giovedì 31 agosto 2017

Venezia 74 - giorno 2

Secondo giorno e al festival piomba Guillermo del Toro con il suo nuovo film The Shapes of Water, che fa il pieno di applausi e recensioni positive.

A undici anni da Il Labirinto del Fauno, il regista messicano torna al Festival di Venezia con un'altra storia fantasy dark, un romantico monster-movie in stile Del Toro.
Ambientato nel periodo della Guerra Fredda, la storia vede al centro il personaggio di Elisa (Sally Hawkins), una donna muta che lavora come donna delle pulizie in un laboratorio governativo che custodisce esperimenti top secret. Elisa non ha famiglia essendo orfana, ha un'amica, la collega Zelda (Octavia Spencer), e un vicino di casa (Richard Jenkins) con cui ha un rapporto quasi padre-figlia, è appassionata di scarpe e di musical. Un giorno scopre che nel laboratorio dove lavora viene tenuta prigioniera in cattività una misteriosa creatura anfibia su cui vengono svolti degli esperimenti. Elisa rimarrà subito affascinata da quell'essere dall'aspetto spaventoso ma dallo sguardo gentile con cui cercherà di stringere un legame.

Notevole il cast, con Sally Hawkins, Michael Shannon, Richard Jenkins, Olivia Spencer e Michael Stuhlbarg.

"È difficile parlare di emozioni in questi tempi cinici ma i Beatles e Gesù non possono essersi sbagliati", ha dichiarato Guillermo del Toro, che poi ha fatto un parallelismo tra il suo film, ambientato durante la Guerra Fredda, e l'America di oggi, quella di Trump, "Il film è ambientato nel 1962 ma parla di oggi e affronta temi di grande attualità. Quando si usano slogan come ‘Facciamo di nuovo grande l’America’ ci si riferisce a quell'America lì, piena di promesse e di fiducia nel futuro, ma profondamente sessista e razzista come quella di oggi. Sono messicano, so cosa vuol dire essere visto come l’altro, questa creatura può essere divina o bestiale a seconda degli occhi di chi la guarda".
The Shape of Water è una favola fantasy ma per adulti, non una favola "puritana". "E' un film completo: si balla, si fa sesso e c'è anche una deriva politica, quella dell'amore che vince sulla paura", ha dichiarato il regista, "Non lo abbiamo approcciato in maniera puritana. Elisa fa sesso, si masturba, e tutto questo in modo naturale. Il dio-pesce non ha un nome, volevo fosse così. E' solo un essere che per molti è una cosa sporca e, per altri, un essere sacro".

Presenti a Venezia la protagonista Sally Hawkins, che molti già vedono come favorita per la Coppa Volpi, il premio Oscar Octavia Spencer e Richard Jenkins, tutti concordi sul fatto che se Del Toro chiama non puoi non dire sì. "Avrei interpretato anche una scrivania e invece ho avuto un personaggio ricchissimo", ha dichiarato Octavia Spencer.

Il film sarà nelle sale italiane a febbraio 2018.
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Presentato in Concorso anche First Reformed, di Paul Schrader. Protagonista del film è Ethan Hawke, nei panni di un ex cappellano militare che beve e soffre molto, perseguitato dalla morte del figlio in guerra quando era stato proprio lui a spingerlo ad arruolarsi. L'ex-pastore vive in una chiesa-museo, sempre vuota a parte la presenza di qualche turista. L'uomo comincia a tenere un diario in cui annota tutte le sue angosce quando una giovane coppia - lei (Amanda Seyfried) incinta, lui ambientalista estremo con manie suicide - chiede il suo aiuto.

"Questo film ce lo avevo dentro da tempo. Quando ho capito che era il momento di scriverlo era già pronto dentro di me", ha detto il regista. Torna anche il tema ecologista, già affrontato dal film d'apertura del festival Downsizing, ma il pensiero di Schrader è decisamente più pessimista rispetto a quello di Payne: "L'umanità è la peggiore nemica della Terra, non sopravviverà a questo secolo" (...speriamo si sbagli!).

