lunedì 30 aprile 2018

Cannes 2018: ancora problemi per The Man Who Killed Don Quixote. Il festival contro il produttore.

Il "film maledetto" di Terry Gilliam sembra non avere pace, un contenzioso tra il regista e il produttore mette a rischio l'anteprima al Festival di Cannes, così il festival ha deciso di schierarsi a favore del film e contro il produttore.

Ma partiamo dal principio.

Dopo aver cercato per anni di realizzare il film, senza riuscirci, nel 2016 Terry Gilliam ha firmato un accordo con il produttore portoghese Paulo Branco (molto conosciuto nell'ambiente), accordo che prevedeva totale libertà creativa per il regista e i diritti per il produttore. Branco però non ha mai trovato i fondi quindi Gilliam, venuto a mancare il promesso sostegno economico, si è ritenuto sollevato da quell'accordo trovando altrove i fondi per realizzare il film.

The Man Who Killed Don Quixote è stato finalmente completato, sarà nelle sale dal 19 maggio ed è stato scelto come film di chiusura per il Festival di Cannes 2018. Ma qui arrivano i nuovi problemi.

Paul Branco e Terry Gilliam sono ai ferri corti (già da parecchio), con il produttore che ha cercato prima di bloccare le riprese e poi l'uscita. Il motivo del contenzioso è l'accordo del 2016, Branco ritiene di essere ancora il proprietario dei diritti del film e quindi Gilliam deve chiedere a lui il permesso per mostrarlo al pubblico. Questa parte del problema si risolverà, in un modo o in un altro, in tribunale il 7 maggio, ma ce n'è un altro. L'uscita nelle sale è confermata, Branco però si oppone alla proiezione durante il Festival di Cannes, così il festival ha deciso di far sentire in modo forte la propria voce e di prendere posizione contro il produttore.

Il festival, attraverso un comunicato firmato da Lescure e Fremaux, ha fatto sapere di non avere nessuna intenzione di cancellare la partecipazione del travagliato film al festival, anche per rispetto verso Terry Gilliam. Non solo, con toni pacati ma decisi, il comunicato si scaglia contro il regista descrivendolo come un "habituè" verso certi problemi, uno a cui piace molto forzare la mano. Nel comunicato si ricorda come qualche anno fa Branco accusò il festival di non aver preso un suo film dopo che, secondo lui, gli era stato promesso, cosa che il festival non fa mai, "Il festival di Cannes non promette mai di prendere film, o li prende o non li prende", si legge nel comunicato. Quella di Branco quindi sembrerebbe più una ripicca, una vendetta contro il festival di Cannes.
Nel comunicato inoltre racconta di come Branco abbia contattato direttamente gli organizzatori del festival per diffidarli dal mostrare il film, arrivando ad usare anche toni forti e diffamatori verso i vertici del festival.
Il festival dichiara inoltre di essere perfettamente consapevole della disputa legale tra il regista e il produttore ma di non aver trovato nessuno valido motivo per non proiettare il film visto che la data d'uscita nelle sale è stata confermata. Questa decisione non è stata presa per niente bene da Branco che, secondo quanto riportato dal comunicato, tramite il suo legale avrebbe minacciato il festival di sottoporli a una "sconfitta umiliante". A questa minaccia il festival ha risposto: "La sconfitta sarebbe cedere alle minacce".

Vedremo come andrà a finire. Al momento resta tutto confermato, il film sarà nelle sale dal 19 maggio e lo stesso giorno sarà anche film di chiusura al Festival di Cannes.

Qui il comunicato ufficiale del Festival.

venerdì 27 aprile 2018

Avengers: Infinity War - la recensione

Era il 2008 quando nelle sale usciva Iron Man
Altri tempi, in cui i film sui supereroi avevano oscillato fra capolavori d'autore e risultati a dir poco deludenti. Qualcosa però stava per cambiare e proprio con Iron Man, perché non solo ha segnato la rinascita di un attore, Robert Downey Jr., che è diventato una super star mondiale, ma ha anche dato vita a un genere a sé stante, quello dei Cinecomic, e un universo Marvel incredibilmente coeso e coerente dove, come in una enorme serie tv cinematografica, ogni film era il tassello da aggiungere a un quadro molto più grande.
Ora, dieci anni e diciotto film dopo, con un successo di milioni di dollari, serie tv e quant'altro, l'uscita nelle sale di Infinity War non è solo il compimento della Fase 3 Marvel, ma la somma di dieci anni di lavoro e un evento cinematografico di portata storica.


