lunedì 15 giugno 2015

Jurassic World - la recensione

Ventidue anni dopo lo straordinario Jurassic Park, si torna nel parco, si torna fra i dinosauri.

Il sogno di John Hammond si è finalmente realizzato, a Isla Nublar, "a largo della Costa Rica", scenario del disastroso incidente molti anni prima, è sorto il parco dei divertimenti Jurassic World, dove la gente ormai può vedere e anche interagire con i dinosauri.
Un parco ben avviato, finanziato dal magnate Simon Masrani (I.Khan) e gestito da Claire Dearing (B.D.Howard), responsabile delle operazioni e delle attrazioni.
Il pubblico però chiede sempre di più e per stupire i visitatori, gli scienziati del Jurassic World, capitanati da una vecchia conoscenza, il Dott. Henry Wu, hanno creato in laboratorio un nuovo dinosauro, chiamato "Indominus-Rex". Un ibrido nato da una combinazione genetica di più dinosauri per renderlo il più spaventoso possibile e scioccare la gente, ma anche un animale incredibilmente intelligente e imprevedibile, e infatti (ovviamente) riesce ad uscire dall'isolamento scatenando panico e morte nel parco divertimenti. A cercare di fermarlo ci proveranno Claire, alla ricerca anche dei due nipoti smarriti nel parco, e Owen Grady (C.Pratt), ex-marine che svolge ricerche sul comportamento dei raptor con cui ha instaurato un rapporto di fiducia reciproco.

I dinosauri fanno ancora paura? Cosa possiamo proporre di nuovo per sorprendere la gente? Queste sono le domande che portano il proprietario e gli scienziati del Jurassic World a creare un nuovo dinosauro in laboratorio, ma potrebbero benissimo essere le domande che si sono posti i produttori prima di decidere di riavviare il franchise di Jurassic Park, così come potrebbe essere la domanda che si è fatto il regista Colin Trevorrow prima di cominciare a scrivere la storia.

Se c'è una cosa che non si deve fare dopo (ma anche durante) la visione di Jurassic World è il paragone con Jurassic Park. Il film di Steven Spielberg del 1993 ha cambiato il Cinema. L'uso della CGI mischiata a degli elaborati ed affascinanti animatronic e la migliore manovalanza a disposizione ha creato qualcosa di unico, segnando in modo indelebile la storia del Cinema, un impatto paragonabile solo, in tempi più recenti, allo slow-motion di Matrix, al Gollum de Il Signore degli Anelli o al 3D di Avatar. Il film di Spielberg però non si fermava solo a una questione tecnica, se ha segnato più generazioni è perché il film era una corsa alla sopravvivenza, una lotta contro esseri più forti, con dei personaggi meravigliosi e una tensione che coinvolgeva lo spettatore fino alle ossa e lo teneva incollato alla poltrona con la semplice vibrazione dell'acqua in un bicchiere.
Un paragone tra i due film quindi non può avere senso, questo Colin Trevorrow l'ha capito e ha agito nel modo più intelligente possibile. Il regista ha lasciato da parte la strada percorsa da Il Mondo Perduto e Jurassic Park III, e ha creato un film che si ricollega direttamente a Jurassic Park, di cui ne è la naturale evoluzione, mettendo al centro della storia un parco dei divertimenti funzionante, proprio come Hammond avrebbe voluto.

Il film centra il bersaglio. Jurassic World è grande intrattenimento, c'è la spettacolarità degli effetti speciali, la suspense, ci sono i giusti sussulti, i momenti divertenti che alleggeriscono la tensione, un nuovo dinosauro spaventoso, vecchie conoscenze giurassiche, e tante citazioni di Jurassic Park sparse per tutto il film che provocano sorrisi nostalgici allo spettatore romantico (come si fa a non avere i brividi sulle note del tema scritto da John Williams?).
Ottima la scelta del cast, in particolare quella dei due protagonisti, Chris Pratt e Bryce Dallas Howard, perfettamente calati nella parte e capaci di far funzionare bene sia le battute che i momenti più tesi. Bene anche i due nipoti, Nick Robinson e Ty Simpkins. Meno bene Vincent D'Onofrio e Irrfan Khan, incastrati in due personaggi che potevano benissimo non esserci, o almeno avere una diversa dimensione.

Dove Colin Trevorrow e il suo collega sceneggiatore hanno peccato è nei troppi personaggi secondari, inseriti un po' a forza, e nelle sottotrame, di cui non si sentiva il bisogno per giustificare questo quarto film (e i sicuri capitoli futuri). Il film avrebbe potuto avere un perfetto svolgimento anche senza il "villain" guerrafondaio di Vincent D'Onofrio, che si presenta e finisce suscitando pochissimo interesse, protagonista di una sottotrama superflua e che alla fine va solo a togliere spazio a chi ne meritava di più, come la Claire di Bryce Dallas Howard, il personaggio con una evoluzione più netta e interessante di cui avremmo volentieri visto più scene.

