mercoledì 30 maggio 2018

Dogman - la recensione

In una periferia squallida e quasi post apocalittica Marcello, un uomo mite, dalla voce e dagli atteggiamenti spesso infantili, si divide fra la gestione del suo modesto negozio di toelettatura per cani, l'amore per la figlia Alida e lo strano rapporto di sudditanza con Simoncino, un ex pugile che terrorizza il quartiere con i suoi soprusi e la sua violenza cieca.
Una rapina finita male porta il mite Marcello ad escogitare la sua vendetta dagli esiti inaspettati e brutali.


In questo mondo che sembra irreale, sospeso nell'indefinibile delle periferie degradate di un'Italia in cui ogni cosa può essere risolta con la violenza, il personaggio interpretato da Marcello Fonte (premiato allo scorso Festival di Cannes per la sua interpretazione) sembra allo stesso tempo sia fuori posto con la sua mitezza e il suo amore per i cani, che una sorta di angelo salvifico, che placa quella stessa violenza con parole gentili, allo stesso modo in cui trasforma nella scena iniziale del film il dobermann ringhiante in un cane affettuoso semplicemente chiamandolo più e più volte amore, con la o strascicata di quando si parla a un bambino.
Matteo Garrone parte da una vicenda di cronaca (il cosiddetto Omicidio del Canaro della Magliana) ma non è interessato a riportare fedelmente una vicenda violenta di alcuni anni fa, ma vuole esplorare quella violenza, capire il nesso che c'è fra umano e bestiale, cogliere da dove quella violenza venga e riproporlo allo spettatore sotto forma di un'atmosfera cupa, squallida, ma in un certo senso sognante.


Dogman è un film di incredibile potenza narrativa nel contrapporre umanità e bestialità, gentilezza e violenza, che gode di un equilibrio perfetto fra la regia impeccabile, una fotografia dove il giallo e il nero fanno da padroni, la sceneggiatura e un magnifico cast, con Marcello Fonte a ergersi su tutti gli altri. Se si cerca un thriller d'azione allora non è questo il film giusto, ma se si cerca un'opera magistrale non si può non uscire dal cinema appagati.

martedì 29 maggio 2018

Nastri d'Argento 2018 - le nomination

Sono state annunciate poco fa le nomination ai Nastri d'Argento 2018, premio assegnato dalla SNGCI, cioè il Sindacato Nazionale Giornalisti Cinematografici Italiani. In tutto sono 47 i film nominati quest'anno, selezionati tra i titoli usciti nelle sale dal 1 giugno 2017 al 31 maggio 2018.

A ricevere più nomination è stato LORO di Paolo Sorrentino, con la prima e seconda parte riuniti in un unico film. Diverse nomination anche per Dogman, Ammore e Malavita, A casa tutti bene, con quest'ultimo che ha già ricevuto un Nastro Speciale per il cast.

I Nastri Speciali sono stati annunciati da qualche giorno ormai e saranno consegnati questa sera in una cerimonia speciale al MAXXI di Roma. A Gigi Proietti sarà consegnato il Nastro alla Carriera, Paolo Taviani riceverà un Nastro Speciale, anche in ricordo di suo fratello Vittorio, scomparso da poco. Assegnati anche due Nastri Cinema Internazionale, a Paolo Virzì per il suo Ella & John, e a Vittorio Storaro per la fotografia de La ruota delle Meraviglie di Woody Allen. Il sindacato ha inoltre assegnato un Nastro "Argentovivo" Cinema & Ragazzi a Gabriele Salvatores per il suo Il Ragazzo Invisibile - Seconda Generazione. Un Nastro Speciale sarà consegnato anche ai realizzatori del film d'animazione Gatta Cenerentola, e un altro al casting director di Dogman.

Per i Nastri d'Argento annunciati invece, niente cinquine, le categorie sono a "numero libero" e anche "di gruppo", come nel caso di Valeria Golino e Alba Rorhwacher nella categoria migliore attrice protagonista.

Ecco i nominati del 2018. La serata di premiazione si terrà il 30 giugno, come di consueto, presso il Teatro Antico di Taormina.

Miglior Film
A Ciambra  - Jonas Carpignano
Chiamami col tuo nome - Luca Guadagnino
Dogman - Matteo Garrone
Lazzaro Felice - Alice Rohrwacher
Loro - Paolo Sorrentino    

Miglior Regista
Paolo Franchi - Dove non ho mai abitato
Matteo Garrone - Dogman
Luca Guadagnino - Chiamami col tuo nome
A casa tutti bene - Gabriele Muccino
Susanna Nicchiarelli - Nico 1988
Ferzan Ozpetek - Napoli velata
Paolo Sorrentino - Loro

Miglior Regista Esordiente
Valerio Attanasio - Il Tuttofare
Donato Carrisi - La ragazza nella Nebbia
Fabio D'Innocenzo, Damiano D'Innocenzo - La terra dell'abbastanza
Annarita Zambrano - Dopo la guerra

Miglior Commedia
Ammore e malavita - Manetti Bros.
Benedetta follia - Carlo Verdone
Brutti e Cattivi - Cosimo Gomez
Come un gatto in tangenziale - Riccardo Milani
Metti la nonna in freezer - Giancarlo Fontana, Giuseppe Stasi
Smetto quando voglio: Ad Honorem - Sydney Sibilia

Miglior Soggetto
Figlia mia - Laura Bispuri, Francesca Manieri
Io c’è - Alessandro Aronadio, Renato Sannio, Edoardo Leo
L’equilibrio - Vincenzo Marra
L’esodo - Ciro Formisano
L’ordine delle cose - Marco Pettenello, Andrea Segre
Made in Italy - Luciano Ligabue
Una famiglia - Andrea Cedrola, Stefano Grasso, Sebastiano Riso

Migliore Sceneggiatura
A casa tutti bene - Gabriele Muccino, Paolo Costella con la collaborazione di Sabrina Impacciatore
Dogman - Matteo Garrone, Ugo Chiti, Massimo Gaudioso
L’intrusa - Leonardo Di Costanzo, Maurizio Braucci, Bruno Oliviero
Loro - Paolo Sorrentino, Umberto Contarello
Nico 1988 - Susanna Nicchiarelli

 Miglior Produttore
Archimede e Rai Cinema - Matteo Garrone e Paolo Del Brocco - Dogman
Indigo Film - Nicola Giuliano, Francesca Cima, Carlotta Calori, Viola Prestieri - Loro, Il Ragazzo Invisibile: Seconda generazione
Lotus Production (società Leone Film Group) - Marco Belardi (Con Rai Cinema) - A casa tutti bene, Hotel Gagrin
Lotus è anche candidata per la produzione esecutiva di The Place
Madeleine - Carlo Macchitella e Manetti Bros. Film (con Rai Cinema) - Ammore e Malavita
Medusa Film - Giampaolo Letta - The Place
Pepito Produzioni - Agostino, Maria Grazia, Giuseppe Saccà (con Rai Cinema) - Terra dell’abbastanza
e in associazione con Achab Film e in collaborazione con Gran Torino Productions - Dove non ho mai abitato
Vivo Film - Marta Donzelli, Gregorio Paonessa (con Rai Cinema) - Nico 1988
E con Colorado Film e Rai Cinema - Figlia mia

Miglior Attore Protagonista
Giuseppe Battiston - Finché c’è prosecco c’è speranza, Dopo la guerra
Alessio Boni - La ragazza nella nebbia, Respiri
Marcello Fonte, Edoardo Pesce - Dogman
Valerio Mastandrea - The Place
Toni Servillo - Loro

Miglior Attrice Protagonista
Valeria Golino, Alba Rohrwacher - Figlia mia
Lucia Mascino - Amori che non sanno stare al mondo
Giovanna Mezzogiorno - Napoli Velata
Luisa Ranieri - Veleno
Elena Sofia Ricci - Loro

Miglior Attore non Protagonista
Peppe Barra - Napoli Velata
Stefano Fresi - Nove lune e mezza, Smetto quando voglio: Ad Honorem
Vinicio Marchioni - Il contagio, The Place
Riccardo Scamarcio - Loro
Thomas Trabacchi - Amori che non sanno stare al mondo, Nico 1988

Miglior Attrice non Protagonista
Adriana Asti - Nome di donna
Nicoletta Braschi - Lazzaro Felice
Anna Foglietta - Il contagio, Il premio
Sabrina Ferilli - The Place
Kasia Smutniak - Loro                                                                                           

Miglior Attore Commedia 2018
Antonio Albanese - Come un gatto in tangenziale
Carlo Buccirosso e Giampaolo Morelli - Ammore e Malavita
Sergio Castellitto - Il Tuttofare
Edoardo Leo - Smetto quando voglio: Ad Honorem, Io c’è
Marco Giallini - Io sono tempesta
Massimo Popolizio - Sono tornato
Carlo Verdone - Benedetta Follia 

