martedì 30 maggio 2017

War Machine - la recensione

Diretto da David Michod (già regista di The Rover e Animal Kingdom), e disponibile da qualche giorno sulla piattaforma Netflix, War Machine vede Brad Pitt nel ruolo del generale Glen McMahon (ispirato alla figura reale del generale Stanley McChrystal), rigido, altezzoso e pieno di sé, che viene mandato in Afganistan per risolvere un conflitto che va avanti da ormai troppi anni, proprio in concomitanza dell'annuncio da parte del presidente Obama di un imminente ritiro delle truppe USA dal paese. Glen accetta la sfida con slancio, quasi incurante di ciò che avviene nel mondo reale, fatto di politici per i quali la guerra non è altro che una strategia elettorale, ben lontano dall'ambiente militare in cui si muove, davvero convinto nell'utilità della guerra. Sarà proprio la sua altezzosità, e un articolo su Rolling Stone, a pregiudicare sempre di più la sua posizione.

Non si può negare che il primo impatto con il film sia più che positivo: la prima mezz'ora è impostata come una black comedy fortemente satirica e dall'umorismo pungente, Brad Pitt interpreta Glen con una forte componente caricaturale, ma senza scadere nella macchietta, insomma sembra di trovarsi di fronte a una commedia nera piacevole. Poi improvvisamente si cambia totalmente registro, si vira sul politico, su una aperta denuncia della politica di Obama, ma non si riesce più a far satira, i toni troppo seriosi rendono fastidiosa la voce fuori campo e fuori luogo l'interpretazione di Pitt che risulta così troppo caricaturale per essere realistico, ma non abbastanza per far davvero ridere in quel contesto.
A volte si cerca di ritornare sulla commedia iniziale, ma sono tentativi deboli che lasciano piuttosto freddi, i personaggi rimangono inespressi (a cominciare dal giornalista interpretato da Scoot McNairy la cui voce fuori campo diventa sempre più insopportabile) e lo spreco di cast appare evidente, da Ben Kingsley, che sembra dapprima ricoprire un certo ruolo per poi sparire quasi del tutto, a Tilda Swinton che ha una sola scena che dovrebbe essere molto importante ma che rimane tristemente anonima.

Certo, le due ore di durata alla fine scorrono senza noia, ma la sensazione finale di aver assistito a un minestrone, un film che non sa bene cosa vuole dire e in che modo, lascia l'amaro in bocca, soprattutto visti i nomi coinvolti e l'inizio che preannunciava qualcosa di molto più riuscito.

domenica 28 maggio 2017

Festival di Cannes 2017 - i vincitori

Svelati i vincitori della 70a edizione del Festival di Cannes. Se alla vigilia si diceva che non c'era un vero favorito, in realtà i premi hanno confermato le sensazioni dei giorni scorsi: hanno vinto i film che hanno colpito di più. E ci sembra anche giusto così.

La Palma d'oro è andata alla satira di The Square, di un felicissimo Ruben Östlund. Confermato il pronostico su Diane Kruger, vincitrice del premio come migliore attrice per il film In the Fade. Migliore attore Joaquin Phoenix per You Were Never Really Here, film ha ricevuto il maggiori numero di premi.
Il premio per la migliore regia è andato a Sofia Coppola per The Beguiled, è la seconda donna ad aver vinto questo premio nella storia.

Il Premio speciale del 70esimo Anniversario è stato consegnato a the Queen of Cannes, Nicole Kidman, straordinaria attrice che al festival era presente con quattro titoli e in tutti e quattro è stata eccezionale.

Ecco tutti i vincitori.

Palma d’Oro: The Square, di Ruben Östlund
Premio del 70esimo anniversario: Nicole Kidman
Grand Prix: (BPM) Beats Per Minute di Robin Campillo
Miglior regista: Sofia Coppola, The Beguiled
Miglior attore: Joaquin Phoenix, You Were Never Really Here di Lynne Ramsay
Migliore attrice: Diane Kruger, In the Fade, di Fatih Akin
Premio della Giuria: Loveless, di Andrey Zvyagintsev
Sceneggiatura: The Killing of a Sacred Deer di Yorgos Lanthimos e You Were Never Really Here di Lynne Ramsay
Camera d’Or al miglior primo film: “Jeunne Femme/Montparnasse Bienvenue,” di Leonor Serraille
Short Film Palme d’Or: “Xiao Cheng Er Yue (A Gentle Night),” di Qiu Yang
Queer Palm (Feature): “BPM (Beats Per Minute),” Robin Campillo
Queer Palm (Short): “Islands,” Yann Gonzalez

sabato 27 maggio 2017

Festival di Cannes 2017 - giorno 11... domani la cerimonia di chiusura

Nell'ultimo giorno di Concorso sbarca a Cannes Joaquin Phoenix, mentre Fuori Concorso arriva Roman Polanski.

Ultimo film in Concorso, si tratta di You Were Never Really Here della regista scozzese Lynne Ramsay, che vede come protagonista un intenso Joaquin Phoenix.

Il film racconta la storia di Joe (Phoenix), un uomo che ha avuto una vita difficile e che vive con l'anziana madre che ama teneramente. Joe però è anche un mercenario sanguinario, considerato una macchina da guerra da chi lo ingaggia e che è solito uccidere le sue vittime a colpi di martello. L'uomo viene ingaggiato per liberare una ragazzina da un giro di prostituzione minorile legato a degli intoccabili politici, inizierà così un violento viaggio notturno nella mente di un serial killer dalla vita "normale".

Arrivato a Cannes ancora incompleto, tanto che alla fine non erano presenti i titoli di coda, il film ha diviso la critica, tra chi l'ha trovato noioso, chi morboso per i litri di sangue versati, e chi invece l'ha paragonato a Taxi Driver, e che si sono ritrovati solo negli elogi alla performance di Joaquin Phoenix.

"Folle e narcotizzante, come il libro da cui proviene", così l'ha decritto la regista Lynne Ramsay che non ha avuto dubbi sulla scelta del protagonista, "Ho pensato subito a Joaquim Phoenix. Anzi, avevo la sua foto sul computer mentre scrivevo".
Riguardo il paragone con Taxi Driver, è proprio Joaquin Phoenix a tirarlo in ballo e ad allontanarlo da questo film. "'Taxi Driver' è un film magnifico, uno di quelli che hanno fatto di me un attore", ha detto l'attore, "ma in effetti non ci ho pensato mentre giravo, non ci sono riferimenti coscienti a quello o altri modelli, credo che questo sia un film molto originale, non un film hollywoodiano".
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Annunciato all'ultimo nella lista di film del festival, è stato presentato oggi Fuori Concorso il nuovo film di Roman Polanski, D'après une Histoire Vraie (Based on a True Story), con Emmanuelle Seigner e Eva Green protagoniste.

Ispirato al romanzo di Delphine de Vigan, e con una sceneggiatura scritta da Olivier Assayas, il film vede al centro della storia una scrittrice di successo (Seigner) in piena crisi creativa e reduce dal successo di un libro dedicato alla vita di sua madre. La donna è tormentata da lettere anonime che la accusano di aver dato in pasto al pubblico la sua vita privata e proprio in questo momento di grande crisi incontra una giovane donna (Eva Green), che si fa chiamare solo "Elle" (Lei), bella, intrigante, seducente e intelligente, fa la la ghostwriter e sembra capirla meglio di chiunque altro. Ma piano piano che la donna si fa largo sempre di più nella vita della scrittrice, i dubbi su di lei aumentano.

L'dea del film è nata proprio grazie a Emmanuelle Seigner, moglie di Polanski. "Leggendo il libro ho pensato ai primi film di Roman, 'L’inquilino del terzo piano', 'Repulsione', gli ho regalato il libro e infatti gli è piaciuto", ha raccontato l'attrice.
Il film parla dell'ossessione del pubblico per "le storie vere" (non a caso il titolo è "Tratto da una storia vera"), per la realtà, un concetto molto ambiguo secondo il regista. "La ragione di questa ossessione risiede nel bombardamento elettronico che viviamo, circondati da troppe immagini cui noi ci appoggiamo in cerca di verità", ha dichiarato Polanski, "ma è tutta un'illusione dal momento che la realtà ormai si può manipolare. La formula 'tratto da una storia vera' non ha più alcun significato".
Sulla scelta del cast, Polanski non ha avuto dubbi sullo scegliere Eva Green per il ruolo di Elle. "Non appena ho deciso di fare il film ho pensato subito a Eva per il ruolo di Elle", ha raccontato il regista, "L’avevo vista in 'Sin City' e mi aveva colpito molto il suo personaggio, un condensato di fascino e ironia". Mentre per Emmanuelle Seigner (è la quinta collaborazione tra i due) è stato ancora più semplice... visto che ce l'ha in casa. "Mi chiedono spesso se è difficile girare un film con la propria moglie, ma non lo è", ha detto il regista, "La cosa difficile è tornare a casa e fare il marito. Quando rincaso dopo una giornata intensa sul set vorrei solo distrarmi, dimenticare la lavorazione mentre Emmanuelle vorrebbe parlare ancora del film, questa è l’unica difficoltà".