Se Amanda Seyfried all'inizio ha avuto paura del suo personaggio e dei risvolti della storia, Ethan Hawke si è trovato bene nel ruolo di un ex prete: "Mia nonna ha sempre avuto la sensazione, quando ero giovane, che sarei diventato un prete, sono cresciuto in un ambiente religioso. La vocazione non è mai arrivata ma interpretare un pastore è stata una grande occasione per me".
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Fuori Concorso invece l'incontro tra due personaggi che, in modi diversi, hanno avuto a che fare con il diavolo. William Friedkin, regista de L'Esorcista, ha presentato infatti il suo documentario The Devil and Father Amorth, in cui racconta il vero esorcismo a cui ha assistito insieme a Padre Amorth, l'esorcista più famoso del mondo, scomparso lo scorso anno.

Ecco il racconto del regista e della sua incredibile esperienza. Merita di essere letto per intero.
"Un anno fa ero a Lucca, dove ho ricevuto il Premio Puccini per il mio lavoro nell'opera lirica. E Lucca era vicino a Pisa, non avevo mai visto la Torre Pendente così ho deciso di farci un salto. Poi ho scoperto che a Pisa c'era l'aeroporto e in un'ora avrei potuto essere a Roma. Così ho deciso d'impulso di contattare Padre Gabriele Amorth, che conoscevo da tempo, e ho chiesto di avere un giorno per andare a Roma. Conoscevo da tempo Padre Amorth, ma sapevo che era impegnatissimo. L'ho contattato e gli ho chiesto di poter assistere a un esorcismo. Lui mi ha detto che ci avrebbe dovuto pensare su perché non era molto convinto. Mi ha ammonito che non era uno scherzo, ma una questione molto delicata. Dopo aver ottenuto il suo assenso, gli ho chiesto di poter filmare l'esorcismo e alla fine ha accettato. Ho girato da solo con una camera a mano e senza luci.
Non avevo mai assistito a un esorcismo, per il mio film mi ero basato su rumor e mitologia, ma stavolta mi sono trovato di fronte a un evento senza precedenti. Nella vita ho visto tante cose incredibili, un rito voodoo in Giamaica, cerimonie religiose in Sud America, ma non ho mai creduto nell'autenticità dell'esorcismo finché non ho incontrato Padre Amorth. Sono uno scettico, ma sono convinto di aver visto qualcosa di autentico. Quella era la verità e sono uscito dalla chiesa spaventato a morte da quello che avevo visto. In macchina non ho parlato per mezz'ora.
Naturalmente non volevo realizzare un'enciclopedia dell'esorcismo. Ho contattato una serie di psichiatri, medici, un antropologo, ho scoperto che la psichiatria include l'esorcismo come cura a certe patologie mentali, ma a me interessava concentrarmi su questo esorcismo specifico, ancora più drammatico perché la famiglia dell'esorcizzata aveva perso la speranza visto che era la nona volta e nessun esorcismo aveva sortito l'effetto sperato. Io avevo la sensazione di essere in un posto pericoloso in cui Dio si manifesta in varie forme. Ero vicinissimo a Padre Amorth e con la mia camera ho ripreso una serie di cambi di personalità inspiegabili. Ci sono volute 4/5 persone per tenere ferma l'indemoniata.
Padre Amorth era un uomo divertente, dotato di humor. Non temeva il diavolo, io sì. Lui guardava al demonio con ironia, era dedito completamente al suo lavoro. Aveva fatto tanti esorcismi e ormai era in grado di cogliere il lato umoristico della cosa, non vedeva il diavolo come il signore del male, ma come un idiota".

Durante la conferenza stampa, il regista ha dichiarato che il film preferito di Padre Amorth era L'Esorcista. Vero o no, la cosa non stupirebbe.

mercoledì 30 agosto 2017

Venezia 74 - giorno 1

Apre alla grande la 74a Mostra del Cinema di Venezia, a dare il via alle danze è il nuovo film di Alexander Payne, Downsizing.

Tra fantascienza, ambiente e umorismo, Downsizing è ambientato in un futuro non molto lontano in cui il mondo sta morendo a causa dell'eccessivo consumo di energia da parte della popolazione sempre più numerosa. Per cercare di contrastare questo fenomeno, degli scienziati inventano un processo di rimpicciolimento che riduce l'altezza degli umani fino a farli diventare di dieci centimetri circa, così da avere a disposizione un minimondo dalle risorse praticamente illimitate e pochissimo spreco a livello mondiale. Il fisioterapista Paul Safranek (Matt Damon) decide di sottoporsi a questo processo insieme alla moglie (Kristen Wiig) che però si tira indietro proprio all'ultimo momento. Paul affronterà comunque il rimpicciolimento da solo e comincerà a vivere in un minimondo che sembra perfetto ma non lo è.