Con un tale carico di aspettative (anche econimiche, poichè è costato 300 milioni di dollari e il suo predecessore, Black Panther, ne ha incassati più di 600 solo negli USA) c'era il reale pericolo che si rivelasse la più sonora delusione di sempre.
Ma i fratelli Russo, registi e sceneggiatori, lo sapevano benissimo e non hanno sbagliato praticamente nulla, anzi, questo terzo film degli Avengers è ancora più sorprendente di quanto ci si potesse aspettare.
Non solo i team-up fra i tantissimi personaggi funzionano alla grande (con i Guardiani della Galassia sempre un gradino sopra tutti gli altri), ma soprattutto un cattivo straordinario che rende grande il film.
Uno dei difetti dei film Marvel sono sempre stati i cattivi, ed escludendo Loki (ormai vero e proprio personaggio antieroe) solo ultimamente si era riusciti a creare qualcosa di interessante, soprattutto con Black Panther e, in misura minore, con Spider-Man. Questo, invece, è senza dubbio il film di Thanos, vero protagonista, sfaccettato e profondo, seppur cattivissimo, interpretato magistralmente da Josh Brolin e reso benissimo da un gran lavoro di CGI. Thanos giganteggia (letteralmente) per tutte le quasi due ore e mezza di pellicola, è tormentato, soffre, ha una morale distorta che lui considera sopra ogni altra cosa, si vede super eroe incompreso dell'Universo e lo spettatore ne è catturato quasi in maniera ipnotica. Ma, lo ripetiamo ancora, è cattivissimo, violento e brutale tanto da essere spaventoso.


Nonostante sia probabilmente il personaggio ad avere più screentime di tutti, non toglie affatto scena agli eroi che tutti aspettavano e ognuno di loro (e sono davvero tantissimi) ha il proprio spazio, il proprio stile e le caratteristiche che lo hanno reso ormai familiare allo spettatore dopo dieci anni.
Si ride moltissimo, si piange moltissimo, ci si esalta moltissimo, ci si spaventa anche moltissimo, un film di puro, godurioso intrattenimento, probabilmente il più grande blockbuster di sempre ed è innegabile che esisterà un prima e un dopo Infinity War, non solo nel Marvel Cinematic Universe, come è ovvio (nell'attesa del prossimo Ant-Man, di Capitan Marvel e soprattutto di Avengers 4), ma nell'intera industria cinematografica di intrattenimento.

Non era affatto facile, ma la Marvel non ha deluso e ha fatto il film perfetto, non solo quello che tutti volevano e aspettavano, ma andando oltre. Se ne parlerà per mesi, forse anni, sicuramente all'uscita dalla sala (e mi raccomando, rimanete fino alla fine dei titoli di coda!) ci si pensa e ripensa per ore o addirittura giorni.

martedì 24 aprile 2018

Loro 1 - la recensione

Inutile negarlo, l'Italia è fermamente divisa fra Sorrentiniani e non Sorrentiniani, fra chi ama (a volte fino all'idolatria) le pellicole del regista napoletano e chi invece le detesta, bollandole come puro e compiaciuto esercizio di stile.
Stranamente questo concetto ben si adatta anche al berlusconismo: chi ne ha fatto quasi un Dio, chi un diavolo.
Sorrentino gioca sul dualismo della figura del personaggio Silvio Berlusconi e, paradossalmente, si astiene da ogni giudizio, scavando più profondamente nell'uomo che si cela dietro alla maschera e, allo stesso tempo, ritraendo quello che la società italiana ha tratto dalla figura, a volte mitologica, di Berlusconi.