Entusiasmo da parte di Eva Green, che non ci ha pensato due secondi prima di accettare l'offerta di Polanski. "Come si fa a rifiutare una proposta che arriva da Roman? E’ uno dei migliori registi al mondo", ha detto l'attrice durante la conferenza stampa, "E poi avevo a disposizione un personaggio fantastico, una donna bizzarra e nello stesso tempo vera, cosa che mi piaceva. E’ difficile capirla fino in fondo, per tutto il film ti domandi se esista sul serio oppure no, e una simile ambiguità è stata per me una sfida e mi ha permesso di dare sostanza al personaggio".

Il film è stato bene, ha ricevuto buone critiche, ma senza particolare entusiasmo.

venerdì 26 maggio 2017

Festival di Cannes 2017 - giorno 10

Il festival si avvia alla conclusione, e così il Concorso. Presentato oggi il nuovo film di Fatih Akin, In The Fade (titolo originale Aus Dem Nichts).

Con questo film il regista tedesco di origini turche - quarta volta al festival dove ha già vinto un premio nel 2007 - porta in Concorso fatti di strettissima attualità: gli attacchi terroristici. Un tema che, visti i recenti fatti di cronaca, la strage di Manchester e la tensione al festival con i serrati controlli di sicurezza, ha fatto discutere molto la critica.

Il film racconta il dramma di una donna, Katja (Diane Kruger), tedesca e sposata con un turco dalla fedina penale non proprio immacolata, che vede la propria vita stravolta e sgretolata dopo che il marito e il figlio vengono brutalmente uccisi da una bomba, un attacco terroristico di stampo xenofobo fatto da un gruppo di neonazisti. Katja sprofonda nel dolore in attesa di giustizia, poi si affida alla vendetta.

Il film è ispirato a fatti reali accaduti in Germania tra il 2000 e il 2007, quando un gruppo neonazista mise in atto una serie di omicidi di stampo razzista e xenofobo. "Il vero scandalo non furono tanto le morti", ha dichiarato Fatih Akin, "ma il fatto che per anni polizia, stampa e opinione pubblica diedero la colpa ai turchi, che erano le vittime, insinuando il sospetto che gli attentati fossero un regolamento di conti per traffici di droga o fatti criminali nella comunità degli immigrati". Le ragioni politiche nel film rimangono sullo sfondo, al centro del film c'è una donna e gli omicidi. "Non importa chi sono i terroristi, conta la perdita e quello che scatena a livello umano", ha spiegato Akin.

Protagonista una intensa Diane Kruger, che ne film recita nella sua lingua madre, il tedesco, cosa che fino ad oggi aveva fatto solo in alcune scene di Bastardi Senza Gloria di Tarantino, e che evidentemente l'ha aiutata visto che è molto convincente nel ruolo, tanto che molti la danno come favorita per la vittoria del premio per la migliore interpretazione femminile. "Era un ruolo che mi faceva molta paura, proprio perché raccontava un atto di terrorismo in un momento in cui viviamo l'orrore del terrorismo tutti i giorni", ha dichiarato l'attrice, "Le notizie sono piene di cifre di morti e feriti ma non raccontiamo mai le storie di chi resta. Interpretando Katja ho cercato di fare con lei un viaggio per raccontare come si può vivere il dolore di una perdita così e soprattutto l'ingiustizia. Ho avuto la fortuna di poter girare il film in ordine cronologico e così ho avuto l'impressione di crescere con lei. Fatih Akin, che è un regista che ammiro e che con il suo cinema ha segnato la mia adolescenza, mi ha chiesto di buttarmi nel vuoto con gli occhi chiusi e io l'ho fatto".
Diane Kruger e Fatih Akin si sono incontrati per la prima volta proprio a Cannes qualche anno fa e grazie a quell'incontro il regista l'ha scelta come protagonista. "Ci siamo conosciuti a un party sulla spiaggia e Diane mi ha confessato che avrebbe voluto lavorare con me", ha raccontato Akin, "Quando scrivendo la storia ho capito che cercavo una protagonista bionda e ariana mi sono ricordato di lei. E’ un’attrice molto intelligente, curiosa e intuitiva".
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Presentato in Concorso anche il nuovo film di François OzonL'Amant Double. Sesta partecipazione al festival per il regista che stavolta presenta un thriller erotico ispirato al romanzo breve di Joyce Carol Oates. Protagonisti Jérémie Renier e Marine Vacth. Nel cast anche Jacqueline Bisset.

Il film racconta di Chloe, una ragazza depressa che si innamora del suo psicanalista. I due vanno a vivere insieme ma presto Chloe scoprirà che il suo amante nasconde una parte della sua personalità e un fratello gemello.

Prova impegnativa e molto fisica per i due attori, soprattutto per Marine Vacth, a causa delle numerose scene di sesso (anche se l'attrice era già stata protagonista di un film abbastanza esplicito come Giovane e Bella). Per il film il regista ha dichiarato di essersi ispirato ai grandi del Cinema che in passato hanno padroneggiato il genere, come Hitchcock e De Palma. "E’ un thriller erotico e per questo i miei riferimenti cinematografici non potevano che essere Hitchcock e Brian De Palma", ha dichiarato François Ozon, "In particolar modo amo il modo in cui quest’ultimo sappia decostruire il genere thriller. E' interessante giocare con l’immaginazione, con quello che può essere vero o falso, così che lo stesso spettatore si chieda sempre cosa stia vedendo. Io adoro lavorare con questi temi ed è quello che vedete rappresentato nel mio film".

Pirati dei Caraibi: la Vendetta di Salazar - la recensione

Dopo il quarto capitolo, diretto da Rob Marshall e rivelatosi una cocente delusione, era complicato approcciarsi a questo nuovo film della fortunata saga piratesca senza ansie e paure di sorta.
Se il trailer sembrava aver tranquillizzato molti, è anche vero che spesso i trailer ingannano e che la paura che la saga fosse ormai morta era tanta.

Ci pensa però l'incipit di questo nuovo film a spazzare via ogni dubbio: l'Olandese Volante emerge dal mare accompagnata dal classico tema scritto da Hans Zimmer (e qui ripresa da Geoff Zanelli) e un Will Turner ormai sempre più simile a Davy Jones parla con suo figlio Henry di maledizioni da spezzare e di Jack Sparrow.
Ci si sente improvvisamente meglio, la sensazione è quella che si provava nei primi tre capitoli, ma è ancora presto per cantare vittoria, una voce nella testa ci dice di stare allerta.
Vengono introdotti due nuovi personaggi: Henry Turner, figlio di Will Turner, e Carina Smith, una ragazza studiosa di astronomia e per questo accusata di essere una strega. I nuovi sembrano freschi e in sintonia, colpiscono già da subito al contrario di quanto avvenuto con i dimenticabili prete e sirena del film precedente. Si intravede un altro spiraglio di speranza e il tempo inizia a passare più velocemente, ma si continua a essere cauti, ad avere paura.

E poi, improvvisamente, con un'introduzione assurda, sopra le righe e divertentissima, sulla scena compare Jack Sparrow.
Johnny Depp è evidentemente nato per interpretare questo ruolo (tanto da non riuscire più a uscirne in moltissimi altri ruoli della sua carriera, che sembra comunque in ripresa) e vi si trova a suo agio come se non dovesse nemmeno recitare. Lui si diverte e si vede, ma la cosa più importante è che fa divertire lo spettatore, in una scena che riprende in più punti il primo, indimenticabile, film della saga e in quel momento, mentre Jack ubriaco e inseguito da guardie armate, la voce nella testa tace e ci si rilassa del tutto.

Jack Sparrow è indubbiamente l'anima del franchise, ma il contorno è altrettanto importante e a fare davvero la differenza rispetto al precedente film è il cattivo interpretato da Javier Bardem: Salazar è un personaggio carismatico e inquietante, visivamente particolare, un po' Davy Jones un po' Barbossa, e funziona alla perfezione all'interno della storia e della ricerca dell'oggetto magico che non manca mai in questa saga, nel caso specifico il Tridente di Poseidone.
E a proposito di Barbossa (un sempre magnifico Geoffrey Rush), non manca di certo il suo personaggio ed è davvero interessante la sua storyline e il suo approfondimento, un personaggio sempre al limite, cattivo ma mai del tutto, unico che riesce a essere alla pari di Depp e del suo Sparrow.
Un film che scava nel passato: nel passato di Barbossa, ma soprattutto in quello di Jack (ancora una volta assistiamo all'incredibile ringiovanimento di un attore grazia alla CGI), in cui Salazar ha avuto un ruolo passeggero ma fondamentale nel fare di lui ciò che è oggi, dai pendagli al cappello e soprattutto alla sua famosa bussola, è tutto iniziato con Salazar.
Il richiamo alle origini è fortissimo e si percepisce in ogni scena, ma quando la Perla Nera compare sullo schermo, accompagnata dal tema principale, non si può fare a meno di sentire un brivido.
Ma non è solo nostalgia, è qualcosa di diverso, un ritorno alle origini come temi, la chiusura di un cerchio (il finale in questo è esplicativo e commovente, se si è fan della prima ora sarà difficile non versare nemmeno una lacrima) e un nuovo inizio, evidentemente nella speranza di dare vita a una nuova trilogia, come suggerisce il cliffhanger contenuto nella scena post-credits.