Miglior Attrice Commedia 2018
Sonia Bergamasco - Come un gatto in tangenziale
Barbara Bouchet - Metti la nonna in Freezer
Paola Cortellesi - Come un gatto in tangenziale
Claudia Gerini, Serena Rossi - Ammore e Malavita
Miriam Leone - Metti la nonna in freezer
Ilenia Pastorelli - Benedetta follia
Sara Serraiocco - Brutti e cattivi                                                                             

Miglior Fotografia
Francesca Amitrano - Ammore e Malavita
Marco Bassano - Made in Italy
Luca Bigazzi - Loro, Ella & John - The Leisure Seeker
Gian Filippo Corticelli - Napoli Velata
Vladan Radovic - Figlia mia, Smetto quando voglio: Ad Honorem

Migliore Scenografia
Giorgio Barullo - Dove non ho mai abitato
Dimitri Capuani - Dogman
Emita Frigato - Lazzaro Felice
Ivana Gargiulo - Napoli Velata
Rita Rabassini - Il ragazzo invisibile: Seconda generazione

Migliori Costumi
Massimo Cantini Parrini - Dogman, La terra dell’abbastanza
Alessandro Lai - Napoli velata
Carlo Poggioli - Loro
Daniela Salernitano - Ammore e malavita
Nicoletta Taranta - Agadah, A Ciambra        

Miglior Montaggio
Claudio di Mauro - A casa tutti bene
Walter Fasano - Chiamami col tuo nome
Giogio’ Franchini - Made in Italy, Riccardo va all’inferno
Marco Spoletini - Dogman
Cristiano Travaglioli - Loro

Miglior Sonoro in presa diretta
Lavinia Burcheri - Ammore e malavita
Stefano Campus - Figlia mia
Fabio Conca - Napoli Velata
Adriano Di Lorenzo - Nico 1988
Maricetta Lombardo - Dogman, L’intrusa

Miglior Colonna Sonora
Pasquale Catalano - Napoli velata
Antonio Fresa e Luigi Scialdone - Gatta Cenerentola
Gatto Ciliegia contro ll grande freddo - Nico 1998 
Luciano Ligabue - Made in Italy
Lele Marchitelli - Loro
Nicola Piovani - A casa tutti bene
Pivio e Aldo De Scalzi - liriche di Nelson - Ammore e malavita     

Miglior Canzone Originale
Amori che non sanno stare al mondo - Amori che non sanno stare al mondo 
Arrivano i prof - Arrivano i prof
Bang Bang - Ammore e malavita 
Durango Blues - Benedetta Follia
Fidati di me – Riccardo va all’inferno
Ho cambiato i pieni - Nove lune e mezza
Proof - Il premio
Sconnessi - Sconnessi
The Place - The Place
Tiemp’e veleno - Veleno

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Intanto online ha debuttato il nuovo sito dei Nastri d'Argento.

lunedì 28 maggio 2018

Solo: A Star Wars Story - la recensione

L'universo di Star Wars si espande e continua a riempire gli spazi tra i vari capitoli della saga principale. Dopo aver reso omaggio agli sconosciuti eroi di Rogue One, questo secondo spin off ci porta a conoscere le origini di uno dei personaggi più amati della saga: Han Solo.

In Solo: A Star Wars Story incontriamo Han quando non era ancora "Solo" ma soltanto un ragazzo in fuga da una situazione di miseria, da cui vuole portare via anche la sua ragazza, e con il sogno diventare un grande pilota. Le cose ovviamente non andranno come aveva immaginato. Han si ritroverà in battaglia, nel fango (letteralmente), e per uscire da un'altra situazione pericolosa si unirà a un gruppo di contrabbandieri che gli insegnerà le regole del mestiere, lezioni di vita che lo porteranno sul sentiero che lo farà diventare l'Han Solo che ha fatto la rotta di Kessel in meno di 12 parsec.

L'attesa che ha preceduto il secondo spin off della saga di Star Wars è stata particolare, piena di sensazioni contrastanti. Un film fortemente voluto dai fan e al tempo stesso molto temuto, e la produzione travagliata non ha fatto che aumentare il timore. E poi c'è sempre il pericolo "zoccolo duro", cioè quel gruppetto di fan super integralisti che non accettano niente di diverso da quello che hanno immaginato negli anni, quello stesso gruppetto che ha stupidamente osteggiato Gli Ultimi Jedi solo perché secondo loro "non doveva essere così". Un rischio che purtroppo corre anche questo film che invece ha molto da offrire, sia in termini di storia che di intrattenimento.

Nonostante le difficoltà di produzione, Solo: A Star Wars Story ha saputo trovare la sua forma e di questo va dato grande merito a Ron Howard, chiamato in corsa a sostituire Phil Lord e Christopher Miller, licenziati per divergenze creative dopo aver girato oltre metà film. Il regista ha saputo disegnare un preciso stile per il film, classico e un po' rétro, quasi anni '80, curando molto i particolari, dai costumi alle scenografie, fino alle musiche e alle citazioni (ben inserite), senza mai dimenticarsi dei personaggi e della storia.
Il film probabilmente non racconta quello che tutti ci saremmo aspettati, non affonda mai nel drama e non scende in profondità, ma con una storia movimentata, divertente e avventurosa, mette un acerbo Han nelle condizioni di diventare l'Han Solo della trilogia classica, e ce lo mostra in una fase ancora "embrionale" suggerendo i motivi che poi l'hanno trasformato nel personaggio che tutti abbiamo amato.
Ovviamente nel film c'è un collegamento con la saga principale e anche in questo caso non è quello che avremmo immaginato, e racconta, anzi accenna, agli albori di qualcosa che più avanti conosceremo molto bene.

Buone le caratterizzazioni dei personaggi di contorno, Emilia Clarke, Paul Bettany, una Thandie Newton "super cool" (che avrebbe meritato più spazio), ma a spiccare più di tutti sono senza dubbio il sempre bravo Woody Harrelson e Donald Glover, nei panni di Lando Calrissian. E non bisogna dimenticarsi dei personaggi non umani: Chewbecca, il suo rapporto con Han è una parte essenziale del film, e il droide L3-37, che si va ad aggiungere alla lista di meravigliosi droidi che la saga di Star Wars ci ha regalato.
Capitolo a parte per il protagonista Alden Ehrenreich. Nei mesi passati se ne sono sentite tante sul suo conto, tutte chiacchiere e malelingue. Il suo era il compito più difficile, raccogliere la pesantissima eredità di Harrison Ford, ma se l'è cavata alla grande, riuscendo a non cadere mai nel tranello dell'imitazione dell'Han Solo originale e a fare suo il personaggio.

Solo: A Star Wars Story non avrà la profondità drammatica di Rogue One, o l'atmosfera epica degli episodi della saga principale, ma è un grande film d'intrattenimento, ben girato e ben recitato. Due ore di avventura e divertimento con uno dei personaggi più amati della Galassia lontana lontana.

sabato 19 maggio 2018

Cannes 2018 - Palma d’Oro a Shoplifters. Due premi anche al Cinema Italiano.

Si è conclusa poco fa la cerimonia di premiazione del Festival di Cannes, dove la meravigliosa presidente di giuria, Cate Blanchett, ha annunciato i vincitori della 71a edizione.

Italia decisamente protagonista ma la Palma d'Oro è andata al film Shoplifters del regista giapponese Hirokazu Kore'eda. Un nome che gli esperti di "toto-palma" non avevano preso in considerazione.

Sul palco a premiare sono saliti tre italiani, Roberto Benigni, travolgente come suo solito, Chiara Mastroianni, e Asia Argento, che ha portato sul palco la protesta delle donne raccontando, senza giri di parole, la violenza subita anni fa, proprio a Cannes, da Harvey Weinstein. Il suo discorso, proprio in apertura, è stato piuttosto duro (buttando anche un certo gelo in sala) e anche vagamente minaccioso quando ha detto che probabilmente in sala erano presenti uomini che hanno avuto comportamenti riprovevoli in passato, e poi ha concluso con un "ricordate, noi sappiamo chi siete. Non lo permetteremo più". Un discorso molto sentito dall'attrice italiana, apparsa piuttosto nervosa, che alla fine ha trattenuto a fatica la commozione, soffocata da un abbraccio di Ava DuVernay. C'è voluta tutta la classe e l'eleganza di Cate Blanchett, a cui Asia Argento ha poi ceduto la parola per i premi, per riprendere in mano il discorso premiazione che hanno visto l'Italia trionfare.

Due premi per il Cinema Italiano, Alice Rohrwacher ha ricevuto il Prix du scénario, premio alla sceneggiatura, per il suo Lazzaro Felice, premio a pari merito con 3 Faces di Jafar Panahi, il regista iraniano agli arresti domiciliari nel proprio paese.
Altro premio all'Italia quello al migliore attore, uno scioccato Marcello Fonte, protagonista di Dogman di Matteo Garrone.