Non sarà epico e unico come il film di Spielberg ma, nonostante qualche "salto" della trama, Jurassic World è un film che funziona bene, tecnicamente perfetto, divertente e spettacolare, regala scene grandiose ed esaltanti, come l'attacco degli pterodattili. Un film dal sapore un po' vintage e nostalgico che rende il giusto omaggio a Jurassic Park senza voler essere Jurassic Park.



PS: nota di merito a Bryce Dallas Howard, eroina oltre lo schermo, che ha fatto tutto il film, anche le scene d'azione e nel fango, con i tacchi alti. Applausi per lei.

sabato 13 giugno 2015

David di Donatello 2015 - i vincitori

Svelati i vincitori della 59esima edizione del David di Donatello.

Anime Nere di Francesco Munzi fa il pieno con ben 9 David, tra cui quello per il miglior film dell'anno e la migliore regia.
Molto felice e un po' incredulo Munzi, soprattutto verso il David per il miglior film, ha poi dichiarato: "Sono contento per il numero di premi perché è stato un vero lavoro collettivo. [...] dopo quello come miglior regista mi ero rilassato, la battaglia era durissima in quella cinquina".

Cinque statuette per il grande favorito della serata, Il Giovane Favoloso di Martone, che comunque si porta a casa il meritatissimo David come migliore attore protagonista, assegnato a Elio Germano, che ha dedicato il premio allo scomparso Nicola Rondolino e al Teatro Valle Occupato.

Notte da ricordare per Margherita Buy, l'attrice infatti ha vinto (meritatamente) il premio come migliore attrice per Mia Madre, il suo settimo David, record assoluto, ad oggi è l'attrice che ne ha vinti di più. E a chi glielo ricorda la Buy risponde con un semplice "Così sembra... ma per me è come fosse il primo. I premi sono sempre una bella iniezione di energia!".
Al film di Moretti anche il premio per la migliore attrice non protagonista, assegnato a una commossa Giulia Lazzarini. Migliore attore non protagonista, Carlo Buccirosso per Io e la Giulia, film di Edoardo Leo premiato anche con il David Giovani.

Una cerimonia come al solito molto piatta - incredibile come non si riesca ad organizzare una serata piacevole in cui si omaggi il Cinema - ma che è stata "scossa" dalla presenza di Quentin Tarantino, presente per ritirare due David vinti in passato, quello per Pulp Fiction (1995) e quello per Django Unchained (2013). Tarantino ha dato la ricetta per un "film tarantiniano", cioè "Una combinazione malsana di violenza terribile e comicità. Ci vuole questo per un film alla Tarantino". Il regista ha mostrato tutta la sua conoscenza del cinema italiano, citando Bava, De Leo, Leone. A premiare Tarantino è stato chiamato il maestro Ennio Morricone, che con assoluta tranquillità ha rivelato che sta per collaborare con il regista per qualcosa di nuovo (potrebbe trattarsi della colonna sonora di The Hateful Eight, non è chiaro).

Ecco l'elenco dei vincitori.

Miglior film
Anime Nere

Miglior regista
Francesco Munzi - Anime Nere

Miglior attore protagonista
Elio Germano - Il giovane Favoloso

Migliore attrice protagonista
Margherita Buy - Mia Madre

Miglior attrice non protagonista
Giulia Lazzarini - Mia Madre

Miglior attore non protagonista
Carlo Buccirosso - Noi e la Giulia

Miglior regista esordiente
Edoardo Falcone - Se Dio Vuole

Miglior sceneggiatura
Francesco Munzi, Fabrizio Ruggirello, Maurizio Braucci - Anime Nere

Miglior film dell’Unione Europea
La teoria del Tutto

Miglior film straniero
Birdman

Miglior produttore
Cinemaundici e Babe Films, con Rai Cinema - Anime Nere

Migliore truccatore
Maurizio Silvi - Il giovane Favoloso

Migliore acconciatore
Aldo Signoretti e Alberta Giuliani - Il giovane Favoloso

Migliori effetti digitali
Visualogie - Il ragazzo Invisibile

Miglior fonico di presa diretta
Stefano Campus - Anime Nere

Migliore scenografo
Giancarlo Muselli - Il Giovane Favoloso

Migliore costumista
Ursula Patzak - Il giovane favoloso

Miglior autore della fotografia
Vladan Radovic - Anime Nere

Miglior montaggio
Cristiano Travaglioli - Anime Nere

Miglior musicista
Giuliano Taviani - Anime Nere

Miglior canzone originale
“ANIME NERE” interpretata da M. De Lorenzo, musica e testi di G. Taviani - 'Anime Nere'

Miglior documentario
Belluscone - una storia siciliana di Franco Maresco

Miglior cortometraggio
Thriller di Giuseppe Marco Albano

David Giovani
Noi e la Giulia di Edoardo Leo

lunedì 1 giugno 2015

Fury - la recensione

Dopo mesi e mesi di ritardo a causa del fallimento della precedente casa di distribuzione italiana, Fury, nuovo film di guerra con Brad Pitt, arriva finalmente nelle sale.