Alla fine ci si sente sollevati e divertiti, forse commossi e scombussolati. Certo, non c'è quel senso di meraviglia che accompagnava la visione de La Maledizione della Prima Luna, che probabilmente sarà irripetibile, anche perché era totalmente nuovo e inaspettato, ma sicuramente la sensazione di riaver avuto indietro qualcosa di familiare a amato che ci era stato tolto.
Tranquilli, si può far finta che il quarto film della saga non sia mai esistito (d'altronde lo fanno anche Ronning e Sandberg, i due registi norvegesi di questo film) e godersi La Vendetta di Salazar, che è divertentissimo. Per fortuna.

Chiara

giovedì 25 maggio 2017

Festival di Cannes 2017 - giorno 9

Si entra nella fase conclusiva del festival, oggi è il giorno di Robert Pattinson, che torna a Cannes in Concorso con il film Good Time, dei fratelli Safdie.

Il film racconta la storia di Constantine "Connie" Nickas, che quando il fratello viene arrestato per una rapina andata male, si immerge nel sottobosco criminale di New York per cercare di tirarlo fuori dal carcere. Inizia così una corsa contro il tempo in una lunga notte in cui la vita di Connie e quella del fratello saranno appese a un filo.

Un film a basso budget girato in stile "guerrilla" da due registi indipendenti a cui Robert Pattinson ha detto subito sì. "Appena ho conosciuto Josh e Benny ho pensato subito: voglio assolutamente lavorare con questi artisti, e poi adoro girare in mezzo alle gente, per le strade", ha dichiarato l'attore in conferenza stampa, "Per prepararmi ho trascorso due mesi da Josh a New York. L'idea che il film venisse girato in stile 'guerrilla' mi attraeva e nello stesso tempo mi preoccupava, temevo di essere assediato dai paparazzi, così ho cercato di diventare un fantasma, di scomparire letteralmente nel personaggio. Non era semplice, per fortuna pochi si sono accorti di noi, ed era strano, perché giravamo in luoghi pubblici affollati e io avevo la macchina da presa costantemente incollata al viso ed era impossibile non notarmi".
I due registi hanno lavorato molto sulla caratterizzazione dei personaggi, andando davvero molto in profondità. "Tutti i nostri film partono dai protagonisti", ha spiegato Josh Safdie, "Questa volta abbiamo buttato giù una biografia dettagliata per ogni singolo personaggio. Per noi è sempre stata una specie di ossessione, di solito ci capita di immaginare cosa possa aver fatto questo o quell'altro personaggio quando aveva 12 o 13 anni".
Ad interpretare il fratello di Robert Pattinson è stato uno dei due registi, Benny Safdie. "Al principio non interpretarlo, ho cominciato a fare dei provini in cui mi fingevo un avvocato che parlava con Nick, poi ho provato a mettermi al posto di Nick e mi sono accorto che le cose non andavano male", ha raccontato il regista/attore, "Ho lavorato sul suo modo di parlare e ho fatto in modo che la mia personalità non lo travolgesse mai. Con Robert, poi, abbiamo cominciato a scriverci delle lettere, fingendoci io il fratello in prigione e lui il fratello libero. Questo ci ha aiutato a costruire un rapporto fra i nostri personaggi".
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Oggi doveva essere anche il giorno dell'evento legato a Twin Peaks, la presentazione di quattro episodi della nuova attesissima stagione della serie di David Lynch, ma qualcosa è andato storto. Tre giorni fa infatti Sky Atlantic e Shotime hanno mandato in onda i primi episodi, rovinando di fatto l'effetto sorpresa. Nelle sale della stampa si sono viste scene insolite per un festival, cioè addetti ai lavori che hanno dovuto "ripiegare" sulla pirateria per riuscire a vedere le puntate. A questo punto, senza effetto sorpresa, l'evento è un po' meno "evento", a cui bisogna aggiungere il fatto che Lynch (almeno per il momento) ha deciso di non tenere nessun incontro con la stampa.
Non si è capito cosa è andato storto, c'è chi parla di malinteso, chi di mossa di marketing da parte di Showtime. Stasera comunque il cast sarà sul red carpet.

mercoledì 24 maggio 2017

Festival di Cannes 2017 - giorno 8

E' il giorno di uno dei film più attesi del festival e del Concorso. E' il giorno di Sofia Coppola e il suo The Beguiled, con Elle Fanning, Nicole Kidman, Kirsten Dunst e Colin Farrell.

Adattamento del romanzo "A Painted Devil", e remake de La notte brava del soldato Jonathan (1971), il nuovo film di Sofia Coppola ha convinto il festival ricevendo una bella accoglienza da parte della critica e ottime recensioni.

Ambientato nella Virginia della Guerra di Secessione, il film racconta di un soldato nordista ferito che viene accolto in un piccolo collegio femminile del sud. Il soldato viene curato e accudito, quasi coccolato, ed essendo l'unico uomo della casa attira molto l'attenzione delle fanciulle. L'uomo inizia a flirtare con tutte e finisce per ferirle, scatenando la gelosia incontrollata delle ragazze che faranno gruppo e si scaglieranno tutte contro di lui.

Quello di Sofia Coppola è un film diverso dagli ultimi lavori della regista, The Beguiled (che in Italia sarà intitolato L'Inganno) è un film grottesco, macabro, cinico, tecnicamente ottimo e con una fotografia suggestiva.
All'ingresso in sala stampa sono stati molto applauditi sia il cast che la regista, che ha subito spiegato il rapporto sia col romanzo che con il film del 1971. "La mia produttrice Anne Ross mi ha detto: devi vedere il film di Don Siegel e fare una tua versione del libro", ha raccontato Sofia Coppola, "Ho seguito il suo consiglio, ho visto 'La notte brava del soldato Jonathan' e mi è rimasto in mente per molto tempo. In quel film la storia veniva narrata da un punto di vista maschile, così ho pensato che avrei potuto cambiare prospettiva e raccontarla da un punto di vista femminile". E se i toni del film sono diversi dal solito, a tornare è un tema da sempre caro alla Coppola: le donne, le ragazze, il punto di vista femminile. "Non so se il mio sia un film che parla di emancipazione femminile, potete interpretarlo come preferite", ha detto la regista, "Più di ogni altra cosa, desideravo parlare di guerra fra i sessi, cosa che spero di aver raccontato in maniera divertente. E poi mi interessava rappresentare donne di diverse età e lavorare con attrici di diverse età. Mi interessava la visione di questa donne diverse tra loro e isolate, e capire cosa accadeva quando ci si mette di mezzo un uomo. E anche la guerra di ruoli che si viene a creare tra uomini e donne".
Tornando sul confronto tra i due film, la regista ha poi rivelato un evento organizzato da Quentin Tarantino: "Non volevo fare un vero proprio remake. Ma vedremo i due film a Hollywood, perché il mio caro amico Quentin ha organizzato una doppia visione, per mostrare due versioni della stessa storia".

Unico uomo in mezzo a un cast di sole donne è Colin Farrell. "Per me questo film è stato un lungo viaggio in mezzo a una marea di corsetti", ha detto l'attore, "Mi ha fatto un immenso piacere lavorare circondato da donne così straordinarie, creative, talentuose. Mi sentivo a mio agio sul set, avevo fiducia in Sofia, ma francamente non sapevo cosa sarebbe venuto fuori da un'esperienza che mi sembrava folle. Mi piace essere diretto dalle donne e mi piace che il punto di vista della storia sia femminile". Inevitabile il paragone con Clint Eastwood, protagonista del film del 1971. "Il film di Siegel l'avevo visto anni fa e ne ero rimasto turbato ma non ho cercato di rifare Clint Eastwood", ha dichiarato Farrell, "Non ho avuto l’opportunità di incontrarlo, è un uomo molto impegnato! Clint era straordinario e inimitabile, ma sono stato molto felice di poter mantenere la mia origine irlandese, il mio accento. Ho inventato una piccola backstory per il mio personaggio".

Ad interpretare la direttrice del collegio è Nicole Kidman, al suo quarto (e ultimo) titolo in questo festival, che riguardo il suo personaggio ha detto: "Si tratta di una storia di sopravvivenza. Il mio personaggio ha la responsabilità di un gruppo di ragazze e le vuole proteggere. Proviene da un posto carico d’amore...poi è arrivato lui [Colin Farrell] e ha rovinato tutto. Voglio dire, non potevamo certo procreare, ma stavamo bene!". Due dei titoli con cui la Kidman è al festival quest'anno sono diretti da donne, la serie Top of the Lake di Jane Campion e il film della Coppola. "Credo che ci sia un'impronta femminile forte in questo film e, mi dispiace dirlo, non penso che un uomo avrebbe dato lo stesso apporto. Oggi qui abbiamo Jane Campion e Sofia Coppola ma non dobbiamo dimenticare le statistiche", ha dichiarato l'attrice, "lo scorso anno circa il 4% dei film prodotti dalle major sono stati diretti da donne. Tutti dicono che le cose stanno cambiando e forse è vero, ma ancora troppo lentamente. Noi come interpreti dobbiamo sostenere le registe donne, questo è ormai un dato di fatto".