Cate Blanchett ha poi annunciato un premio nuovo (cioè inventato per l'occasione), la Palma d'oro speciale, consegnata al regista Jean-Luc Godard per il suo The Book of Images. Il regista non era presente, il premio è stato ritirato dai produttori. Gran Premio della giuria a Spike Lee per BlacKkKlansman.

La cerimonia è finita in modo insolito, con tutti i vincitori e la giuria che si sono trasferiti sul red carpet per sentire cantare Sting. Un finale un po'... pop.

Qui tutti i premi della serata.

Palma d’Oro
Kore-Eda Hirokazu, Shoplifters

Gran Premio della Giuria
Spike Lee, BlacKKKlansman

Premio della Giuria
Nadine Labaki, Capharnaum

Palma d’Oro Speciale
Jean-Luc Godard, The Book of Images

Migliore Attrice
Samal Yeslyamova, My Little One

Miglior Attore
Marcello Fonte, Dogman

Miglior Regista
Pawel Pawlikowski, Cold War

Miglior Sceneggiatura
Alice Rohrwacher, Lazzaro Felice
Nader Saeivar, 3 Faces

Caméra d’Or
Girl, dir: Lukas Dhont

Palma al Miglior Cortometraggio
All These Creatures, dir: Charles Williams
Special Mention: On The Border, dir: Wei Shujun, The Book of Images

venerdì 18 maggio 2018

Cannes 2018 - giorno 10

Il festival si avvia verso la sua conclusione e mentre aspettiamo la Palma d'Oro con gli ultimi film in Concorso, nelle sezioni parallele sono arrivati i primi premi, e c'è gloria anche per l'Italia.
Troppa Grazia di Gianni Zanasi ha vinto il Label di Europa Cinémas, il premio degli esercenti europei alla Quinzaine des Réalisateurs, mentre Border di Ali Abbasi ha vinto nella sezione Un Certain Regard.

In Concorso invece, presentato un film che odora di premio, secondo molti addirittura di Palma d'oro, si tratta di Capharnaum, della regista libanese Nadine Labaki.

Il film racconta l'odissea di un ragazzino, Zain (Zain Al Rafeea), di cui non si conosce nemmeno l'età perché i genitori non l'hanno registrato all'anagrafe. Proveniente da una famiglia molto povera, ignorante e manesca, Zain è uno dei tanti figli della coppia di genitori, la sorella, di soli undici anni, viene data in sposa al loro padrone di casa, allora Zain per protesta scappa e finisce a vivere con una prostituta etiope madre di un bambino piccolo. Poi però la donna scompare, Zain inizialmente si occupa del bambino ma poi è costretto a darlo a un individuo che vuole usarlo per commercio. Zain poi scopre che la sorella è morta perché rimasta incinta del marito, così Zain accoltella l'uomo per vendetta e viene arrestato. Dalla prigione Zain riesce a telefonare a una tv per comunicare la sua decisione: fare causa ai propri genitori per averlo messo al mondo.

Una storia complessa e molto drammatica che ha avuto un'ottima accoglienza sia alla proiezione per il pubblico che a quella per la stampa, anche se qualcuno l'ha definita un po' "ricattatoria" nei temi.

Un film che ha avuto una lavorazione piuttosto lunga, sei mesi di riprese, 520 ore di girato e tutti attori non professionisti, e in cui la regista, che nel film interpreta l'avvocato di Zain, è riuscita ad inserire tutti i temi che le stavano più a cuore. "Il film nasce dal fatto che, insieme a mio marito [Khaled Mouzanar, compositore e produttore del film], ragionavo su quello di cui volevo parlare, le mie tante ossessioni del momento", ha raccontato Nadine Labaki, "Lui mi ha detto proprio così, questo è un 'cafarnao'. Avevo scritto tanti foglietti con i temi che mi interessavano e li avevo appiccicati su una lavagna in soggiorno: immigrazione illegali, bambini maltrattati, la frontiera e la sua assurdità, il fatto che abbiamo bisogno di un certificato per provare che esistiamo e che senza quel certificato non si può emigrare, andare a a scuola p essere curati all'ospedale, il razzismo, la paura dell'altro, l'indifferenza alla Convenzione dei Diritti dell'Infanzia".

Nel film spicca l'interpretazione del giovane protagonista, Zain Al Rafeea, che durante la conferenza stampa si è anche appisolato.

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Sempre in Concorso, presentato il film Un Couteau dans le Coeur di Yann Gonzalez. Con Vanessa Paradis protagonista.

La storia del film è ambientata nell'ambiente dei porno gay, con Vanessa Paradis nei panni di una produttrice di porno di serie B che si vede abbandonare dalla sua montatrice e amante. Grazie all'aiuto del suo fidato braccio destro, cerca di girare il suo miglior film per tornare in auge, ma un misterioso serial killer mascherato comincia ad uccidere i suoi attori.

Un film pieno di citazioni, riferimenti e omaggi a tanti registi, da Dario Argento a Brian De Palma, che per il personaggio principale ha preso spunto da una vera produttrice di porno, davvero innamorata della sua montatrice. "Una donna potente, ma anche imperfetta, ingiusta, eccessiva", così l'ha descritta il regista, che inizialmente aveva pensato di girare un documentario su di lei, "Ho incontrato molte persone che l’avevano conosciuta o che hanno lavorato con lei. Ho raccolto molto materiale e alla fine ho capito che era la base ideale per un film di finzione".
Felice di essere a Cannes la protagonista del film, Vanessa Paradis: "Volevo tornare al festival per difendere un lavoro di cui sono molto orgogliosa, mi sento fortunata ad averlo fatto perché per un attore è un sogno poter recitare una parte così intensa e ricca, e poter interpretare un personaggio che attraversa tutti gli stati d'animo, il disastro, la violenza, la passione".

Accolto in modo freddo dalla stampa, il film non ha particolarmente convinto.

giovedì 17 maggio 2018

Cannes 2018 - giorno 9

Secondo film italiano in Concorso al festival, si tratta di Dogman, atteso nuovo lavoro di Matteo Garrone.

Il film racconta la storia di Marcello (Marcello Fonte), un uomo minuto, fisicamente fragile, dal carattere gentile, che gestisce una toletta per cani e stravede per la figlioletta Alida. E poi c'è Simoncino (Edoardo Pesce), un ex pugile dal fisico imponente, cocainomane e manesco. Con il suo comportamento Simoncino tiene sotto scacco l'intero paese, in particolare se la prende spesso con Marcello, che subisce continuamente i soprusi di Simoncino in una escalation che lo porta a un atto di follia.

C'era molta attesa intorno al film di Matteo Garrone e anche molta curiosità visto che la storia del film è liberamente ispirata a uno dei fatto di cronaca più efferati e inquietanti degli ultimi 30 anni, cioè la storia del "Canaro della Magliana". Il film però prende solo spunto da quel fatto, come ha ripetuto più volte Garrone durante le interviste e la conferenza stampa. "Dogman è un film che si ispira liberamente al fatto di cronaca nera accaduto trent'anni fa", ha specificato il regista, "ma che non vuole in alcun modo ricostruire i fatti come si dice che siano avvenuti".
Garrone ha lavorato al film per più di un decennio, la svolta è arrivata dopo l'incontro con Marcello Fonte, che sarebbe poi diventato il protagonista del film. "Ho iniziato a lavorare alla sceneggiatura dodici anni fa. nel corso del tempo l'ho ripresa tante volte, cercando di adattarla ai miei cambiamenti", ha raccontato il regista, " Poi finalmente, un anno fa, l'incontro con Marcello Fonte. La sua umanità ha chiarito dentro di me come affrontare una materia così cupa e violenta, e il personaggio che volevo raccontare: un uomo che nel tentativo di riscattarsi dopo una vita di umiliazioni, si illude di aver liberato non solo se stesso, ma anche il proprio quartiere e forse anche il mondo. Che invece rimane sempre uguale, e quasi indifferente".
Il personaggio di Marcello non è il classico uomo mite che si trasforma in mostro, Garrone ha lavorato molto per evitare di cadere nei classici cliché. "Questa è una storia che poteva succedere a chiunque di noi", ha spiegato il regista, "La forza del personaggio di Marcello è di riuscire a trasmettere comunque umanità e dolcezza: lui rimane incastrato dentro a meccanismi che non gli appartengono. E fino alla fine riesce a non trasformarsi in mostro. Marcello è un personaggio naif e la sua grande umanità credo sia la forza del film".

Accolto molto bene dal pubblico ieri sera e ottimamente dalla stampa. Matteo Garrone a Cannes ha già vinto due Gran Prix, chissà che non sia arrivato il momento di un altro premio.

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Sempre in Concorso, è stato presentato anche Burning, il nuovo film di Lee Chang-dong.

Il film racconta un triangolo tra il giovane Jongsu, una ragazza, Haemi, e il ragazzo che Haemi conosce durante un viaggio in Africa, il ricco e vizioso Ben. Mentre Haemi è in viaggio per l'Africa, Jongsu le guarda il gatto, un "gatto fantasma" che non appare mai. Jongsu viene spinto in questo triangolo, attirato da Haemi, che però un giorno sparisce.