Per tutta la prima ora del film il grande protagonista non lo vediamo mai, non lo sentiamo nemmeno nominare, non viene mai fatto alcun nome, eppure LUI aleggia su tutto e tutti, come una sorta di ideale. Perchè quello che Paolo Sorrentino porta in scena nella prima parte di questa prima parte è il ritratto del berlusconismo più becero, gli istinti più bassi e l'arrivismo rappresentati dal personaggio di Sergio (un grandissimo Riccardo Scamarcio), pugliese che si trasferisce a Roma per allontanarsi dal padre "troppo onesto", che si circonda di aspiranti veline e subrette comprate a suon di cocaina e promesse di successo, che organizza incredibili feste nella sua villa in Sardegna, tutto per farsi notare da LUI, per entrare nel loro giro, di quelli che contano.
Al contrario di quanto succedeva ne La Grade Bellezza, non c'è malinconia decadente nella rappresentazione delle bassezze umane, ma non c'è neanche il lirismo politico dell'Andreotti de Il Divo, tutto è crudo e violento, spoglio di ogni poesia, pregno invece di grande cinismo (il personaggio di Kasia Smutniak commenta laconicamente "è dura la vita quando non sai fare un cazzo"), 
Nel momento in cui entra in scena Silvio, con il volto di un Toni Servillo fra la maschera e l'icona, però tutto sembra fermarsi, il ritmo rallenta e dalla frenesia delle feste a base di ragazze e droga si entra nell'intimità dell'uomo, quello che tenta di riconquistare la moglie Veronica che "legge libri difficili" e lo lascia senza telefonino, quello che ha un complesso di inferiorità nei confronti di Agnelli e che diventa spietato quando si tenta di spodestarlo. Berlusconi, in LORO 1, il berlusconismo lo guarda con il binocolo, da lontano.


Per capire dove Sorrentino vorrà andare a parare bisogna per forza attendere la seconda parte, ma sembra già chiaro che il regista napoletano non ha nessuna intenzione di raccontare un fatto di cronaca puro e semplice, né tantomeno dare un giudizio morale e politico su Berlusconi, che sia positivo o negativo, ma vuole raccontare un'idea e un mondo che in fin dei conti appartiene un po' a tutti, di destra e di sinistra. 
Tutto documentato, tutto arbitrario. 

domenica 22 aprile 2018

Molly's Game - la recensione

Molly Bloom (Jessica Chastain) è una ex sciatrice costretta al ritiro dopo un grave infortunio. Trasferitasi a Los Angeles viene assunta da un uomo che organizza partite di poker clandestine a cui partecipano attori e magnati di Hollywood e in cui si scommettono cifre enormi. Molly, dopo essere stata trattata male per l'ennesima volta, decide di mettersi in proprio, riuscendo a diventare la regina incontrastata del poker, prima a Los Angeles e poi a New York, almeno fino a che l'FBI non bussa alla sua porta. Per non finire in prigione, si affida al brillante avvocato Charlie Jaffrey (Idris Elba)


Lo sceneggiatore pluripremiato Aaron Sorkin esordisce qui dietro alla macchina da presa e fa un buon lavoro, mettendo anche alcune inquadrature particolari e un montaggio serrato fra presente e flashback senza che lo spettatore si senta confuso.


Nonostante ciò, il vero punto di forza di Molly's Game è la sceneggiatura, fatta di dialoghi brillanti, personaggi molto ben caratterizzati e un ritmo che non fa affatto pesare le due ore e venti della durata, tanto che il film scorre via liscio come l'olio, intrattenendo benissimo.
Altro punto di forza del film è il cast: Jessica Chastain è davvero magnifica, probabilmente la miglior interpretazione della sua carriera, e stupisce francamente che non sia stata considerata dall'Academy almeno per una nomination;  Idris Elba è anche lui bravissimo, riesce a conferire al suo personaggio grande carisma e a farlo rimanere ben impresso in quello che si può ben definire un one woman show; e c'è anche un sempre perfetto Kevin Costner nei panni del complicato padre di Molly.


Ottimo primo film da regista per Sorkin, con un cast eccezionale, ma non sorprende che la marcia in più la dia una sceneggiatura impeccabile e brillante, che non stanca mai nonostante la durata. 

mercoledì 18 aprile 2018

A Quiet Place - Un Posto Tranquillo - la recensione

L'horror e le sue molteplici sfumature. Alla sua terza prova da regista, l'attore John Krasinski decide di prendere un genere molto lontano dal cinema in cui siamo abituati a vederlo e di sfidare le sue regole.