Per Nicole Kidman e Colin Farrell è stata la prima volta con Sofia Coppola, Elle Fanning e (soprattutto) Kirsten Dunst avevano già lavorato con la regista. "Stavolta però mia madre non era sul set", ha scherzato Elle Fanning ricordando il film Somewhere (2010), "stavo diventando diciottenne quando ho fatto il film ed era un momento particolare nella mia vita. E poi c'era Kirsten, è mia amica, mi sentivo al sicuro". Per Kirsten Dunst invece è stata la quarta collaborazione con la regista (senza contare il cameo in Bling Ring), non ci ha messo molto l'attrice ad accettare la sua proposta: "Non sapevo molto del progetto, ma per Sofia reciterei anche l'elenco del telefono!".

Sfiorato anche il tema Netflix e il rapporto tra Sofia Coppola e i film ad alto budget, a cui la regista non chiude la porta a prescindere. "Ho girato in 35mm e ne sono molto orgogliosa. Spero che la gente lo veda al cinema, noi giriamo pensando al frame grande, non al cellulare. E’ la sua dimensione ideale e penso che farsi rapire dallo schermo sia una cosa molto rara al giorno d’oggi, con lo stile di vita moderno che conduciamo", ha dichiarato la regista, "Mi piace girare film a basso budget dove ho il potere di fare le cose nel modo in cui voglio. Ma mai dire mai".

Il film sarà nelle sale italiane dal 14 settembre.

martedì 23 maggio 2017

Festival di Cannes 2017 - giorno 7

Giornata particolare al festival che da una parte festeggia i suoi 70 anni e dall'altra non resta insensibile davanti ai recenti gravi fatti di cronaca e ritaglia un piccolo spazio per osservare un minuto di silenzio, con attori e registi fermi, schierati e composti sulla montèe de Marche, in ricordo delle vittime dell'attacco terroristico di Manchester di ieri sera.

Il festival quindi compie 70 anni e per autocelebrarsi è stata organizzata una giornata speciale, iniziata con una foto di gruppo quasi surreale, con attrici, attori e registi che hanno segnato il festival. E così nella foto ti capita di vedere fianco a fianco Nanni Moretti, Ken Loach, Uma Thurman, Juliette Binoche, Jessica Chastain, Nicole Kidman, Monica Bellucci, Benicio del Toro, Guillermo del Toro, Nicolas Winding Refn, Michael Haneke, Agnès Varda, Oliver Stone, Marion Cotillard, Mads Mikkelsen, Claudia Cardinale, Christoph Waltz, Elle Fanning, Alejandro González Iñárritu, Kirsten Dunst, Sofia Coppola, Jane Campion, Dario Argento, Tilda Swinton, Catherine Deneuve, e tanti tanti altri, 113 in tutto. Un po' indisciplinati in realtà, è stato impossibile tenerli fermi in stile "foto di fine anno a scuola", tra chiacchiere e il sole battente, alcuni sono venuti con gli occhi chiusi, girati, o con strane espressioni.

Stasera ci sarà una cerimonia, preceduta da un red carpet stellare vista la quantità di personalità, presentata da Isabelle Huppert, in cui, tra ricordi e vincitori del passato, verrà celebrato il settantesimo compleanno del Festival di Cannes.
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Protagonista della giornata anche la serie tv Top of the Lake, di Jane Campion, che presenta al festival al seconda stagione, China Girl. Nel cast torna Elisabeth Moss, mentre tra le new entry troviamo Gwendoline Christie e, the Queen of Cannes, Nicole Kidman (al suo terzo titolo in questo festival, ne manca solo un altro).

I nuovi episodi affronteranno molte delle domande lasciate in sospeso dalla prima, acclamata, stagione. riguardo il passato del detective Griffith (Elisabeth Moss), che tornerà a Sidney e si ritroverà subito coinvolta in un caso delicato a seguito del ritrovamento del cadavere di una ragazza orientale.

La serie segna il ritorno della coppia Kidman-Campion, diciassette anni dopo Ritratto di Signora, film che ha consacrato Nicole Kidman come la grandissima attrice che è.
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Ancora un po' d'Italia nelle sezioni parallele. In Un Certain Regard, con il Dopo la Guerra, opera prima di Annarita Zambrano. Nel cast anche Barbora Bobulova e Giuseppe Battiston. Alla Quinzaine des Réalisateurs invece è stato presentato Cuori Puri, di Roberto De Paolis. Nel cast Barbora Bobulova (di nuovo) e Stefano Fresi.
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In Concorso. Presentato Radiance, il nuovo film di Naomi Kawase, già vincitrice della Caméra d'or nel 1997 e del Grand Prix Speciale della Giuria nel 2007.

Il film racconta la storia di Misako, una ragazza ama raccontare il mondo, oggetti e sentimenti, lavorando nelle descrizioni audio dei film, che stringe un forte legame con un fotografo che sta lentamente perdendo la vista.

Alien: Covenant - La Recensione

"E sul piedistallo, queste parole cesellate:
«Il mio nome è Ozymandias, re di tutti i re,
Ammirate, Voi Potenti, la mia opera e disperate!»
Null'altro rimane. Intorno alle rovine"
Tratto da Ozymandias, di Percy Shelley

Percy Shelley, nel 1818 rifletteva sulla vacuità e la caducità del potere e della gloria, ed è un po' quello che fa anche Ridley Scott in Alien: Covenant, con l'arduo compito di sistemare il pasticciaccio brutto che Damon Lindelof, sceneggiatore di Prometheus, gli ha combinato nel 2012.
Però, per analizzare questo film, bisogna partire da lontano, nello specifico dal 1979, anno di uscita di Alien, film che ha ispirato generazioni di registi, con la sua potenza visiva e la capacità di terrorizzare. Poi venne Aliens, messo nelle mani di James Cameron, cosa mai andata a genio al signor Scott, per la cronaca, che confeziona un prodotto fresco, più in linea col periodo cinematografico che si venne a creare negli anni '80 e quasi migliore del primo capitolo, con colpi di scena mai solo per la mera voglia di stupire e interessantissimi  spunti per i film futuri.
A seguito di questi due pilastri dell'horror e della fantascienza, venne il turno di Alien³, diretto da David Fincher, che ha declinato la sua passione e maestria al servizio dello Xenomorfo, incartando un prodotto che però non si è rivelato all'altezza delle aspettative. Ultimo, ma non per ultimo, arriva Jean Pierre Jaunet, che fa il pastrocchio, con Alien - La Clonazione, lasciando tutti insoddisfatti per la conclusione dell'epopea di Alien.

Detto questo, arriviamo al 2012, anno dell'uscita nelle sale di Prometheus, prequel della saga lanciata da Ridley Scott, ma, per sua stessa ammissione, non voleva essere un semplice prequel, voleva espandere l'universo creato nel '79, a maggior ragione dopo che Neil Blomkamp si era candidato alla regia di un ipotetico sequel di Aliens, film da sempre screditato da Scott. L'obiettivo è chiaro, la strada da percorrere, complice una sceneggiatura debole, per usare un eufemismo, è diversa. Si vuole indagare sulla nascita degli alieni, ma questi, per buona parte del film, non si fanno vedere. Grazie anche ad una serie di personaggi ridicoli nei loro ruoli professionali e linee di dialogo mai veramente accattivanti, il film viene salvato dalla messa in scena e resa visiva di Scott, che sa di essere un gran regista, dimostrandolo, e dalle interpretazioni di alcuni attori, Rapace e Fassbender su tutti nel ruolo di David, il sintetico. Il film non convince, visto anche il fatto che alcune scene chiavi o spiegazioni di tali, sono presenti solo nella versione estesa del film.
Il punto focale non sono più gli alieni preferiti di tutti, bensì ora al centro di tutto ci sono le figure dei sintetici, interpretati in questo filone da Fassbender, appunto, con gli xenomorfi a fare da terrificante sfondo a tutto ciò.

Sono passati 5 anni da tutto questo. Ridley Scott è tornato alla carica, e questa volta ha abbastanza raddrizzato il tiro, rispondendo ad alcune domande lasciate aperte.
Il film si apre con la Covenant, una nave coloniale con 2000 anime a bordo, pronta a raggiungere il nuovo mondo pronto a fare da culla alla razza umana. La nave procede nel suo viaggio mentre i membri dell'equipaggio ed i coloni sono avvolti nel criosonno che i capitoli precedenti ci hanno aiutato a conoscere. Un'emergenza ed un segnale sconosciuto porteranno la Covenant a cambiare rotta verso un nuovo mondo da esplorare, dove verranno a conoscenza di alcuni segreti sconvolgenti.