Tratto dal racconto breve "Barn Burning" di Haruki Murakami, il film di Lee Chang-dong è un po' storia d'amore e un po' giallo, con tanto di parentesi processuale.
"Quando ho iniziato a leggere il libro mi sono subito accorto che era una storia molto bella ma in cui non succedeva nulla", ha raccontato il regista, "eppure in questo nulla c'era un elemento di mistero molto affascinante che poteva essere sviluppato in un racconto cinematografico".

Il film ha avuto una buona accoglienza da parte della critica.

Deadpool 2 - la recensione

Il Mercenario Chiacchierone è tornato, ed è più in forma che mai!
Il più irriverente e "scorretto" supereroe dell'universo dei cinecomic ha conquistato con l'ironia e con una discreta dose di sangue il suo secondo capitolo cinematografico, confermando ogni aspettativa su di lui. Questa volta a dirigerlo troviamo David Leitch, noto e talentuoso regista di titoli come Atomica Bionda e John Wick.

Ryan Reynolds veste ancora i panni di Deadpool che questa volta verrà affiancato anche da altri personaggi del mondo Marvel, oltre a quelli già visti nel film del 2016, coinvolgendoli in mirabolanti avventure che lo porteranno faccia a faccia con Cable (un non troppo convinto Josh Brolin), una sorta di super soldato venuto dal futuro per scongiurare un evento decisamente drammatico.

Nulla da dire sul lungometraggio. Effettivamente ci pensa il Mercenario Chiacchierone a parlare per tutto il tempo, regalando sia battute dissacranti che sketch memorabili, anche se alcuni un po' ridondanti e inutilmente lunghi. La regia fila liscia come l'olio senza nessun momento morto (si fa per dire). A differenza del capitolo iniziale, questo Deadpool 2 risulta vagamente meno rifinito nella costruzione della trama, trama che questa volta lascia totalmente spazio all'irriverenza del protagonista. Un minestrone ben preparato con violenza, volgarità, irriverenza e azione. Una minestra che (per ora) non stanca, e anzi, se ne vorrebbe sempre di più. Lode a Deadpool... e a Céline Dion!


mercoledì 16 maggio 2018

Cannes 2018 - giorno 8

Ieri il red carpet stellare di Solo: A Star Wars Story e il passaggio al festival di John Travolta, in giornata protagonista di un incontro con il pubblico, oggi si va avanti con il Concorso, in attesa della presentazione, questa sera, del nuovo film di Matteo Garrone, Dogman.

Presentato in Concorso il film Under the Silver Lake, di David Robert Mitchell, che vede protagonista Andrew Garfield e Riley Keough (entrambi assenti al festival).

Il film racconta la storia di un trentenne (Garfield) disincantato e insoddisfatto che sogna una vita da star. Nonostante la sua vita stia prendendo una brutta piega, con uno sfratto che pende sulla sua testa e il sequestro della sua auto, il ragazzo non ha nessuna voglia di andare a lavorare. La sua monotona vita però si interrompe quando una ragazza, sua vicina di casa (Keough), scompare. Il ragazzo inizierà così una surreale ricerca convinto che dietro quella sparizione ci sia un segreto da scoprire.

Under the Silver Lake è ambientato a Los Angeles, la città di Hollywood, il luogo dove prendono forma film e dove nascono le star. "L'idea per il film è nata mentre mia moglie e io parlavamo delle case sulle colline di Hollywood", ha raccontato Mitchell, "Ci chiedevamo cosa succede veramente lì, dietro quelle finestre?".
Il film è un mix di thriller e commedia, che spesso strizza l'occhio (con le dovute grandi differenze) al cinema di Lynch ed è pieno di riferimenti e citazioni. "La cultura pop è ormai l'unica cultura, un lago in cui tutti ci bagniamo", ha dichiarato il regista, "I film, la musica e le riviste modellano la nostra cultura, ma alcune cose accadono a nostra insaputa, sotto la superficie dell'acqua. Il film ha nel mistero la sua chiave di lettura. Io potrei farvi la lista, lunghissima dei riferimenti cinematografici e musicali, spiegarvi il senso di ogni simbolo o indizio ma non farebbe bene al film. Quel che posso dire è che alla base del film c'è una domanda che riguarda la cultura pop ed è 'credi nell'amore e nell'arte o nei soldi e nel potere'? La risposta è personale".

Accoglienza freddina per il film da parte della stampa.

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E' francese il secondo film presentato in Concorso oggi, si tratta di En Guerre, diretto da Stephane Brizé.

Al centro della storia il rappresentante sindacale Laurent Amédéo, che si schiera al fianco di 1100 operai contro la fabbrica Perrin, francese ma di casa madre tedesca, che prima chiede ai propri dipendenti di tagliarsi lo stipendio in cambio di un contratto più lungo, poi decide di chiudere e delocalizzare all'estero, lasciando gli operai senza un futuro.

Il film non è tratto da una storia vera ma ha preso ispirazione da diverse realtà. "La mia finzione riflette la realtà", ha dichiarato Stephane Brizé, "un signore, poco prima di entrare in conferenza, mi ha fermato, mi ha stretto la mano, ci ha tenuto a dirmi di essere stato amico di una persona che si è ‘immolata’ nel nome del lavoro. La guerra crea morti".
"Il mio lavoro per il ruolo è stato un atto di schizofrenia, in cui ho creduto davvero", ha invece raccontato il protagonista del film Vincent Lindon, "Ci sono attori che costruiscono e attori che incarnano un personaggio: io ho incarnato Laurent, mi interessava incarnarlo e mi hanno affascinato passione e filosofia. Io adoro i personaggi che sono lontani... molto lontani da me".

Applaudito e apprezzato dalla critica, il film ha ricevuto un buon riscontro soprattutto verso l'interpretazione di Vincent Lindon, che a Cannes ha già vinto come migliore attore nel 2015.

martedì 15 maggio 2018

Cannes 2018 - giorno 7

E' il giorno di uno dei film più attesi del Concorso, si tratta di BlacKkKlansman, nuovo lavoro di Spike Lee.

Il film è ambientato nel Colorado degli anni '70 e racconta la vera storia del poliziotto Ron Stallworth, afroamericano, che riesce ad infiltrarsi nel Ku Klux Klan della sua città. Ron instaura un ottimo rapporto telefonico con i vertici del KKK, persuadendoli a farlo entrare nel gruppo, l'unico ostacolo però è il suo aspetto, così a sostituirlo fisicamente ci pensa il suo collega, bianco e di origine ebraiche, Flip.

Una storia incredibile eppure vera raccontata dallo stesso Stallworth in un libro dai tratti anche umoristici. Protagonisti del film, a dividersi il ruolo di Ron Stallworth, sono John David Washington (figlio di Denzel Washington) e Adam Driver.
"Mi sono reso completamente disponibile alla storia, con lo spirito soprattutto", ha dichiarato Washington, al suo primo ruolo importante in carriera, "Non avevo mai vissuto un'esperienza attoriale così, e ne sono grato". "L’assetto della produzione era molto familiare", ha continuato Adam Driver, "questo ha reso tutto più semplice per essere a proprio agio con la storia". Anche Spike Lee ha voluto sottolineare l'atmosfera molto serena che si è venuta a creare sul set. "Io ho 61 anni, faccio questo lavoro da trent'anni", ha detto il regista, "Era tempo che arrivasse linfa nuova, e sul set si è creata una bella fusione. Fare un buon film è un miracolo, fare cinema è un lavoro molto duro, io non mi sto lamentando ma posso dire di essere stato benedetto da grandi talenti".
Un film ambientato negli anni '70 e girato con uno stile adatto a quel periodo. "Sono stato contento di tornare a girare in pellicola. Abbiamo attinto allo stile dei film degli anni Settanta", ha spiegato il regista, "con un lavoro sulle immagini che ho condiviso con il mio direttore della fotografia".

Il film ovviamente tocca da molto vicino il tema del razzismo, argomento molto attuale negli USA (e in Europa, come ha ricordato esplicitamente Spike Lee), infatti il film si chiude con le immagini dell'attacco di Charlottesville, quando un suprematista bianco si è lanciato con la sua auto sulla folla uccidendo una donna. "Quella tragedia è avvenuta dopo che noi avevamo finito le riprese e appena ho visto cosa era successo ho capito che doveva essere il finale del nostro film", ha spiegato Lee, "Dopo aver avuto l'autorizzazione della madre della ragazza uccisa mi sono detto "fanculo a tutto, mostrerò quello che è stato", un assassinio, una vergogna per l'America intera".
Il regista non ha risparmiato accuse al presidente degli Stati Uniti Donald Trump - usando parole molto decise - colpevole di non aver condannato i fatti di Charlottesville. "Quel figlio di puttana non ha denunciato il fottuto Klan e quei figli di puttana nazisti", ha dichiarato Lee, "Nel momento della tragedia non ha saputo dire una parola nella giusta direzione, non ha ricordato che l'amore può battere l'odio. Guardiamo ai nostri leader per avere una guida, per prendere decisioni morali e invece ecco cosa accade, ma non soltanto negli Usa. Siamo circondati da raccontaballe e dobbiamo svegliarci. Non possiamo più stare zitti, non è una questione di bianchi e di neri, è questione di dire Time's Up per l'odio".