Stati Uniti, delle mostruose creature hanno invaso il paese, forse il mondo, sterminando la popolazione. Questi esseri sono ciechi ma forniti di un finissimo udito che usano per trovare e attaccare le loro prede, compresi gli umani.
La famiglia Abbott - moglie, marito e i tre figli - vive isolata e immersa nel più totale silenzio. Camminano scalzi lungo sentieri ricoperti di sabbia, per ridurre al minimo possibile il rumore. La figlia più grande è sordomuta, quindi tutta la famiglia è abituata a parlare con il linguaggio dei segni, particolare che forse gli ha permesso di sopravvivere più a lungo degli altri. Nei dintorni del loro rifugio, nel paese vicino, è tutto deserto e distrutto. Gli Abbott sopravvivono per 427 giorni senza essere notati, ma la donna è incinta al nono mese e i piccoli incidenti rumorosi non possono essere soffocati per sempre.

Bisogna fare i complimenti a John Krasinski, A Quiet Place è un horror sci-fi di grande intelligenza e sensibilità, sia nella sceneggiatura che nelle resa sullo schermo. Krasinski sa come muovere la macchina da presa, come disseminare la storia di momenti horror aggirando però i cliché classici del genere, e ha grande cura dei particolari. Il film ha una durata piuttosto breve (poco più di un'ora e venti) ma tutto quello che succede è rilevante, a partire dal prologo, che avrà ripercussioni su tutta la storia. Al centro di tutto c'è ovviamente il silenzio, essenziale per la sopravvivenza della famiglia, e Krasinski ne fa un uso molto coraggioso. Il film è davvero avvolto nel silenzio, per sentire le prime (e uniche) parole bisogna aspettare più di mezz'ora, e sono solo poche battute, poi si torna nel silenzio, nell'impossibilità di parlare e comunicare, aspetto che si riflette sui rapporti dei genitori con i figli. Il silenzio nel film non è tutto uguale e ha diverse funzionalità, c'è quello forzato della famiglia, c'è quello totale in cui è immersa la figlia maggiore (Millicent Simmonds è davvero sordomuta), e poi c'è il silenzio come mezzo "tecnico" per creare suspense. E nel film ce n'è davvero tanta.
A Quiet Place è un'ora e mezzo di tensione ininterrotta, aumentata dall'impossibilità dei protagonisti di poter fare quello che fanno tutti i personaggi di tutti film horror: urlare. E così si sta in ansia quando i figli si allontanano da casa, si soffre a vedere una donna incinta al nono mese che deve partorire in silenzio, e si trattiene il fiato per il primo pianto del neonato che vorrebbe dire morte sicura.

Oltre ad essere regista, John Krasinski è anche protagonista insieme a quella che nella vita reale è sua moglie, cioè Emily Blunt. La coppia funziona anche sullo schermo. Bravissima Emily Blunt, la sua interpretazione spicca rispetto alle altre, per intensità e cuore, rimanendo impressa nella mente dello spettatore. Una performance che - lo possiamo dire anche se manca ancora molto - meriterebbe assolutamente una nomination agli Oscar.

A Quiet Place non è il classico horror sci-fi, la scelta del silenzio può spiazzare lo spettatore, ma è un film che convince e conquista, e il silenzio diventa proprio il fattore che porta lo spettatore ad essere pienamente coinvolto nella storia. Un ottimo film, una bella sorpresa.

giovedì 12 aprile 2018

Cannes 2018 - due film italiani in Concorso. Ecco il programma.

E' stato presentato al pubblico questa mattina il programma completo del Festival di Cannes 2018.

Poche sorprese, pochi divi, e soprattutto niente Hollywood, scelta rischiosa perché si sa che il festival (tutti i festival) hanno bisogno di nomi, di divi e grandi stelle per avere la giusta pubblicità e attenzione da parte dei media e del pubblico. Ma il festival quest'anno ha deciso di fare a meno dei grandi nomi hollywoodiani e il direttore del festival Thierry Fremaux ha spiegato questa scelta dicendo che in passato il festival è stato accusato di portare sempre gli stessi nomi, così quest'anno si è deciso di cambiare. Hollywood però è molto vasta e piena di registi, attori e attrici che a Cannes non sono mai stati, quindi la spiegazione data da Fremaux è poco credibile e, onestamente, lascia il tempo che trova.