Esprimere un giudizio su questo film è un compito complesso per alcune ragioni, tutte riconducibili a Prometheus: il film scorre, grazie alla magistrale messa in scena del maestro Scott, purtroppo però suona per gran parte come uno spiegone, che mette pezze al film del 2012, rammenda e sistema qua e là, ma soprattutto toglie potere di continuity ad Aliens, proprio lui, sconvolgendo alcune regole che Scott stesso aveva contribuito a creare, come ad esempio quelle riguardanti la nascita e l'incubazione degli alieni stessi.
Il film spiega anche perché, a partire dal 1979 tutti i sintetici che si sono alternati al fianco dei protagonisti hanno, presto o tardi, sviluppato una attrazione sana o malsana, o nei confronti delle creature terrificanti che danno il nome alla saga.
Il punto di forza del film è di nuovo rappresentato da un immenso Michael Fassbender, in grado di dare profondità ai suoi personaggi, nonostante apparentemente privi di emozioni, in quanto non umani. Purtroppo, anche in questo capitolo, la "debolezza" proviene dai componenti umani dell'equipaggio, che peccano di ingenua curiosità, mettendo le mani un po' dappertutto senza esaminare, un po' come dei bambini al parco giochi; nota di merito va alla caratterizzazione però, che, complice un cortometraggio di presentazione pubblicato durante la campagna di marketing, crea relazioni interessanti.
La sceneggiatura fa il suo lavoro, come fosse un compitino, ma perlomeno è funzionale all'obiettivo del film, con pochi dialoghi davvero interessanti e quasi tutti coinvolgono quello che è il motore di questo film: Michael "Fassy" Fassbender.
Ma il punto di forza del film è quello che ci ha insegnato la paura degli xenomorfi. Le scene che vedono gli alieni in azione valgono il tempo speso in sala, con attimi di puro terrore alla vecchia maniera, che, però, purtroppo, occupano una parte deludentemente piccola della pellicola.

Tutto sommato il film è più che gradevole, con una direzione ben chiara nella struttura narrativa per questo secondo capitolo ed una programmata per i successivi, sperando che il maestro Ridley torni a terrorizzarci nello spazio, dove nessuno può sentirci urlare.

lunedì 22 maggio 2017

Festival di Cannes 2017 - giorno 6

Due titoli molto attesi oggi al festival, in una giornata segnata dalle grandi attrici, Isabelle Huppert da una parte, e una divina Nicole Kidman dall'altra.

Ha diviso e scioccato la critica ma ha ricevuto anche ottime critiche il nuovo film del regista greco Yorgos Lanthimos, The Killing of a Sacred Deer (Concorso), che vede protagonisti Colin Farrell e Nicole Kidman.

Un thriller psicologico con risvolti horror che vede al centro una famiglia formata dal padre, Steven (Farrell), un chirurgo, sua moglie Anna (Kidman), medico oftalmico, e i due figli di 14 e 12 anni. La situazione inizia a diventare inquietante quando in famiglia arriva Martin, il figlio di un paziente morto durante un'operazione fatta proprio da Steven che, sentendosi in colpa, decide di accoglierlo in casa. Tra i due si instaura una relazione inquietante che diventa ancora più preoccupante quando i figli di Steven cominciano ad ammalarsi, incapaci di mangiare o camminare, e si capisce che Martin sta mettendo in pratica una assurda e subdola vendetta, mettendo così Steven di fronte a una scelta terribile.

Il film presenta scene molto crude e dirette fin dall'apertura, con un intervento a cuore aperto e pulsante in primo piano, ma Yorgos Lanthimos, regista di The Lobster (Premio della Giuria a Cannes 2015) non è nuovo a film surreali dai risvolti inquietanti. "Il racconto è globalmente duro, ma non lo è in ogni suo singolo momento", ha spiegato il regista, "anche perché non ho voluto trattare la materia narrativa con tono grave, anzi ho ripetuto al cast che stavamo facendo un film comico e che sul set dovevamo divertirci".
In The Killing of a Sacred Deer si parla con crudezza del tema del sacrificio ma il regista non voleva dare nessuna risposta al pubblico e se ne cercate una non chiedete a lui. "Il mio film non dà risposte, la spiegazione di quello che accade lo spettatore non lo saprà mai e neppure io lo so per cui è una domanda che dovrai portare con te", ha dichiarato Lanthimos, "Non so se ho un mio concetto di sacrificio, per il momento sto esplorando l'idea di giustizia, delle scelte che la natura umana è portata a compiere. Il senso di sacrificio è qualcosa che appartiene alla religione e alla mitologia greca, infatti anche il titolo allude all'Ifigenia di Euripide, non è un mio concetto, appartiene all'umanità".
Una sceneggiatura che ha conquistato subito una bravissima, biondissima e bellissima Nicole Kidman. "Mi ha ipnotizzata. Yorgos ha un modo particolare di creare le scene e guidarti sul set", ha raccontato l'attrice, "In altri tempi forse ne avrei avuto paura, quando valuti una proposta scegli il regista e ti assumi dei rischi, perché per quanto hai potere contrattuale e per quanto cerchi di controllare, sei nelle sue mani, e per un attore la scelta di farlo è sempre molto difficile. Io mi sono lasciata andare, volevo provare altre cose. Il suo lavoro è diretto, molto fisico, non racconta, non vuole essere distratto da altro e così mi sono messa al servizio di questa storia che scava ed esplora la condizione umana quando ha a che fare con la colpa e il sacrificio".

Nicole Kidman quest'anno è la vera regina del Festival di Cannes, presente con ben quattro film (The Beguiled di Sofia Coppola, la serie Top of the Lake di Jane Campion, How to Talk to Girls at Parties di John Cameron Mitchell, e il film di Lanthimos). "Quattro film al festival? E' una coincidenza, certamente non immaginavo accadesse", ha dichiarato l'attrice, "Ma a questo punto della mia vita cerco di rimanere aperta e disponibile a provare esperienze nuove, cerco di comportarmi come se fossi sempre a inizio carriera, amo le sfide e voglio sostenere cineasti in cui credo o un'amica come Jane Campion, che conosco da quando avevo 14 anni. Penso sempre di avere ancora 21 anni e di essere all'inizio della mia carriera. Mi piace l'idea di continuare a esplorare il mondo e la condizione umana. Nutro una forte passione per ciò che faccio e non ho bisogno di lavorare ma lo faccio perché mi piace".
E noi la ringraziamo per questo.
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Presentato, sempre in Concorso, il nuovo film di Michael Haneke, Happy End, che vede protagonista Isabelle Huppert, e un cast che comprende anche Jean-Louis Trintignant, Toby Jones, e Mathieu Kassovitz.

Ambientato nei dintorni di Calais, punto di transito caldo per i rifugiati, il film è un ritratto di una famiglia altoborghese che ha perso tutti i valori, e fa da specchio a una società falsa, infelice ed egoista.

Due volte vincitore della Palma d'Oro, l'ultima con Amour nel 2012, che era stato anche l'ultimo film girato da  Michael Haneke, uno che a Cannes è di casa. Così come la sua protagonista, la sempre brava Isabelle Huppert.
"Ho impiegato quasi cinque anni a fare un nuovo film dopo Amour", ha raccontato il regista, "stavo lavorando a un altro progetto, Flashmob, che poi non è andato in porto. Così ho travasato alcuni elementi di quel film in Happy End". Un film ambientato in Francia ma che poteva essere ambientato in qualsiasi altro posto, perché non parla di una specifica società francese ma di tutti. "Non potevo non parlare della società del nostro tempo, del nostro modo di vivere autistico, dell'accecamento", ha detto Haneke, "E' qualcosa che io personalmente sperimento tutti i giorni. Non credo che questo film sia diverso dagli altri miei lavori, parlo sempre del comportamento umano e della comunicazione".
Elogi per Haneke arrivano dalla sua protagonista, Isabelle Huppert, che proprio grazie a un film del regista, La Pianista, vinse il premio per la migliore interpretazione femminile a Cannes 2012. "Il suo cinema è molto vario", ha dichiarato l'attrice, "ci sono film intimi, film più politici come questo, altri di taglio storico come Il nastro bianco. Nel suo modo di lavorare c'è una grande precisione a partire dalla sceneggiatura e questo, al contrario di quello che si pensa, rende più liberi gli attori".

Il film non ha convinto del tutto la critica, è stato accolto in modo freddo dalla stampa. In Italia arriverà in autunno.

domenica 21 maggio 2017

Festival di Cannes 2017 - giorno 5

Domenica interessante al festival, tra Concorso e la sezione Un Certain Regard, che oggi parla italiano.

Presentato in Concorso il secondo film targato Netflix, si tratta di The Meyerowitz Stories, nuovo film di Noah Baumbach con un cast stellare: Dustin Hoffman, Adam Sandler, Ben Stiller e Emma Thompson.

Al centro del film c'è il personaggio di Dustin Hoffman, professore d'arte e scultore in pensione. Intorno a lui si muovo i suoi tre figli - Ben Stiller, Adam Sandler e Elizabeth Marvel - avute con donne diverse, la nipotina che sogna di fare la regista, e l'attuale compagna (Emma Thompson), hippy e dedita all'alcol. Rapporti complicati, gelosie, difficoltà di relazioni, quando il patriarca della famiglia finirà in ospedale, tutti i figli dovranno affrontare una volta per tutte il rapporto con il padre.

Felicità dal parte della stampa che finalmente ha assistito a una conferenza molto divertente. Tra battute, ironia e la faccia impassibile di Dustin Hoffman a rendere il tutto ancora più surreale. come quando ha colto in contropiede una giornalista che ha definito il film "interessante", l'attore ha risposto: "Non è la parola giusta. Così si capisce che non le è piaciuto, dica la verità".