Il film ha avuto una buona accoglienza di pubblico e critica. Negli USA uscirà il 10 agosto.

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Fuori Concorso il festival ha visto il ritorno di Lars Von Trier, di nuovo a Cannes dopo essere stato bandito qualche anno fa.
Il regista danese è tornato e ha dimostrato di non essere cambiato, il suo ultimo film, The House That Jack Built, ha avuto un'accoglienza molto contrastata, tanti fischi, pochi applausi e diverse persone che hanno abbandonato la sala prima della fine, disgustate e inorridite dalle immagini che stavano vedendo.
Il film di Von Trier, con Matt Dillon protagonista, racconta di un serial killer che uccide in modo efferato, smembra le vittime e le riassembla per creare delle "opere d'arte" e raggiungere la perfezione.

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Altro film italiano al festival, presentato nella sezione Un Certain Regard il secondo film da regista di Valeria Golino, Euforia. Nel cast Valerio Mastandrea, Riccardo Scamarcio, Jasmine Trinca, Valentina Cervi, e Isabella Ferrari.

Il film racconta la storia di due fratelli, Matteo e Ettore, costretti improvvisamente a coabitare. Una convivenza complicata che li avvicina e che prenderà una piega molto diversa quando uno dei due scopre la malattia del fratello e deciderà di non dirgli la verità.

Un film che parla di malattia e di morte con un titolo che però spinge nel senso contrario. "L'euforia è quella sensazione bella e pericolosa che coglie i subacquei a grandi profondità", ha dichiarato Valeria Golino, "sentirsi pienamente felici e totalmente liberi. È la sensazione a cui deve seguire l’immediata decisione della risalita prima che sia troppo tardi, prima di perdersi per sempre in profondità".

Il film uscirà nelle sale italiane in autunno ed è già stato venduto in diversi paesi esteri.

lunedì 14 maggio 2018

Cannes 2018 - giorno 6

Mentre il festival va avanti, a Cannes si continua a parlare di diritti delle donne.

Dopo mesi di parole e denunce, un piccolo passo per i fatti. A seguito della marcia sul red carpet, oggi c'è stato un incontro tra i vari movimenti nati in questi ultimi mesi organizzato dal collettivo francese 50/50x2020, #MeToo, l'americano Time's Up, la spagnola Cima, la Greek Women's Wave, e l'italiana Dissenso Comune (rappresentata da una delle sue "fondatrici" Jasmine Trinca e da Ginevra Elkann).
Alla presenza del ministro della Cultura francese Francoise Nyssen, della presidente di giuria Cate Blanchett, e di parte della giuria , Kristen Stewart, Lea Seydoux, Khadja Nin e Ava DuVernay (ma erano presenti anche gli uomini della giuria), è stato firmato un documento per sostenere la parità di genere, il "Programming Pledge for Parity and Inclusion in Cinema Festivals". Con questo documento il delegato generale del festival Thierry Fremaux si è ufficialmente impegnato a combattere il gap tra donne e uomini. "Questa è la fine di un ciclo e l'inizio di una nuova era", ha dichiarato Fremaux, "il mondo è cambiato e deve cambiare ancora, dobbiamo mettere in discussione la nostra storia, i numeri parlano chiaro, con solo 82 registe nella selezione ufficiale in settant'anni".
Il protocollo firmato prevede tre punti chiave: disponibilità di statistiche e dati sulla selezione dei film; garantire trasparenza nei criteri di selezione; parità di genere nel consiglio d'amministrazione e negli organi decisionali.

Nel suo intervento Jasmine Trinca (che insieme a Alba Rohrwacher e Giovanna Mezzogiorno sono state le "menti" che hanno dato il via al movimento italiano) ha raccontato cosa ha portato le attrici ad unirsi e fondare Dissenso Comune: "Ci siamo rese conto che, nonostante la denuncia di Asia Argento e di altre donne, la stampa e l'opinione pubblica italiana non aveva accettato la parola delle donne. Da noi in Italia vige un sistema maschilista, sappiamo bene che senza una rivoluzione culturale non cambieremo mai".
"In Italia viviamo nel paese del bunga bunga, sono considerati comportamenti normali", ha continuato Ginevra Elkann, "Siamo un paese molto cattolico e molto maschilista. Dissenso Comune è partito grazie al coraggio di Asia Argento, che però è stata insultata per le sue denunce. Da noi il gender gap è peggiore che altrove, la disparità dei compensi è enorme. Recentemente, grazie all'impegno di Piera Detassis, questo messaggio è arrivato al presidente della Repubblica Mattarella in occasione dei David di Donatello. Siamo partite in 130, adesso siamo 500".

Attendiamo fiduciosi i prossimi passi.

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Intanto, è stato presentato il primo film italiano in Concorso, Lazzaro Felice, diretto proprio da una donna, Alice Rohrwacher. Nel cast Nicoletta Braschi, Alba Rohrwacher, e il debuttante Adriano Tardiolo.

Il film racconta la storia di Lazzaro, un ragazzo di vent'anni che fa il contadino, un ragazzo felice e buono, di una bontà talmente pura e spontanea da farlo sembrare una persona stupide e troppo ingenua, un ragazzo incapace di pensare male delle persone e per questo facile preda di chi vuole approfittarne.

"Lazzaro rappresenta la possibilità per gli uomini di essere buoni", ha dichiarato Alice Rohrwacher, "Lazzaro rappresenta quelle persone che normalmente non sono mai messe in primo piano, ma sono gli ultimi della fila, pur di non disturbare. Questo film esprime fortemente il bene e il male, è quasi una fiaba, ma i Lazzari in tutto questo intreccio non hanno un giudizio. Verso la storia c’è un giudizio, ma Lazzaro non giudica chi ha davanti, ma ha una fiducia incondizionata nel prossimo".
La regista ha finito il film solo quattro giorni fa, una vera corsa contro il tempo, un film che ha molteplici anime, tra cui anche quella religiosa, ma non in senso comune. "E' anche un film religioso, ma nel senso preistorico del termine", ha spiegato la regista, "la storia di San Francesco, non è palesata espressamente ma c’è. La dimensione spirituale è molto importante nella sua concretezza, materialità. E' un film spirituale ma è anche fatto di corpi, di luoghi, di persone, di odori, di lavori".

Protagonista del film è l'esordiente Adriano Tardiolo, scelto in una scuola durante un casting che non ha voluto fare. "E' la prima volta che faccio un film. Con Alice ci siamo conosciuti per caso, a scuola, dove era stata a fare i provini, a cui non avevo però partecipato", ha raccontato l'attore. "Quando gli abbiamo chiesto se volesse fare il film ha detto gentilmente ‘no, grazie’", ha ricordato Alice Rohrwacher, "Per convincerlo abbiamo iniziato a provare per un mese, alla fine poteva accettare o rifiutare e ha detto sì".
Insolito il ruolo di Nicoletta Braschi, che interpreta una donna odiosa e cattiva. "Ho cercato di passare alla marchesa il disgusto che sentivo e provavo per lei e spero che si senta che lei lo prova un po’ anche per se stessa", ha dichiarato l'attrice, "Sono molto grata ad Alice per avermi chiesto di fare questo ruolo da antagonista. È un personaggio che esiste perché le sue azioni crudeli hanno lasciato traccia in tutti i personaggi. La sua cattiveria ha distrutto la vita di tanti".

Il film è stato accolto molto bene dal pubblico e altrettanto bene dalla critica, tanto che c'è già chi lo mette in una short list di possibili premiati.

domenica 13 maggio 2018

Cannes 2018 - giorno 5

La protesta delle donne è arrivata anche al Festival di Cannes.
Ottantadue donne, capitanate dal presidente di giuria Cate Blanchett e la regista Agnes Varda, hanno sfilato sul red carpet per dire basta alla discriminazione di genere, alle molestie e alla disparità di pagamento.
Alla silenziosa protesta sul red carpet erano presenti i movimenti di vari paesi, #MeToo, Time's Up, il collettivo francese 50/50, quello italiano Dissenso Comune (con Jasmine Trinca e Alba Rohrwacher a rappresentarlo), e tante attrici, le giurate Lea Seydoux, Kristen Stewart, Khadja Nin, Ava DuVernay, poi Marion Cotillard, Salma Hayek, Patty Jenkis, Sofia Boutella, e anche Claudia Cardinale.