Oltre a Matt Damon e Kristen Wiig, il film vede nel cast anche il due volte premio Oscar Christoph Waltz, Jason Sudeikis, Hong Chau, Laura Dern e Neil Patrick Harris.

Downsizing inizia come film di fantascienza per poi continuare come commedia, ma senza dimenticare momenti romantici e commoventi. Un film che in modo "leggero" affronta argomenti di stretta attualità come il sovrappopolamento della Terra, i problemi ambientali, ecologici ed economici del nostro pianeta.
"Ci abbiamo lavorato per dieci anni", ha raccontato Alexander Payne, "e sicuramente molte cose ci sono finite dentro, anche perché il mondo di oggi non è lo stesso di allora. Ci interessava poi dare un sapore internazionale, ci sono personaggi asiatici come norvegesi, vedendo come la vicenda avrebbe echeggiato in giro per il mondo". Nel film c'è anche un messaggio politico e alcuni giornalisti della sala stampa non hanno potuto fare a meno di fare una domanda sull'attuale Presidente degli Stati Uniti Donald Trump (la cui politica ambientale è nulla). Il regista ha risposto tenendosi sul vago: "è difficile predire come la gente accoglierà il film. Non so cosa ne penserà chi ha votato Trump, facciamo film per tutti". Molto più diretto il commento di Matt Damon: "Trump non sta facendo nulla per l'ambiente. Sta solo distruggendo quello che ha fatto Obama. Che si può fare? Aspettare solo che se ne vada".

Parlando del film, Matt Damon ha elogiato il regista Alexander Payne. "Sarei pronto a recitare anche l’elenco del telefono per lui", ha detto l'attore, "credo che qualsiasi attore vorrebbe lavorare con lui. È estremamente meticoloso, fa 20 o 30 ciak se necessario e il mio compito è estremamente facile quando si lavora con un regista così. Downsizing è un film ottimista, il più ottimista di Alexander... e credo che dica molto di lui!".
Il regista è stato il motivo principale che ha spinto Kristen Wiig ad accettare il film, ma non solo: "Sapevo che Alexander era coinvolto, e io lo amo da tutta la vita. Credo che questo film faccia affermazioni reali sull'ambiente, e questo mi ha spinto ad accettare". "Gli argomenti sono seri, ma il film è soprattutto divertente, c'è humour fino alla fine", ha sottolineato l'attrice Hong Chau.
Sull'idea di rimpicciolirsi, se mai fosse possibile, Kristen Wiig però la pensa diversamente: "Più che rimpicciolirmi, io mi ingrandirei!".

Il film ha avuto una buona accoglienza ma non sono mancate alcune critiche, soprattutto per gli aspetti più politici della storia. Downsizing sarà nelle sale italiane dal 21 dicembre.
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Conferenza stampa di presentazione anche per la giuria del Concorso, che vede come presidente una grande attrice come Annette Bening. Durante l'incontro con la stampa, l'attrice ha parlato di un tema molto caldo ad Hollywood: il sessismo.

"L'atteggiamento sessista ad Hollywood c'è, non ci sono dubbi, ma credo anche che le cose stiano cambiando", ha dichiarato l'attrice, "Come donne dobbiamo essere astute e creative. La maggior parte delle persone fanno fatica a farsi produrre film, a prescindere dal proprio sesso, e per quanto resistano atteggiamenti sessisti io penso che per prime le donne debbano fare film che piacciono a tutti e questo migliorerà ancora di più le cose. C'è tanta strada da fare, ma la direzione è quella giusta".
Alla domanda (piuttosto stupida) se cercherà o meno di far vincere il Leone d'Oro a una donna, l'attrice è stata chiara: "Non ho accettato l'incarico con questo atteggiamento".