Parlando del film, il regista ha analizzato i temi, ricorrenti nelle sue pellicole, e i personaggi di questo film. "La dinamica tra genitori e figli è interessante e molti dei miei film affrontano, il divario tra quello che vorremmo essere e quello che siamo", ha spiegato Baumbach, "Se poi si parla di successo professionale, fama e affermazione artistica c'è parecchio da dire. Il film, attraverso i personaggi, si chiede che cosa significa il successo. Il personaggio di Sandler sente di aver fallito nella vita anche se è un ottimo padre, perché questo tipo di riuscita nella sua famiglia non conta. Quello di Ben Stiller invece, anche se è bravo nel suo lavoro, si sente un fallito perché non è un artista come il padre, che a sua volta però è convinto che la sua arte non ha avuto abbastanza fama. Sono tutte dinamiche familiari che conosco ma certo ci vogliono diciott'anni di analisi per comprenderle!".

Inevitabili gli elogi da parte degli attori verso Dustin Hoffman, in particolare Ben Stiller ha dichiarato: "Non ho mai preso alla leggera essere alla presenza di Dustin sul set. Lui è stato un modello e un’ispirazione, ed è anche una persona divertente e generosa, ma non puoi evitare di sentirti frustrato dal suo curriculum. Quando siamo a cena lui potrebbe tirare fuori in ogni momento aneddoti incredibili! Lavorare con lui è un enorme privilegio, è stato un modello e un riferimento per me fin da quando ero piccolo". Complimenti a cui Hoffman ha risposto in maniera tutt'altro che seria. "Mi sento male ogni volta che qualcuno dice che è cresciuto con i miei film", ha detto l'attore, "vi prego alzi la mano chi è più vecchio di me in questa sala. Io avrei voluto interpretare uno dei due figli, quando ho letto la sceneggiatura mi sono detto: non voglio fare un altro vecchio".

Una sceneggiatura che ha colpito subito gli attori. "La scrittura di Noah è precisa, unica, il suo stile è personale", ha dichiarato Ben Stiller, alla sua quarta collaborazione col regista, "dalle riprese, al montaggio, al risultato finale. E mi sento orgogliosi di far parte di questo lavoro". "Già... tanto che abbiamo lavorato tutti gratis", è intervenuto Dustin Hoffman sempre in modo poco serio, "Noah è molto esperto, dovevamo recitare i suoi dialoghi parola per parola, ci piacesse o meno: era dai tempi de Il Laureato che mi capitava qualcosa del genere, ma è stato giusto, perché c’è una musicalità unica nella sua scrittura. Non so se vorrò ancora lavorare con lui, ma non si può di certo negare suo talento".
Anche Emma Thompson si è trovata molto bene sul set, incuriosita dai colleghi e dal ruolo. "In questo cast siamo tutti anche comici e questo fa la differenza, puoi dire qualcosa di molto serio anche con la commedia", ha detto l'attrice, affascinata dal suo personaggio, "Ha qualcosa di esotico e di affascinante, forse perché sono inglese. Non avevo idea di quel che ne sarebbe venuto fuori. Ho dovuto interpretare un’americana... cosa non facile. E un’alcolizzata, cosa molto più facile! e la cosa mi ha rilassato, perché un’americana alcolizzata sarebbe stata meno impegnativa".

E' stata ovviamente affrontata la polemica Netflix. ad aprire e chiudere velocemente la questione ci ha pensato Dustin Hoffman: "A casa ho una tv con uno schermo molto grande". Battuta a cui il Baumbach ha risposto: "Abbiamo risolto, andiamo tutti a vedere il film nel salotto di Dustin".
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Un Certain Regard nel segno dell'Italia oggi con la presentazione del nuovo film di Sergio Castellitto, Fortunata, con Jasmine Trinca, Stefano Accorsi, Alessandro Borghi e Edoardo Pesce.

Il film racconta la storia di Fortunata (J.Trinca), una donna dalla vita complicata e indaffarata. Madre di una bambina di otto anni, con un matrimonio fallito sulle spalle, abita a Tor Pignattara e fa la parrucchiera a domicilio in giro per la città, entrando nelle case di famiglie benestanti. Il suo sogno è aprire un negozio tutto suo e sa che per farlo deve lavorare ed essere dura, ferma. Pronta a tutto, Fortunata non aveva messo in conto l'arrivo di un uomo che la vedrà per quello che è.

Annunciando la presenza del film a Cannes, gli organizzatori del festival l'avevano paragonato (con le dovute precauzioni del caso) a Mamma Roma di Pasolini. In comune i due film hanno solamente la provincia romana e una protagonista donna forte e decisa. In generale il film, scritto da Margaret Mazzantini (scrittrice e moglie di Castellitto) è molto lontano dal capolavoro di Pasolini, niente realismo, Castellitto ha messo in piedi un opera colorata, rumorosa, un po' coatta, eccessiva, e anche un po' "pop".

"È un film popolare, così intendevo partorire Fortunata", ha dichiarato il regista, "Fortunata è un aggettivo qualificativo femminile singolare. Ma è anche il nome di una donna. E soprattutto un destino. E non è detto che quel destino uno se lo meriti. La drammaturgia di questa storia è suggerita direttamente dai personaggi. È Fortunata stessa, la sua natura primordiale e sconnessa ad indicare la composizione della storia. I fatti, i colpi di scena, sono frutto naturale e inevitabile del comportamento di lei. Perché la vita materiale di questa donna ne nasconde un’altra, fatta di psiche, sogni rimossi, un disegno misterioso che si comporrà".
Molto brava Jasmine Trinca, con un look molto diverso dal solito. "In Fortunata sono una madre di cui avevo un esempio diretto, anch'io vengo da una quartiere popolare, l’attaccamento alle radici è saldo", ha raccontato l'attrice, "Fortunata è un po' una disgraziata, combatte contro la fatica di vivere. Sergio mi ha lasciato la libertà di cercare Fortunata dentro di me. Un personaggio senza pudori, senza protezioni, consapevole di essere sbagliata, portatrice di una grande sofferenza che magari neanche conosce a fondo. La bellezza è la sua voglia di riscattarsi come donna, al di là della sua ovvia ignoranza".

Il film è uscito nelle sale il 20 maggio.

sabato 20 maggio 2017

Festival di Cannes 2017 - giorno 4

In Concorso arriva la satira del regista svedese Ruben Östlund con il suo The Square.

Al centro del film c'è Christian, curatore di un museo d'arte moderna e contemporanea di Stoccolma, ricco e snob, a cui una mattina, mentre si reca a lavoro, rubano il portafoglio e cellulare. Grazie al satellite riesce a rintracciare il cellulare e decide così di recarsi nel quartiere periferico e nel palazzo, un grosso edificio di una quindicina di piani e tanti appartamenti tutti uguali, dove abita il ladro. Per Christian in quel palazzo sono tutti colpevoli e così scrive una lettera a ogni condomine per chiedere indietro le sue cose.

Il titolo, The Square, non si riferisce a una piazza ma a un quadrato, cioè a un opera d'arte quadrata che Christian acquista con i soldi di una donazione. L'opera in realtà è un semplice quadrato a terra in cui c'è una targa con la scritta "Il Quadrato è un santuario di fiducia e altruismo. Al suo interno tutti dividiamo gli stessi diritti e doveri". Un'opera che grida all'uguaglianza e che fa da contrasto al comportamento dello snob Christian verso la gente.

Satirico, umoristico e surreale, il regista Ruben Östlund prende di mira il mondo dell'arte (moderna e contemporanea) e soprattutto quella classe sociale privilegiata e un po' snob che vive distaccata dal mondo "normale", ma il protagonista del film non è un cattivo, bensì una rappresentazione umana in cui lo spettatore può ritrovarsi.

"Nel 2008 in Svezia è nato il primo quartiere a porte chiuse, a cui possono accedere solo i residenti", ha raccontato Östlund, "Si tratta di un esempio estremo che ci mostra come le classi privilegiate si isolino sempre più da ciò che le circonda. E' anche uno dei molti segnali dell'individualismo crescente nelle nostre società, con il crescere del divario tra ricchi e poveri. Anche in Svezia, considerato uno dei paesi più egualitari del mondo, la disoccupazione crescente e la paura di perdere il proprio status portano le persone a diffidare degli altri e a non aiutarsi".

Nel cast figurano anche Elisabeth Moss e Dominic West. Il film ha avuto una buona accoglienza.
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Presentato nella sezione Un Certain Regard il film Wind River, di Taylor Sheridan, con due "Avengers", Jeremy Renner e Elizabeth Olsen.

Una storia ambientata nella frontiera, con il cacciatore Cory Lambert che scopre il cadavere di una ragazza in una riserva indiana. A indagare sull'accaduto viene mandata l'inesperta agente dell'F.B.I. Jane Banner. I due si inoltreranno in un mondo crudo e violento in cui metteranno a rischio le proprie vite.
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Presentato anche il cortometraggio Come Swim, debutto alla regia di Kristen Stewart. Corto che, con uno stile particolare, quasi "impressionista", racconta la vita di un uomo.

venerdì 19 maggio 2017

Festival di Cannes 2017 - giorno 3

Presentato oggi Okja, diretto da Bong Joon-ho, primo film Netflix in Concorso al Festival di Cannes, e ovviamente si riaccende la polemica.