Altra assenza "rumorosa" è quella di Netflix, ma questo è un discorso molto diverso. Nei giorni scorsi Fremaux aveva annunciato che il festival non avrebbe più ospitato in Concorso film non destinati alla sala cinematografica. Ragionamento del tutto legittimo. Fremaux aveva comunque lasciato la porta del "Fuori Concorso" aperta a questi prodotti. Proposta rifiutata seccamente dal CEO di Netflix, secondo il quale in questo modo i loro film rischiano di essere trattati "con poco rispetto". Quella del "Cinema vs Streaming" è una polemica destinata a proseguire.

Ma chi ci sarà al Festival di Cannes 2018? l'Italia è presente con ben due film in Concorso. Ci sarà Matteo Garrone con il suo Dogman, film ispirato alla vicenda di cronaca del Canaro della Magliana, e ci sarà anche Lazzaro Felice di Alice Rohrwacher.
In Concorso spiccano anche i nomi di Jean-Luc Godard (87 anni), Spike Lee, e Nadine Labaki. Particolarmente nutrita la rappresentanza del cinema asiatico.

Italia presente anche nella sezione Un Certain Regard, con Valeria Golino e il suo ultimo film da regista, Euphoria.

Il film d'apertura sarà Everybody Knows di Asghar Farhadi (in Concorso), con Penelope Cruz e Javier Bardem protagonisti. Unico vero evento Fuori Concorso è la presenza di Solo: A Star Wars Story, spin off di Star Wars dedicato al personaggio di Han Solo.

Thierry Fremaux ha dichiarato che il programma non è ancora definitivo, non è escluso quindi qualche inserimento dell'ultima ora, tre i titoli caldi in questo senso. Ci sono possibilità per il nuovo film di Paolo Sorrentino, Loro (parte 1 e 2), su cui il direttore del festival ha dichiarato "stiamo cercando di capire come proiettarlo". Possibilità anche per The House that Jack Built, che segnerebbe il ritorno di Lars Von Trier, il quale - ricordiamo - era stato bandito dal festival dopo una battutaccia infelice sul nazismo e l'Olocausto. Terzo titolo possibile è quello di The Man Who Killed Don Quixote, il "film maledetto" di Terry Gilliam.

In attesa di ulteriori notizie, ecco il programma del festival.

Concorso 
TODOS LO SABEN (EVERYBODY KNOWS) di Asghar Farhadi (film d'apertura) 
EN GUERRE (AT WAR) di Stéphane Brizé 
DOGMAN di Matteo Garrone 
LE LIVRE D’IMAGE di Jean-Luc Godard 
NETEMO SAMETEMO (ASAKO I & II) di Ryusuke Hamaguchi 
PLAIRE AIMER ET COURIR VITE (SORRY ANGEL) di Christophe Honoré 
LES FILLES DU SOLEIL (GIRLS OF THE SUN) di Eva Husson 
ASH IS PUREST WHITE di Jia Zhang-Ke 
SHOPLIFTERS di Kore-Eda Hirokazu 
CAPHARNAÜM (CAPERNAUM) di Nadine Labaki 
BUH-NING (BURNING) di Lee Chang-Dong 
BLACKKKLANSMAN di Spike Lee 
UNDER THE SILVER LAKE di David Robert Mitchell 
THREE FACES di Jafar Panahi 
ZIMNA WOJNA (COLD WAR) di Pawel Pawlikowski 
LAZZARO FELICE di Alice Rohrwacher 
YOMEDDINE di A.B Shawky 
LETO (L’ÉTÉ) di Kirill Serebrennikov

Séance de Minuit:
ARCTIC di Joe Penna 
GONGJAK (The Spy Gone North) di Yoon Jong-Bing