E a proposito di donne, Annette Bening è presidente di una giuria divisa perfettamente a metà, ci sono infatti quattro donne, Jasmine Trinca, Ildikó Enyedi, Rebecca Hall e Anna Mouglalis, e quattro uomini Michel Franco, David Stratton, Edgar Wright, e Yonfan.

martedì 29 agosto 2017

Death Note - la recensione

Death Note, l'anime tratto dall'omonimo manga di Tsugumi Oba e Takeshi Obata, è a ragione considerato uno dei  capolavori dell'animazione giapponese. Si capisce quindi perché l'annuncio che Netflix ne avrebbe prodotto una versione live action sia stato accolto con grandi aspettative e grandi paure. Già dai primi casting sono scoppiate le polemiche, che non hanno fatto che aumentare una volta diffuso in rete il primo trailer.


L'idea di trasporre una storia iconica e densa di significati morali come quella di Death Note in una cornice totalmente diversa, sfruttando la differente concezione di giustizia e senso morale degli Stati Uniti rispetto al Giappone era estremamente interessante. Purtroppo Adam Wingard, regista del film, e gli autori (gli stessi di Fantastici 4), sembrano non solo non avere la minima conoscenza dell'opera originale, di cui viene stravolto totalmente messaggio e contenuto, ma non sembrano avere nemmeno le idee abbastanza chiare per discostarsi totalmente dalla fonte, continuando a inserire rimandi e citazioni che impediscono allo spettatore di non confrontare le due versioni. I personaggi principali, ad esempio, vogliono discostarsi dalle loro controparti animate ( L che diventa un ragazzo nero, il cognome Turner invece di Yagami, la Misa Amane che diviene Mia Sutton), ma allo stesso tempo si cerca di ripercorrere passo passo le scene chiave dell'anime, condensando un thriller psicologico dai risvolti soprannaturali e dalla durata di quasi 70 ore in circa 90 minuti, col risultato di ottenere un'accozzaglia maldestra di scene action, inseguimenti frenetici e momenti usciti direttamente da un teen drama.

La storia del geniale Light Yagami che entra in possesso di un Quaderno della Morte e lo usa per farsi Dio di un nuovo mondo, libero dalla malvagità e dalla violenza, diventa banalmente la storia d'amore fra due adolescenti uniti dal desiderio comune di farsi giustizia da soli, in una sequenza imbarazzante di azioni stupide e momenti senza capo ne coda, con un Nat Wolff tragicamente inadatto nel ruolo del protagonista. Anche il personaggio di L, che nella storia originale è il perfetto contrappunto alla fredda e calcolatrice mente criminale che è Light, non esce di certo meglio in questa trasposizione: Lakeith Stanfield fa quel che può, ma la scrittura schizofrenica lo riduce spesso e volentieri a una macchietta di cui il colore della pelle è davvero l'ultima delle preoccupazioni rispetto a quello che vediamo sullo schermo. L'unico a salvarsi davvero è il sempre magistrale Willem Dafoe, che presta voce e movenze a Ryuk, il Dio della Morte a cui apparteneva il Quaderno. La resa visiva è accattivante e a tratti spaventosa, riesce a nascondere i limiti di una CGI non perfetta sfruttando le ombre e uno screentime forse troppo limitato.


A livello tecnico il film non è tutto da buttare: Wingard è un regista capace e riesce anche a regalare alcuni movimenti di macchina interessanti, la fotografia cupa rende giustizia alla città di Seattle in cui si svolgono le vicende, ma non è minimamente sufficiente a nascondere una sceneggiatura a tratti imbarazzante (in particolare ci sono un paio di scene in cui ci si ferma a chiedersi se davvero abbiamo visto quello che abbiamo visto), personaggi irritanti e una colonna sonora che definire fuori luogo è poco.
Tutto ciò che si poteva sbagliare in questo film è stato sbagliato, manca assolutamente sia la componente psicologica che morale che hanno fatto grande l'opera originale, vorrebbe discostarsi totalmente dalla storia del manga e dell'anime ma allo stesso tempo continua a inserire citazioni e addirittura scene intere identiche a quelle animate, con il risultato che i fan si sentiranno insultati e lo spettatore casuale confuso.
Eppure il più grande, imperdonabile difetto di questa trasposizione di Death Note targata Netflix è che siamo di fronte a un film brutto a prescindere, pieno di buchi narrativi, personaggi scritti male, scene ridicole e pezzi pop inseriti a caso. 
L'unico vero pregio è che, nonostante il finale sia davvero terribile, bisogna pazientare solo 90 minuti.


lunedì 21 agosto 2017

La Torre Nera: la recensione

L'opera letteraria (probabilmente) più complessa di Stephen King arriva al cinema.