Okja racconta la storia dell'amicizia tra una bambina e una scrofa gigante che appartiene a una nuova specie di maiali. Sfortunatamente questa nuova specie viene scoperta da una multinazionale che decide di trarre profitto da questo grosso animale facendone tanta carne da vendere.
Quando Okja (è il nome dell'animale) viene preso e portato via, la ragazzina decide di andare a liberarlo e per farlo unisce le forze con un gruppo di terroristi ecologici non violenti.
Protagonista del film è la giovane coreana Ahn Seo Hyun, intorno a lei un cast hollywoodiano: Tilda Swinton, Jake Gyllenhaal, Paul Dano, Lily Collins. Tutti molto applauditi al loro ingresso in sala stampa.

Il film parla dello sfruttamento degli animali e della natura da parte dell'uomo ma anche delle contraddizioni dei gruppi animalisti, e proprio per questi il regista si è ispirato a un movimento esistente, l'ALF, il Fronte di Liberazione Animale, esplicitamente citato nel film. "Ho scelto di parlare di un'organizzazione che esiste", ha spiegato il regista Bong Joon-ho, "Non sono d'accordo al 100% con loro ma apprezzo la loro buona volontà e la loro voglia fare vivere in armonia animali e uomini. Ho parlato con il loro leader e la mia intenzione non era mostrare gli attivisti come essere perfetti, ognuno ha i suoi difetti e il film non nasconde i loro".

Il tema ambientalista è al centro del film, come ha sottolineato anche Tilda Swinton, alla sua seconda collaborazione con il regista coreano dopo Snowpiercer:"Sono cresciuta e ancora vivo circondata da animali, alcuni dei quali sono uomini! Dagli animali possiamo imparare molto, ci danno continuamente lezioni di lealtà, presenza, semplicità. Il capitalismo ci ha resi tutti consumatori ma questo film ci ricorda che siamo anche altro, siamo esseri viventi in un ambiente naturale e con questo ambiente e con i suoi esseri noi dobbiamo avere una relazione". Stessa linea di pensiero per Jake Gyllenhaal. "Okja affronta lo scontro tra il capitalismo e l'amore per la natura e l'ambiente", ha detto l'attore, "Ho scelto di partecipare per il suo contenuto politico e la nostra posizione è molto chiara. E' un tema che ha un particolare significato in questo momento storico, soprattutto nel mio paese dove stiamo tornando indietro di alcuni decenni sulle tematiche ambientali. Il film è un viaggio devastante attraverso il mondo degli allevamenti intensivi ma è anche una metafora del mondo che stiamo vivendo. Questo mix tra realismo e significato metaforico funziona perché il regista è stato bravo a trovare un equilibrio, io vedendolo mi sono molto emozionato".

Il film sarà disponibile su Netflix dal 28 giugno.

Difficile capire se il film sia piaciuto o no dalla reazione della stampa a fine proiezione. Il film è stato abbastanza applaudito ma ha ricevuto anche dei fischi (per il film o verso Netflix?). La proiezione è stata piuttosto travagliata, il film è iniziato in un formato sbagliato e dopo 10 minuti, tra le proteste dei presenti, è stato fermato e fatto ripartire nel formato giusto. Un errore che ha fatto gridare al complotto e al boicottaggio contro Netflix, ma alla fine si è trattato solo di un problema tecnico. Le recensione invece sono discordanti, divise tra chi l'ha amato e chi l'ha odiato.

E qui la polemica. Il tema Netflix sta dividendo il festival. Questo è il primo anno in cui un film prodotto da Netflix viene presentato in Concorso, ma sarà anche l'ultimo visto che dal prossimo anno saranno scelti solo film che avranno una distribuzione in sala.
Durante la proiezione stampa di Okja sono partiti alcuni fischi quando è comparso il logo di Netflix prima del film. Sulla questione si sono espressi anche il regista e gli attori di Okja, ovviamente tutti a favore.

"Considerando l'intero ciclo di un film, dalla sala al dvd/blu-ray, non penso che realizzare un progetto sostenuto da Netflix per me come filmmaker rappresenti una grande differenza", ha dichiarato Bong Joon-ho, "Ho adorato lavorare con Netflix, mi hanno sostenuto in tutto nonostante stessimo parlando di un budget molto importante, ho avuto totale libertà in ogni fase della lavorazione e per questo devo essere loro grato".
Pro Netflix anche Tilda Swinton (che del film è anche produttrice), che ha parlato anche delle dichiarazioni del presidente di giuria Pedro Almodovar ("Assurdo dare la Palma d'Oro a un film che non esce in sala"). "Il Presidente di giuria ha tutto il diritto di fare le sue dichiarazioni", ha detto l'attrice, "Noi non siamo venuti al festival per i premi ma per mostrare il nostro film avendo la meravigliosa opportunità e il privilegio di poterlo proiettare sul grande schermo. Io sono convinta che ci sia spazio per tutte le piattaforme".

La polemica resta aperta e molto probabilmente se ne riparlerà nei prossimi giorni, soprattutto quando in Concorso arriverà il secondo film prodotto da Netflix.

giovedì 18 maggio 2017

Festival di Cannes 2017 - giorno 2

Archiviata l'apertura, si apre il Concorso con l'atteso nuovo film di Todd Haynes.

Tratto da un romanzo di Brian Selznick, Wonderstruck racconta le vicende parallele di due bambini di epoche lontane accomunati da un handicap, la sordità, e dal desiderio di una vita diversa. Da una parte Ben, nel 1977, che cerca il padre che non ha mai conosciuto, dall'altra Rose, nel 1927, che sogna una misteriosa attrice di cui raccoglie ritagli e foto in un album. Quando Ben scopre in casa un particolare sconcertante e Rose legge un titolo di giornale molto interessante, i due ragazzini partono alla ricerca di quello che hanno perso.

Nel cast troviamo due bravissime attrici come Julianne Moore e Michelle Williams, mentre i due ragazzini sono interpretati da Oakes Fegley (Il Drago Invisibile) e Millicent Simmonds, attrice esordiente, giovanissima, e sorda dalla nascita.

Una storia con una costruzione narrativa molto complessa quella di Wonderstruck, portarla sul grande schermo per Brian Selznick, autore anche di Hugo Cabret portato al cinema da Scorsese, non è stato facile. "Nel libro le due storie sono raccontate con tecniche totalmente distinte, che solo alla fine si sposano: una attraverso immagini, l’altra parole", ha raccontato Selznick, "Nell'adattare la sceneggiatura, la mia prima, che ho scritto di notte senza dirlo a nessuno, ho usato questo stratagemma: da una parte un bianco e nero senza dialoghi, dall'altro il colore e il sonoro. Il film è dunque due film: uno praticamente muto e in bianco e nero, e l’altro a colori con i suoni".
"La sceneggiatura era incredibile", ha dichiarato il regista Todd Haynes, "C'era di base un'idea cinematografica molto intensa nel mescolare i due stili di racconto, giocando con il linguaggio, la musica, il sound engineering per girare attorno al tema della sordità. Due stili e due storyline. Non avevo mai fatto un film così basato sull'immaginazione dei ragazzi, un vero giallo con indizi sparsi qua e là che chiariscono il perché queste due storie sono raccontate nello stesso film".

Il tema del sonoro e della sordità è al centro della storia, visto che i due personaggi principali del film sono due ragazzini sordi. "In Wonderstruck volevo raccontare di chi costruisce cose con le mani, così come la lingua dei segni è protagonista. È un tributo al tattile, alle dita che rimangono appiccicose per il residuo di colla", ha detto il regista.

Haynes nel film torna a collaborare con Julianne Moore per la quarta volta. "È un'anima gemella creativa", ha detto il regista di quella che si può definire come "la sua musa". "Ogni volta porta significato in quello che fa, è un dono e un privilegio della mia vita continuare a lavorare con lei", ha continuato il regista. Complimenti subito ricambiati dall'attrice. "E’ sempre un'esperienza incredibile, grazie all'abilità di Todd praticamente nel film non ho dovuto fare niente, mi si è costruito attorno", ha detto Julianne Moore, "Ho imparato molte cose sul linguaggio e quindi anche sull'essere un attore. Per me è stato come conoscere una cultura, ho cercato di rimanere sulla soglia fra le due dimensioni, quella di udente e quella di non udente. È stato incredibile, ha cambiato completamente la mia maniera di guardare la cosa. Ho due ruoli nel film. Essere madre mi ha insegnato a riflettere sul modello che devo essere per i miei figli".
Anche Michelle Williams nel film è una madre, un ruolo che, essendo madre anche nella vita, le viene con grande naturalezza. "È difficile separarmi dall'essere madre, è al centro di ogni scelta che faccio nella vita, oltre che come attrice", ha detto l'attrice, "Ma non dico niente di speciale, credo valga per tutti quelli che diventano genitori". E da "cuore di mamma", l'attrice si è commossa spesso durante la conferenza stampa, e non è stata l'unica!

Il film è stato accolto in modo caloroso dalla stampa, tanto che qualcuno già parla di possibile candidato all'Oscar 2018.
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Presentato in Concorso anche il film Loveless (titolo originale Nelyubov) di Andrey Zvyagintsev, regista che nel 2014 a Cannes ha vinto il premio per la migliore sceneggiatura con il film Leviathan.

Get Out - la recensione

Si può fare una versione horror di Indovina chi viene a cena?

