatti. "Dopo aver terminato 'I, Daniel Blake', avevo pensato: "Bene, forse questo è l’ultimo film", ma quando siamo stati agli empori solidali per le nostre ricerche, molte persone erano lì per cercare lavoro... a tempo parziale, a contratto zero-ore. Questo è il nuovo sfruttamento!", ha raccontato il regista britannico, "Così è emersa l'idea che forse c'era un altro film che valeva la pena fare, non esattamente un seguito di 'I, Daniel Blake', ma un film correlato. [...] Il film cerca di mostrare i dettagli della vita reale della working class. La prima idea, con lo sceneggiatore Paul Laverty, era quella di mettere in luce la dinamica familiare".
Il film è stato girato a Newcastle, una precisa scelta del regista. "Una piccola città, nel Nord, un po' separata dal resto del Paese, cosa che credo renda le personalità dei personaggi più intense", ha spiegato Loach, "ci sono anche molte costruzioni industriali lì, un’ambientazione urbana attuale, ma non affollata di turisti, penso serva per dare eco allo spazio in cui vive la famiglia".


Durante la conferenza stampa il regista ha allargato il discorso alla politica e alla preoccupante ascesa delle destre estremiste. "Oggi le persone sono costrette da questo sistema di precariato e incertezza a sfruttare se stesse. E' una situazione intollerabile e fin quando non si riconoscerà quanto sia intollerabile, non cambieranno le cose. C'è un'esplosione di povertà in Gran Bretagna, l'austerity è una scelta politica.Come coltivare la speranza? Il cinema non può fare molto se non far aumentare la consapevolezza. Dobbiamo sapere di avere il potere del voto, dello sciopero e della rivendicazione di diritti", ha dichiarato Ken Loach che poi si è rivolto in particolare alla stampa italiana, "La conseguenza è sotto i nostri occhi: disgregazione sociale ed ascesa della destra ovunque. Che mi dite del vostro Salvini? C'è una situazione molto pericolosa, c'è tanta rabbia per questa diseguaglianza e divario tra ricchissimi e poveri che per sfogarla ce la prendiamo con migranti, diversi e con i più vulnerabili".

Il film di forte impatto sociale e politico accolto bene ma senza particolare entusiasmo dalla critica.

Pokémon Detective Pikachu - la recensione

Nei primi anni 2000 in Italia e in tutto il mondo scoppiò una vera e propria Pokémon mania: milioni di bambini letteralmente impazziti, un anime di grandissimo successo, carte da gioco, merchandising, un film, persino i tappi delle bottiglie di succo di frutta. Tutto per dei mostriciattoli protagonisti di un videogioco.
L'onda non si è mai del tutto estinta, basta ricordare l'incredibile successo di Pokémon Go solo un paio di anni fa, e naturalmente l'industria cinematografica non poteva rinunciare a una così ghiotta occasione.
Lo scetticismo intorno a questo progetto in realtà era molto, non solo a causa della ormai proverbiale sfortuna che si abbatte sui film tratti dai videoghiochi, ma anche perché i Pokémon non sono affatto facili da rendere credibili in un live action. 
Il coinvolgimento di Ryan Reynolds e il primo trailer avevano però suscitato grande aspettativa nonostante il timore che, comunque, la pellicola avrebbe potuto rivelarsi un clamoroso flop.
Se a livello di box office non è sicuramente così, ma anzi il film ha enorme successo riuscendo persino a scalzare gli Avengers dalla vetta, si può dire lo stesso da un punto di vista artistico?


Sicuramente a livello di trama non siamo di fronte a nulla di particolarmente innovativo: un ragazzo, Tim (Justice Smith), deve ritrovare suo padre scomparso e allo stesso tempo ricostruire il rapporto con lui, per fare questo sarà aiutato da un Pikachu detective con tanto di cappellino alla Sherlock Holmes.
La storia scorre via piacevole fra una prima parte prettamente investigativa e una seconda più di azione, con qualche colpo di scena non proprio impossibile da prevedere, un bel finale e moltissime battute divertenti e dialoghi brillanti. Probabilmente è stata la scelta vincente perché rende fruibile il film anche a un pubblico molto giovane, che poi è il target principale a cui vuole rivolgersi.
La regia di Rob Letterman è anch'essa scorrevole, ma riesce a essere molto interessante, in coppia con la fotografia,  nel richiamare le atmosfere da videogioco, in particolare nelle scene notturne in questa città al neon di stampo giapponese.

Ma se non è certo l'originalità di trama e personaggi a dare al film quel qualcosa in più, ci pensano proprio i Pokémon e in particolare il vero mattatore della pellicola, ovvero Pikachu (la cui voce originale è di Ryan Reynolds e che in italiano è doppiato da Francesco Venditti, che lo ha doppiato anche in Deadpool). La CGI dei pokèmon è quasi sempre di altissimo livello ed è bellissimo vederne così tanti e vederli interagire fra loro e con gli umani. Pikachu è adorabile, molto realistico, e incredibilmente simpatico, non si può non innamorarsene fin da subito e l'espediente narrativo di farlo parlare non solo è funzionale alla trama ma riesce anche a far sì che il personaggio stesso sia più tridimensionale.



Ci si sarebbe potuti aspettare forse più combattimenti fra Pokémon, ma tra easter egg, riferimenti all'anime, al videogioco e al mondo intero dietro questi adorabili mostriciattoli, non se ne sente la mancanza.
Se si sta cercando un film complesso, con più chiavi di lettura, non è questo il film giusto. Detective Pikachu è semplice, forse un po' banale, dedicato a un target di giovanissimi, ma soprattutto è un film per appassionati di Pokémon, sono loro quelli che, usciti dalla sala, saranno talmente soddisfatti da volerne ancora.