La Torre Nera, pellicola diretta dal regista danese Nikolaj Arcel (Royal Affair) è approdata nelle nostre sale il 10 agosto e, a differenza del materiale letterario da cui è tratta, è meno complessa di quanto si pensi.

Approssimativo. Questo è La Torre Nera. Un lungometraggio che (purtroppo) non emoziona, non rapisce, non coinvolge nonostante la materia di base indubbiamente affascinante. Un prodotto essenzialmente privo di personalità che neanche due big come Idris ElbaMatthew McConaughey riescono a sollevare dalla polvere su cui pone le proprie basi.

La durata insolita e una produzione decisamente travagliata sono probabilmente i due aspetti che più hanno influenzato la riuscita finale. È quasi inaccettabile che un prodotto audiovisivo di questo genere venga recluso in soli 95 minuti, ovvero un tempo davvero troppo stretto se si ha la pretesa di raccontare un universo così ampio come quello creato da King nella serie della Torre Nera. 

Eppure non tutto è effettivamente da buttare nel film di Arcel. Gli effetti visivi infatti fanno bene o male il proprio lavoro (a parte qualche sequenza più trascurata). Ciò comunque non riesce a salvare una delle trasposizioni più vacue che siano mai state realizzate negli ultimi anni.

martedì 8 agosto 2017

High Rise: il Condominio - la recensione

Londra, 1975. Robert Laing, giovane medico segnato dalla morte della sorella, si trasferisce in un un lussuoso ed enorme condominio, una vera e propria città su più piani dotata di qualsiasi servizio, dalla piscina al supermercato, i cui abitanti praticamente non escono mai se non per recarsi a lavoro. La struttura sociale del condominio, basata sul “piano” di appartenenza, con i più ricchi in alto e le famiglie con bambini ai margini nei piani bassi, si fa sempre più chiusa e le tensioni tra i condomini aumentano a dismisura, fino a degenerare in un isolazionismo fatto di violenza e follia sempre più marcate.
Così come il romanzo di Ballard da cui è tratto, il film del regista britannico Ben Wheatley, è una vera e propria distopia, nonostante non sia ambientato nel futuro ma anzi in un passato anche abbastanza distante da noi, eppure la situazione di claustrofobica angoscia che ne scaturisce, accentuata da una fotografia molto grigia e da una regia che gioca moltissimo con i rallenty e le inquadrature più statiche, è palpabile.
Wheatley spinge sul tasto del grottesco più che su qualsiasi altro, e in questo senso il film è decisamente riuscito, provocando un crescente senso di disagio nello spettatore, disagio che culmina nella circolarità tra scena iniziale e finale, molto efficace. Manca però l’ultimo step, quel qualcosa in più che avrebbe reso il tutto davvero memorabile, una riflessione più profonda sulla lotta di classe e sulla follia umana che non viene mai davvero sviscerata fino in fondo, lasciando un po’ la sensazione di incompiuto, una certa insoddisfazione.

Il cast è davvero notevole: Tom Hiddleston non ha certo bisogno di dimostrare nulla ormai, riesce facilmente a spostarsi da un registro più leggero a una scena di violenza con grande facilità ed efficacia, sfrutta la sua fisicità senza mai essere fuori posto, insomma davvero una gran prova questa per lui; altrettanto fantastico Jeremy Irons, pur con molto meno screen time, ma la presenza scenica di questo interprete è notevole e rimane incredibilmente impresso; non particolarmente in parte invece Luke Evans, che fa quel che può ma il suo personaggio scade spesso nella macchietta e non riesce ad incidere veramente, anche se c’è da dire che è più colpa della sceneggiatura che sua, così come Sienna Miller, spesso incerta e poco incisiva.

In sostanza, High Rise è un film sicuramente suggestivo e straniante, vale senza dubbio la visione, ma non riesce a soddisfare al cento percento, probabilmente un pizzico di coraggio e cattiveria in più avrebbe giovato alla riuscita complessiva.