Cate Blanchett e Agnes Varda si sono fatte portavoce - la prima in inglese, la seconda in francese - di un messaggio che è stato letto dalle scale della montée des marches. Ecco alcuni passaggi:
"Su queste scale oggi ci sono 82 le donne che rappresentano il numero di registe che hanno salito queste scale dalla prima edizione del Festival di Cannes nel 1946. Nello stesso tempo, 1688 registi maschi hanno salito queste le stesse scale. In un Festival di fama mondiale come questo ci sono state solo 12 presidenti di giuria donne. La prestigiosa Palma d’Oro è stata conferita a 71 registi maschi – troppo numerosi per essere nominati – ma solo a 2 donne, Jane Campion e Agnès Varda, che è con noi oggi. [...]
Le donne non sono una minoranza nel mondo, eppure lo stato attuale della nostra industria dice il contrario. Come donne, affrontiamo tutte le nostre sfide individuali ogni giorno, ma oggi stiamo insieme su queste scale come simbolo della nostra determinazione e del nostro impegno per il progresso. Siamo scrittrici, produttrici, registe, attrici, cineaste, agenti di talenti, editrici, distributrici, agenti di vendita e tante altre professioniste coinvolte nelle arti cinematografiche. E siamo solidali con le donne di tutte le industrie. [...]
Ci aspettiamo che le nostre istituzioni si applichino per la parità e la trasparenza nei loro organi esecutivi, perché i posti di lavoro siano ambienti sicuri in cui lavorare. Ci aspettiamo che i nostri governi si assicurino che le leggi per la parità di retribuzione per chi fa lo stesso lavoro siano rispettate. Chiediamo che nei nostri luoghi di lavoro ci sia più uguaglianza di diritti e diversità di talenti, che possano rispecchiare al meglio il mondo in cui viviamo realmente. Un mondo che consente a tutti noi, dietro e davanti alla macchina da presa, di avere successo, spalla a spalla con i nostri colleghi maschi. Ci riconosciamo in tutte le donne e gli uomini che sono pronti al cambiamento. Le scale della nostra industria devono essere accessibili a tutti. Saliamo!".

Un discorso pienamente condivisibile.

La manifestazione è andata in scena nel giorno della presentazione in Concorso del film Les Filles du Soleil, della regista Eva Husson, che racconta la battaglia contro l'Isis delle donne curde nel nord del Kurdistan.

Una storia importante da raccontare ma che - parlando di meriti puramente artistici - è stato accolto in modo piuttosto freddo dalla stampa, che ha elogiato le interpretazioni delle attrici (Golshifteh Farahani e Emmanuelle Bercot) ma ha criticato l'eccessiva retorica della storia.
"Abbiamo incontrato molte donne curde che sono state ridotte a schiave sessuali, che spesso hanno partorito in prigionia e hanno avuto la forza di ribellarsi", ha raccontato Eva Husson, "Erano ansiose di raccontare la propria storia. Ma poi ho voluto introdurre la soggettività. Il mio film non è un documentario, piuttosto trasmette delle emozioni: l'attesa, i momenti di esaltazione, il caos, la paura... Ci sono situazioni che solo la finzione può restituire". La regista ha dichiarato che ci sono stati due motivi alla base della scelta di fare questo film: "Il ricordo di mio nonno, che era antifascista e si è battuto nella Resistenza, e l'esaltazione per la storia di queste donne curde che si ribellano e riconquistano la propria dignità in situazioni mostruose".

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Sempre di condizione femminile in Medio Oriente parla l'altro film presentato in Concorso ieri, si tratta di Three Faces, diretto da Jafar Panahi. Il regista iraniano era assente al festival a causa di una condanna a 20 anni emessa dal governo nel 2010 che gli proibisce di lasciare il proprio paese, di dirigere film o scrivere sceneggiature. Il suo ultimo film, come i precedenti più recenti, sono stati girati in semi-clandestinità, più che un film un vero e proprio atto di resistenza.

Il film racconta un viaggio in auto attraverso le montagne dell'Iran che una famosa attrice iraniana (Behnaz Jafari) e lo stesso regista compiono per andare da una ragazza che ha chiesto aiuto per fuggire dalla propria famiglia ultra conservatrice che vuole impedirle di fare l'attrice.
"Ero molto dispiaciuta ieri sera per l'assenza di Panahi in sala, volevo piangere", ha dichiarato l'attrice Behnaz Jafari, "C'era tristezza in tutti noi e anche molta compassione. Ma poi, a un certo punto, ho iniziato a ridere perché ho capito che in fondo anche lui era lì, insieme a noi, tramite il suo film che è diventato come un’entità autonoma a cui è concesso di viaggiare".

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Mentre il Concorso va avanti, parallelamente al festival si è svolto ieri un evento che ha visto diversi appassionati di cinema (i 300 posti sono andati a ruba) affollare una sala per la masterclass di Christopher Nolan. Presente tra il pubblico anche Denis Villeneuve.

Il regista di Inception e Dunkirk è stato invitato al festival per presentare la versione restaurata della pellicola originale 70mm del capolavoro di Stanley Kubrick 2001: Odissea nello Spazio, che compie 50 anni. Ospiti speciali della masterclass: Katharina Kubrick e Keir Dullea, protagonista di 2001: Odissea nello Spazio.
"Ho scoperto 2001 Odissea nello spazio a 7 anni", ha raccontato Nolan, "fu un'esperienza straordinaria che mi porto dietro ancora oggi. Kubrick mi trascinò con sé in un modo che non credevo possibile, mi dimostrò che il cinema può tutto. Sono felice di essere qui e di cercare di restituire a una nuova generazione di spettatori le emozioni che provai".

Il regista ha anche raccontato i propri inizi. "Proprio Kubrick disse che il miglior modo di imparare a fare un film è farne uno", ha detto Nolan, "Io non ho fatto una scuola di cinema, ho imparato tutto da solo. Feci il mio primo film, Following, senza soldi, insieme a un gruppo di amici. Tutti noi avevamo altri lavori durante la settimana e ci dedicavamo al film solo nel weekend. Ognuno doveva cavarsela in ogni reparto: suono, immagine, montaggio... solo così si capisce la difficoltà di ogni compito. E’ stato molto utile per il futuro".
Incalzato dalle domande, Nolan ha poi spiegato la differenza tra i tre film della trilogia di Batman: "Sono di tre generi diversi e ognuno è definito dal proprio villain. Nel primo c’è un mentore che diventa nemico, Dark Knight è un crime drama il cui cattivo è un terrorista, nel terzo c’è una dimensione epica, mitologica. Se fai dei sequel devi proporre cose diverse".
Il regista non ha negato la grande influenza della saga di James Bond sui suoi film, ma non sulla trilogia di Batman. "Abbiamo preso ispirazione da James Bond ogni volta che poteva esserci utile", ha detto Nolan, "Ma tra i miei film, quello che si avvicina di più a James Bond è Inception, non Batman".

Infine Nolan ha parlato della sua famiglia, in particolare di sua moglie, la produttrice Emma Thomas, con cui collabora continuamente per i suoi film. "Devo essere sincero, mi piace lavorare con la mia famiglia e i miei amici", ha confessato il regista, "Emma ha prodotto tutto ciò che ho fatto ed è bellissimo avere la possibilità di lavorare con quelle persone che non hanno altri intenti se non far sì che il tuo film sia migliore, e che se ti dicono che stai sbagliando, sai che lo dicono per il tuo bene. Come poi lei riesca a trovare l'equilibrio tra essere mia moglie, la madre dei miei quattro figli e la persona indispensabile nel mio lavoro è un mistero".

sabato 12 maggio 2018

Cannes 2018 - giorno 4

E' il giorno di un grande maestro del cinema francese, esponente della Nouvelle Vague, si tratta di Jean-Luc Godard, che ha presentato il suo ultimo lavoro, Le Livre d’image.

E' curioso come nell'anno in cui il direttore del festival Thierry Fremaux ha dichiarato guerra ai cellulari e ai selfie, uno dei nomi più attesi del Concorso decida di non presentarsi fisicamente al festival ma di fare l'intera conferenza stampa in collegamento video in diretta dalla sua casa in Svizzera.
Così, un cellulare è stato piazzato in mezzo alla sala stampa, i giornalisti si sono radunati intorno e uno alla volta si sono messi davanti al telefono per fare le loro domande.

Le livre d’image è un film del tutto sperimentale che racconta il mondo arabo ma in realtà si tratta di un'opera visuale e visiva, fatta di frasi, suoni, musica, immagini e scene d'archivio, disegni, spesso frammentati, fuori sincro e con un montaggio a tratti psichedelico.