Séance Spéciale
10 YEARS IN THAILAND di Aditya Assarat, Wisit Sasanatieng, Chulayarnon Sriphol & Apichatpong Weerasethakul 
THE STATE AGAINST MANDELA AND THE OTHERS di Nicolas Champeaux & Gilles Porte 
O GRANDE CIRCO MÍSTICO (LE GRAND CIRQUE MYSTIQUE) di Carlo Diegues 
LES ÂMES MORTES (DEAD SOULS) di Wang Bing 
À TOUS VENTS (TO THE FOUR WINDS) di Michel Toesca 
LA TRAVERSÉE di Romain Goupil 
LE PAPE FRANÇOIS – UN HOMME DE PAROLE (POPE FRANCIS – A MAN OF HIS WORD) di Wim Wenders

Un Certain Regard
GRÄNS (BORDER) di Ali Abbasi 
SOFIA by Meyem Benm’Barek 
LES CHATOUILLES (LITTLE TICKLES) di Andréa Bescond & Eric Métayer 
LONG DAY'S JOURNEY INTO NIGHT di Bi Gan 
MANTO by Nandita Das 
À GENOUX LES GARS (SEXTAPE) di Antoine Desrosières 
GIRL di Lukas Dhont 
GUEULE D’ANGE (ANGEL FACE) di Vanessa Filho 
EUPHORIA di Valeria Golino 
RAFIKI (FRIEND) di Wanuri Kahiu 
MON TISSU PRÉFÉRÉ (MY FAVORITE FABRIC) di Gaya Jiji 
DIE STROPERS (THE HARVESTERS) di Etienne Kallos 
IN MY ROOM di Ulrich Köhler 
EL ANGEL di Luis Ortega 
THE GENTLE INDIFFERENCE OF THE WORLD di Adilkhan Yerzhanov

Fuori Concorso
SOLO: A STAR WARS STORY di Ron Howard 
LE GRAND BAIN di Gilles Lellouche

giovedì 5 aprile 2018

Ready Player One - la recensione

Siamo nel 2045, il mondo è un posto triste e difficile, dove la gente cerca una vita alternativa in OASIS, una piattaforma di realtà virtuale creata dal geniale, ma con problemi relazionali, James Halliday (Mark Rylance). Wade Watts (Tye Sheridan) è un ragazzo di Columbus, Ohio, che quando indossa il suo visore diventa Parzival, il suo avatar. Poi c'è un gioco in cui bisogna trovare delle chiavi, una malvagia corporazione, dei personaggi di contorno interessanti e una serie quasi infinita di easter eggs e rimandi alla cultura pop, fra film, libri, videogiochi e tanto altro.


La trama di Ready Player One, nuovo film di Steven Spielberg, è tanto semplice quanto sorprendente e sarebbe un peccato farne un riassunto troppo dettagliato, togliendo allo spettatore il piacere di addentrarvisi e di lasciarsi catturare da un mondo a misura di nerd
Perchè alla fine è così: il bambino di 71 anni di nome Steven che si getta a capofitto in un'avventura in cui i ragazzini sconfiggono i cattivi, dove si può essere qualsiasi cosa, dove la realtà è grigia ma la fantasia e l'immaginazione sono un mondo meraviglioso e incantato (c'è moltissimo di Hook - Capitano Uncino in questo film). 
Impossibile cogliere a una prima visione tutte le citazioni, i rimandi, gli easter eggs sparsi nelle più di due ore di pellicola, ma per chi è cresciuto a film e videogiochi risulta incredibilmente divertente cercare di individuarle tutte, quasi un piacere infantile. 
Non è difficile capire come il romanzo di Ernest Cline (che ha collaborato anche alla sceneggiatura) abbia catturato uno come Spielberg, che della cultura pop è uno dei massimi esponenti e fruitore appassionato, il divertimento provato dal regista nel fare il film è tangibile e traspare in ogni sequenza, trascina anche lo spettatore meno nerd, lo conquista, non si vorrebbe mai uscire da questo mondo in CGI, proprio come Wade e gli altri, si vuole vivere in OASIS.


Visivamente spettacolare, musicalmente esaltante, un film con tantissimo cuore, puro e travolgente intrattenimento ma con cervello. Il manifesto perfetto dei motivi per cui Steven Spielberg è il più grande narratore di storie del Cinema, ancora imbattuto