Aprile 1944, Seconda Guerra Mondiale, gli Alleati sono già sbarcati e puntano decisi verso Berlino. La guerra è al suo culmine. I carri armati tedeschi sono superiori a quelli americani ma c'è chi tiene duro, tra questi il carro armato "Fury" del sergente Don "Wardaddy" Collier e del suo equipaggio, soprannominati "Bible", "Gordo", "Coon-Ass". Una squadra affiatata a cui si unirà il giovane e inesperto "Machine". Il carro armato "Fury", alla testa dei pochi cingolati rimasti, viene mandato dietro le linee nemiche, verso un paesino isolato, per difendere un importante crocevia. Una volta rimasti soli con il loro carro armato, decidono di restare a combattere fino alla fine.

Pregi e difetti per il quinto film di David Ayer. Fury si rifà palesemente ai grandi classici dei film di guerra americani. Spogliato di tutto, alla base della trama c'è un'idea molto semplice: il rapporto fra esseri umani, in una situazione estrema come la guerra, vista da un luogo claustrofobico come l'interno di un carro armato. Fury è un film tradizionalista, patriottico, violento, "sporco" ed eroico, ma non sempre Ayer riesce a dosare bene gli ingredienti. Eccedere nella violenza, con visi spappolati e corpi schiacciati, non significa automaticamente rendere il film più realista, così come allungare troppo le parentesi di intimità in contrasto con i modi rudi e "ignoranti" dei soldati, non sempre aumenta l'emotività di una scena. L'impressione è che, in alcuni punti della storia, Ayer si sia fissato più sulla voglia di provocare una reazione nel pubblico, attraverso immagini forti  e sanguinolente, piuttosto che sullo sviluppo della storia, che procede a strappi per tutta la durata del film.
Un vero peccato l'andamento incerto perché sotto il punto di vista tecnico il film è davvero ben fatto, e nelle parti in cui le scene sono supportate dalla sceneggiatura, la pellicola funziona bene. Molto bella la fotografia, ottimi gli effetti visivi e sonori.

Il vero punto forte del film però sono i protagonisti, capitanati da un Brad Pitt - ancora un po' tenente Aldo Raine (Bastardi Senza Gloria) - solido e convincente nei panni di un uomo al comando angosciato dal suo ruolo. Accompagnato come sempre dalla sua grande presenza scenica, Pitt offre un'interpretazione che ricorda molto i protagonisti dei film di guerra americani degli anni '50/'60.
Accanto a Pitt troviamo Michael Pena e Jon Bernthal, nei panni di "Gordo" e "Coon-Ass", dei cinque sono i personaggi meno approfonditi ma i due attori offrono delle interpretazioni convincenti, entrambi capaci di lasciarsi alle spalle il ruolo da "macchietta" che la sceneggiatura, nelle sue sottotrame poco riuscite, sembra volergli cucire addosso.
Davvero molto bravo Logan Lerman, un attore giovane che sta dimostrando di essere in grado di adattarsi a ruoli e generi diversi. Nel film interpreta con grande intensità l'ultimo arrivato, "Machine", soldato arruolato come tipografo che si ritrova dentro un carro armato, senza un minimo di esperienza e riluttante nel voler uccidere. Cambierà presto idea grazie al sergente Collier in una delle scene più riuscite del film. Complimenti a parte li merita Shia LaBoeuf, attore di cui purtroppo si è parlato troppo per fatti privati e poco per le sue capacità. LaBoeuf è molto bravo e a volte si rischia di dimenticarlo. Intenso e "spirituale" - non a caso il suo soprannome è "Bible"-, calato anima e corpo nel personaggio, nel film offre una delle sue migliori interpretazioni in assoluto.

Alla fine, grazie a un cast più che indovinato e ottime scene di guerra, Fury riesce a coinvolgere lo spettatore, purtroppo però non riesce a mantenersi su un livello alto per tutta la sua durata. Ayer in alcuni momenti si perde, ed è un peccato. Rimane un buon film che però aveva i presupposti per essere qualcosa in più.