Un film sicuramente particolare, sia nell'idea che nella realizzazione, ne è consapevole lo stesso Godard. "Non ci sono molti cinema al momento che possono proiettare il mio film per come è concepito, forse fra 10 anni, chissà... Film come il mio potranno essere proiettati solo in piccole sale d'avanguardia. Ma saranno occasioni importanti, che spingeranno le persone a riflettere", ha dichiarato il regista, "Il mio cinema è una riflessione su ciò che non accade e quindi non è raccontato nella cronaca. Perché è fin troppo facile fare i film su fatti che accadono".
Centrale per Godard è il montaggio, molto più importante addirittura delle scene girate. "Non amo più fare riprese, per me oggi la cosa più importante è il montaggio che, secondo me, viene prima del girato", ha dichiarato il regista, che poi ha continuato: "Il fine è quello di separare il suono dall'immagine, mentre il colore per me resta qualcosa di affine alla parola. Nel film volevo che suono e immagini dialogassero".

Godard è stato molto felice di essere accolto in Concorso a Cannes, per un motivo ben preciso: "Ho accettato l'invito di Fremaux perché può aiutare la promozione internazionale. Vorrei che lo vedessero anche i giovani e non solo i sopravvissuti alla mia generazione".

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Sempre in Concorso è stato presentato anche Ash is Purest White di Jia Zhang-Ke. Film accolto abbastanza bene dalla critica che ha lodato in particolare l'interpretazione della protagonista, Zao Thao.

L'attrice nel film interpreta Quiao, amante di Bin, un boss della malavita organizzata, una donna forte che per difendere il suo uomo dalla banda rivale che lo sta massacrando non esita a sparare. Quiao andrà in carcere per cinque anni, scontando la pena al posto di Bin, ma una volta uscita troverà una Cina molto diversa e scoprirà che Bin l'ha sostituita con un'altra donna. Spetterà a Quiao, non solo rifarsi una vita attraverso divertenti stratagemmi, ma anche il compito tenere alto l'onore degli Jianghu (la Triade mafiosa).

"Ho lavorato a questo film per tre anni", ha raccontato il regista Jia Zhang-Ke, "anche attorno ai temi della cultura cinese Jianghu che ha un doppio significato: vita drammatica e vita pericolosa. [...] Questa storia si svolge nel corso del tempo, dal 2001 al 2018, con drastici cambiamenti nei valori e nella vita quotidiana. Le immagini che vedete in parte le ho girate io stesso con le videocamere che porto sempre con me dal 2001, in questo film ci sono spezzoni girati con sei videocamere diverse, sia in digitale che in pellicola".

Loro 2 - la recensione

Ci eravamo lasciati con Fabio Concato e "Domenica bestiale", un tentativo plateale di riconquistare l'amore di Veronica, quella moglie che Silvio sta perdendo velocemente. Paolo Sorrentino apre questa seconda parte di Loro invece con i piani per recuperare quello che invece è, palesemente, l'unico vero amore del suo Berlusconi: il potere.


Arrivati alla fine si possono tirare le somme di un progetto che, pur essendo diviso in due, è un unico film, sia per tematiche che per struttura, dove si inizia con il roboante martellare della musica e si finisce con il silenzio ancora più assordante della vera Italia, quella che con le ragazze del bunga bunga ha poco a che fare, quella che si ritrova una notte al freddo per fare qualcosa di buono.
Chi si aspettava un film su Berlusconi, che denunciasse o glorificasse una figura così fondamentale della storia recente italiana rimarrà sicuramente deluso o quantomeno spiazzato.
Silvio è una maschera, quasi letteralmente, che rispecchia un'epoca di decadentismo morale, una maschera che nasconde la solitudine dell'uomo Silvio ma soprattutto solitudine sociale.
C'è una scena, in Loro 2, dove la poetica del film raggiunge il suo massimo, ed è nel confronto a due fra i due coniugi Berlusconi, uno sfogo in cui Toni Servillo è magistrale e in cui Sorrentino dà sfoggio di maestria registica.


Loro 2 diventa qui più grande della parte che lo aveva preceduto, perché paradossalmente restringendosi sul solo Silvio (o in questo caso sui soli Silvio e Veronica) allarga la sua visuale, facendoci vedere la solitudine di un'Italia che si rispecchia in un uomo politico indecifrabile, sempre in bilico fra caricatura e farsa, ma che non si può fare a meno di invidiare e, forse, amare perché rappresenta un sogno comune.

Lontano da qualsiasi intento politico, Loro racconta con intensità e delicatezza un personaggio di potere colto nella sua intera umanità, senza giudizio.

venerdì 11 maggio 2018

Cannes 2018 - giorno 3

In Concorso oggi due film molto attesi, Cold War di Pawel Pawlikowski e Plaire, aimer et courir vite (Sorry Angel) di Christophe Honoré.

Dopo l'Oscar come miglior film straniero per Ida, piomba sul festival il nuovo film di Pawel Pawlikowski, Cold War, da qualcuno ha fantasiosamente ribattezzato il "La La Land polacco", anche se le tematiche sono completamente diverse.

Il film è ambientato nella Polonia della Guerra Fredda e racconta una storia lunga quindici anni, periodo in cui Wiktor (Tomasv Kot), raffinato e talentuoso pianista, incontra Zula (Joanna Kulig), una aspirante cantante e ballerina dal passato difficile. Tra incontri clandestini, fughe, incomprensioni e un amore che sembra andare oltre il tempo ma che non riesce a concretizzarsi, influenzato dalle profonde differenze caratteriali, dalla politica e dalla sfortuna.

Per disegnare i protagonisti del film il regista ha preso spunto dai propri genitori, i due personaggi infatti hanno anche i loro nomi. "Ci sono molte cose in comune con i miei genitori, che sono stati protagonisti di una storia d’amore disastrata. Il film non è un loro ritratto ma la messa in scena di un meccanismo simile a quello che si era instaurato nella loro relazione", ha raccontato Pawlikowski.
Come il precedente Ida, anche Cold War è stato girato in bianco e nero, una scelta voluta per raccontare nel modo giusto la Polonia di quel periodo, distrutta dalla guerra. "Ho cercato varie opzioni di colore per fare un film differente ma non abbiamo però trovato la giusta palette", ha spiegato il regista, "Alla fine ho capito che il bianco e nero era la scelta più sincera e onesta per rappresentare la Polonia degli anni '50. Se avessi scelto di mostrala con colori vividi, sarebbe completamente falso".

Il film è stato accolto molto bene dalla stampa, qualcuno lo vede già come un serio candidato a qualche premio. Cold War arriverà anche nelle sale italiane distribuito da Lucky Red.

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Torna al festival Christophe Honoré, con il suo nuovo film Plaire, aimer et courir vite, titolo internazionale Sorry Angel, che riprende una famosa canzone di Serge Gainsbourg.

Il film, ambientato nella Francia degli anni '90, segue la storia di Arthur (Vincent Lacoste), un giovane ancora indeciso sulla propria vita, sia lavorativa che sentimentale, è fidanzato ma non disdegna rapporti omosessuali. In cinema incontra per caso Jacques Tondelli (Pierre Deladonchamps), scrittore quarantenne, padre di un bambino avuto da un'amica che vive in un appartamento a Parigi, tra occasionali amanti, l'ex fidanzato gravemente malato e un amico fraterno. Tra Arthur e Jacques scoppia l'amore dopo una notte di passione.

Un film che per ambientazione e tematiche ricorda molto 120 Battiti al Minuto, ma Christophe Honoré non accetta nessun tipo di paragone. "Capisco che i due film vengano associati, ma per me sono diversi, anzi opposti", ha dichiarato il regista, "La gente li paragona perché entrambi parlano di omosessualità e questo mi dà molto fastidio. Nessuno direbbe a Olivier Assayas che ha fatto un'altra storia eterosessuale! Eppure è così, tutte le storie omosessuali sono diverse, e poi non si può non parlare di Aids parlando degli anni ’90 e il tema del mio film sono proprio gli anni '90".

Il film di Honoré è stato accolto abbastanza bene dalla stampa, anche se non ha convinto del tutto la critica.

giovedì 10 maggio 2018

Cannes 2018 - giorno 2

Fuori dal festival cinque attrici, Jessica Chastain, Marion Cotillard, Penelope Cruz, Lupita Nyong'o e Fan Bingbing, portano un po' di Hollywood e di glamour, presentando il progetto di uno spy movie tutto al femminile intitolato 355.
Nel festival invece, dopo il Concorso, prende il via anche la sezione Un Certain Regard con il film keniano Rafiki.

L'opera prima della regista keniota Wanuri Kahiu è un film che racconta la storia d'amore tra due ragazze a Nairobi, un'attrazione che scoppia all'improvviso e mette in pericolo le due fino quasi a subire un linciaggio.

Un film con una tematica, quella dell'omosessualità, tabù in Kenya e infatti il film è stato censurato e addirittura proibito nel paese. Rafiki però ha avuto la soddisfazione di arrivare fino al Festival di Cannes, occasione di cui la regista si è detta molto felice. "E' un onore immenso essere a Cannes, un’occasione importante per gli interpreti, la troupe e il cinema kenyota", ha dichiarato la Kahiu, che ha poi spiegato l'origine della parola "rafiki": "Rafiki significa "amico" in Swahili. Spesso in Kenya quando le gente dello stesso sesso ha una storia, o vuole presentare un fidanzato, un amante, usa proprio il termine rafiki".

Una storia che affronta un tema molto delicato nei paesi africani, la regista ha dovuto convincere una delle due attrici ad accettare il ruolo. "So che non è semplice in Kenya recitare una parte del genere, ma Sam [Samantha Mugatsia] non ha rinunciato e ha abbracciato il progetto, contribuendo a costruire Kena e a farla vivere", ha raccontato la regista, "Sheila [Sheila Munyiva] invece è arrivata al provino piena di gioia di vivere. Era affascinante, curiosa, il suo aspetto era perfettamente complementare a quello di Samantha. All'inizio era perplessa per il ruolo, ma alcune persone vicine, sensibili all'argomento, le hanno fatto capire l’importanza della parte, così ha accettato".

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Presentato invece in Concorso il film Leto (Summer), del regista russo Kirill Serebrennikov, uno dei due registi impossibilitati a presenziare al festival perché in stato di arresto nel proprio paese.

Ambientato a Leningrado negli anni '80, nell'ambiente rock, 'Leto' racconta l'incontro tra un giovane musicista, Viktor Tsoï, e il suo idolo MIke, e anche con sua bellissima moglie. Un incontro che cambierà la vita del ragazzo.

Un film, come dichiarato dal produttore, il regista "ha finito di editare a casa, a febbraio. La presenza a Cannes è dunque cruciale, anche per questa situazione e per la Storia. Sentiamo il supporto del giornalismo, molto, è un forte tema di discussione in questo momento, soprattutto nel nostro Paese. Il film non ha avuto sostegni statali, ma è un film storico che però Kirill riesce a far parlare del presente".

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Al festival è arrivano anche il regista di Black Panther Ryan Coogler, protagonista di una masterclass con il pubblico. Stasera il film della Marvel sarà proiettato sulla spiaggia di Cannes.

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Primo film italiano al festival, nella sezione Quinzaine des Réalisateurs è stato presentato La strada dei Samouni, di Stefano Savona. Un docu-fiction realizzato sia in immagini che in animazione, firmata da Simone Massi, che racconta la vita alla periferia di Gaza e il massacro di ventinove civili durante l'operazione Piombo Fuso dell'esercito israeliano nel 2009.

mercoledì 9 maggio 2018

Cannes 2018 - giorno 1

Ha preso il via ieri sera la 71a edizione del Festival di Cannes, ad aprirlo ufficialmente sono stati Martin Scorsese, che riceverà oggi il premio alla carriera Carrosse d'Or, e la presidente di giuria Cate Blanchett.

Il film d'apertura Everybody Knows (Todos lo Saben), del regista premio Oscar Ashgar Farhadi, presentato ieri al pubblico e anche alla stampa, in contemporanea, e quindi oggi protagonista della conferenza stampa (nuove regole del festival).

'Everybody Knows' segue le vicende di Laura, trasferitasi dalla Spagna all'Argentina, sposata con un uomo che non ama più e madre di due figli, che torna nel suo paese di nascita per il matrimonio della sorella. Tra i festeggiamenti per i matrimonio, il ritorno a casa e l'incontro con vecchi amori, come Paco, si riaffacciano anche vecchi fantasmi della vita di Laura, che la gettano nel panico e nella disperazione.

"Il film è un thriller, ma il genere è solo una scusa che mi permette di parlare di tanti temi che trovo importanti", ha dichiarato il regista Farhadi, "Come mi sarei comportato nella stessa situazione dei personaggi? Il film riflette sull'idea di proprietà, sulla lealtà e sul significato di paternità. Chi è il vero genitore: quello che ti concepisce o quello che ti cresce?".
Protagonisti del film Penelope Cruz e Javier Bardem, coppia sullo schermo e nella vita. "E' un progetto a cui abbiamo lavorato per cinque anni", ha raccontato l'attrice premio Oscar, "Asghar si è trasferito in Spagna, per viverla. Non parla spagnolo ma non è stato un problema. Asghar è umile, non solo risponde alle domande, ma le fa anche. Ascolta gli altri: è una persona che vede oltre".
Il film è il primo in una lingua straniera per il regista iraniano, ma calarsi in un'altra cultura non è stato difficile. "Al contrario di quello che si dice, gli esseri umani non sono poi così diversi", ha spiegato Farhadi, "Siamo molto simili nell'amore, rabbia, odio. È il modo di esprimere queste emozioni che cambia con la cultura. I film servono anche a questo, a mostrare quanto siamo simili come esseri umani. Personalmente è anche molto interessante mostrarlo agli iraniani che pensano che le altre persone siano molto diverse da loro".

Impossibile non parlare anche della coppia Bardem-Cruz e di come si sono trovati a lavorare (di nuovo) insieme. "Non ci portiamo i personaggi a casa, Javier e io abbiamo un modo di lavorare molto simile. E' bellissimo entrare e uscire dalla finzione. È uno degli aspetti che amo di più del mio lavoro", ha dichiarato Penelope Cruz. "Io e mia moglie sappiamo come separare realtà e fantasia", ha continuato Bardem, "altrimenti sarebbe impossibile lavorare insieme. Non è difficile, ci vuole impegno, ma la vita reale ci aiuta a calarci meglio nella finzione". E alla domanda infelice di un giornalista "Lei è l’unico uomo che riesce a lavorare con la propria moglie, come fa?", Bardem ha risposto con un secco: "È una domanda di cattivo gusto". Colpito e affondato.

Il film ha avuto una buona accoglienza dal pubblico, fredda invece quella della stampa.

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Ieri è stato anche il giorno della presentazione della giuria del Concorso, che vede come presidente l'attrice due volte premio Oscar Cate Blanchett. Giuria composta da Denis Villeneuve, Kristen Stewart, Lea Seydoux, Chang Chen, Ava DuVernay, Andrei Zvyagintsev, Khadja Nin e Robert Guédiguian.

La conferenza stampa ha toccato diversi argomenti d'attualità, la parità tra uomini e donne, il movimento #MeToo, la disparità di genere, ma a catalizzare l'attenzione di tutti, stampa, pubblico e colleghi, è stata la presidente Cate Blanchett. L'attrice ha risposto in modo diretto, preciso, e quando è servito anche in modo ironico, a tutte le domande, anche a quelle non indirizzate direttamente a lei. Come quando un giornalista ha rivolto una domanda (nemmeno particolarmente intelligente) solo ai registi e Cate Blanchett ha risposto prontamente: "Che le attrici non si azzardino a rispondere, mi raccomando!". Insomma, la giuria non poteva avere una presidente più carismatica di così.

Cate Blanchett ha affrontato con grande padronanza l'argomento più caldo, la parità di genere e il movimento #MeToo, rispedendo subito al mittente lo "stupore" per la numerosa presenza femminile in giuria (cinque donne, quattro uomini). "Mi spiace dirvelo ma non è la prima volta che ci sono così tante donne in giuria..." ha dichiarato l'attrice in modo molto schietto, "Quando mi hanno chiesto di essere Presidente ho richiesto che ci fossero uomini e donne di razze e culture diverse, e mi hanno risposto che è il loro criterio di selezione ogni anno".
Risposta pronta anche riguardo alla presenza, meno numerosa, di registe donne in Concorso: "Che non venga in mente a nessuno che le donne in concorso siano state scelte solo per il loro genere. Certo, se poi mi chiedete se vorrei più donne in concorso, vi dico di sì, ovvio, ne vorrei più di tre, e spero che in futuro succeda. Ma l’anno scorso erano due, e prima ancora non ce n’era nessuna. Questi sono cambiamenti epocali che non possono avvenire dal giorno alla notte. Il movimento #Metoo per essere assorbito avrà bisogno di tempo I cambiamenti, per essere profondi, devono essere basati su azioni specifiche, e richiedono del tempo, per poter garantire equità sessuale e razziale, nel cinema come nelle altre industrie".

Per quanto riguarda il metro di giudizio, Cate Blanchett ha dichiarato che la giuria sarà "indipendente". "Non ne abbiamo ancora visto nessuno, ma qualsiasi film potrebbe essere quello giusto", ha detto l'attrice, assolutamente padrona del suo ruolo, "Noi giudicheremo i film per il loro valore, la loro qualità intrinseca, come giuria indipendente. E' importante approvare ogni film con la mente il più aperta possibile, senza farsi condizionare dai nomi".
Stessa linea di pensiero per gli altri membri della giuria. "Non cerco il film perfetto, ci sono film imperfetti che sono comunque dei grandissimi film", ha dichiarato Kristen Stewart.
Il regista Denis Villeneuve ha definito il suo ruolo di giurato "una forma particolare di ginnastica" e che il suo scopo sarà cercare un film capace di "resistere al tempo". Un pensiero molto simile a quello della regista Ava DuVernay, per cui la Palma d'Oro dev'essere "un film che racconta di emozioni universali e condivisibili, che siano vere anche tra vent’anni".