A questa domanda risponde l'attore comico Jordan Peele, al suo debutto dietro la macchina da presa e anche in veste di sceneggiatore, per Scappa - Get Out, film che arriva in Italia dopo aver riscosso un enorme successo di pubblico e critica negli Stati Uniti.

Il protagonista è Chris, un ragazzo nero che è fidanzato con Rose, una ragazza bianca benestante. Quando arriva il momento di conoscere i genitori di Rose, Chris si rende conto presto che dietro alla facciata perbenista e liberal della famiglia, c'è qualcosa di profondamente sbagliato e inquietante, legato al suo essere nero.
Get Out è un horror atipico: non fa particolarmente paura, ma ha il grande pregio di instillare nello spettatore un'inquietudine strisciante e angosciosa fin dalla prima immagine, in cui un ragazzo nero cammina ansiosamente per le stradine di un tipico quartiere residenziale americano, fino a diventare quasi schiacciante per tutta la parte centrale, in cui Chris si aggira in un mondo di radical chic assurdamente perfetti e quei pochi neri con cui viene in contatto appaiono più simili a zombie che a persone.

Dove il film funziona di più è soprattutto il ribaltamento dei ruoli canonici della realtà, con una critica sociale efficace e pungente: dove siamo abituati a vedere il ragazzo nero come pericoloso e i bianchi vittime, soprattutto negli Stati Uniti dove la questione razziale è un problema più che mai attuale, qui è il ragazzo nero a dover fuggire, lui a essere la vittima di una società di bianchi mostruosi.
Get Out riesce a raccontare l'America, come è e come sta diventando, attraverso gli occhi sbarrati del suo protagonista, attraverso una serie di cliché tipici degli horror applicati a una situazione che è particolarmente inquietante proprio perché estremamente pulita, perfetta, quella di una famiglia benestante e liberale.
La paura quindi è generata non dal sangue, o da situazioni particolarmente spaventose, ma dal disagio che si prova riconoscendo la nostra realtà.
Racconta cosa succede quando si svilisce il diverso,quando una cultura è semplice oggetto morboso di curiosità superficiale, quando l'altro non è più persona ma oggetto. 
Ed è anche più spaventoso di quanto ci si possa aspettare.


mercoledì 17 maggio 2017

Festival di Cannes 2017 - giorno 1

Apre i battenti la 70a edizione del Festival di Cannes, come sempre con la presentazione della giuria e con il film d'apertura, che quest'anno è il francese Les Fantomes d’Ismael.

Diretto da Arnaud Desplechin, il film d'apertura del festival vede protagonisti un trio davvero d'eccezione: Charlotte Gainsbourg, Mathieu Amalric, e Marion Cotillard. Il film racconta un triangolo amoroso tra lui, lei, e il fantasma dell'ex.

Il protagonista, Ismael (Amalric), è un regista al lavoro sul suo prossimo film ispirato alla vita del fratello Ivan, impegnato nella scrittura  ha deciso di ritirarsi nella sua casa al mare con la compagna (Gainsbourg). All'improvviso Ismael vede la propria vita andare totalmente fuori controllo quando si presenta a casa la sua ex moglie Carlotta (Cotillard), scomparsa da più di venti anni e creduta morta.

Freddina l'accoglienza riservata al film dalla sala stampa, anche se le prime recensioni sono in generale abbastanza positive.
Un inizio forse poco glamour, molto francese e più autoriale, ma che sicuramente ha fatto felice il regista, molto più rilassato a portare il proprio film Fuori Concorso. "Quando ho saputo che il nostro film avrebbe aperto Cannes ho provato una grande emozione", ha detto Desplechin durante la conferenza stampa, "inaugurare il festival è un onore e non essere in Concorso mi mette in una posizione più protetta. Mi sento meno sotto pressione che se fossi stato in Concorso dove la stampa, soprattutto francese, qualche volta ci dà giù duro".

Amore e mistero ne Les Fantomes d’Ismael, e gli eventi che all'improvviso ti sconvolgono la vita. "Tutto il film si può riassumente in una battuta detta da Charlotte quando dice "la vita mi è capitata". La vita è questo", ha dichiarato il regista, "succede, si presenta inaspettata ai suoi protagonisti. L’amore arriva all'improvviso e poi ricapita ancora e ancora".
Al centro del film anche lo scontro tra due donne, la compagna e la misteriosa ex, interpretate da due attrici molto diverse ma entrambe bravissime come Charlotte Gainsbourg e Marion Cotillard, che non si sono risparmiate nei complimenti l'una verso l'altra. "Ci siamo incontrate per la prima volta la sera prima delle riprese, in un ristorante", ha raccontato Charlotte Gainsbourg, "in qualche modo il rapporto tra le due donne del film ci ha contagiato, era tale il desiderio di lavorare insieme che poi sul set è stato tutto naturale". "Charlotte è una delle persone che mi hanno fatto venire voglia di fare questo mestiere", ha ribattuto Marion Cotillard, "credo che tutte le attrici della mia generazione siano state influenzate da lei". Poi sul suo personaggio la Cotillard ha dichiarato: "Carlotta incarna il mistero ma lei non si vede misteriosa. In realtà lei risponde direttamente ad ogni domanda che le si pone, spiega quello che le è successo anche interiormente in tutto questo tempo. Parlando di sé potrebbe in qualche modo distruggere il mistero, ma questo non avviene".
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Conferenza stampa di presentazione anche per la giuria, che quest'anno vede un grande presidente come Pedro Almodovar. La giuria è formata da quattro donne e quattro uomini: Jessica Chastain, Gabriel Yared, Park Chan Wook, Maren Ade, Fang Bingbing, Agnès Jaoui, Paolo Sorrentino, e Will Smith.

Una giuria varia che durante la conferenza stampa ha mostrato già le sue diverse anime quando è stato affrontato il tema Netflix, che quest'anno ha due film in Concorso: The Meyerowitz Stories di Noah Baumbach e Okja di Bong Joon-Ho. Il festival infatti ha deciso che dalla prossima edizione non saranno scelti film che non verranno poi distribuiti nelle sale francesi, questo significa che dal prossimo anno Netflix non avrà più la possibilità di presentare i film a Cannes.

Si è aperto un dibattuto nella giuria che ha visto un Pedro Almodovar vs Will Smith.
"Sarebbe un paradosso una Palma d'oro ad un film non destinato alla sala", ha dichiarato il pluripremiato regista spagnolo, "Le piattaforme digitali in sé sono principio giusto e positivo ma questo non dovrebbe sostituire la sala cinematografica e non dovrebbe alterare le abitudini degli spettatori. Per me la soluzione è semplice: le nuove piattaforme devono accettare le regole del gioco, è l’unica strada per sopravvivere. Credo fermamente che almeno la prima volta che qualcuno vede un film sia necessario che lo schermo sul quale lo vede non sia più piccolo della propria sedia. Sono convinto che noi spettatori dobbiamo essere più piccoli per entrare nell'immagine e nella storia".
Di tutt'altra veduta Will Smith: "Io ho tre figli di 24, 18 e 16 anni. Vanno al cinema due volte la settimana e scaricano i film da Netflix. Non so cosa accade nelle altre case ma nella mia l'arrivo di Netflix non ha avuto nessun effetto. Sono due tipi di fruizione diverse, quando vogliono sentirsi umili di fronte a certe immagini vanno al cinema, altre volte le vedono sul piccolo schermo. Netiflix, a casa mia non ha fatto altro che ingrandire l'offerta, ha permesso loro di vedere film che altrimenti non avrebbero mai visto, e metterli in contatto con questo mondo underground di storie a 8000 chilometri da loro".
Gli altri giurati non si sono particolarmente sbilanciati sulla questione che comunque resta aperta, come ha dichiarato l'attrice/regista francese Agnes Jaoui: "Il mondo va avanti e non si può fare nulla contro la tecnologia. Certo abbiamo dei diritti ma anche dei doveri, dobbiamo rivedere la cronologia con cui i film vanno in sala e poi in televisione. Va trovata una soluzione".

A parte questo piccolo momento "polemico" (ma meno di quanto possa sembrare), grande felicità da parte di tutti i giurati, con un Will Smith come sempre molto allegro e sorridente, felicissimo di essere un giurato a Cannes: "Sono cresciuto a West Philadelphia, porterò il mio occhio da afroamericano, guardando 2-3 film al giorno. Una parte del motivo per cui siamo qui consiste nel portare la nostra prospettiva personale. Si tratta anche del motivo per cui si mettono insieme tante persone così diverse, per creare delle collisioni artistiche".
Felice anche Jessica Chastain, che è stata spesso al festival da attrice o ospite, e quest'anno è per la prima volta giurata, pronta ad immergersi tra i film. "Amo il fashion, ma i film li adoro anche di più. E qui mi soffermerò molto di più sul secondo aspetto", ha detto l'attrice.
Mente aperta per il regista coreano Park Chan-Wook, che ha dichiarato di essere al festival "senza idee preconcette, non penso a chi è il regista o a quali film ha fatto prima. Mi piacerebbe molto provare l’esperienza di un’illuminazione che ti colpisce". Paolo Sorrentino invece è alla ricerca di qualcosa di nuovo, o almeno così spera: "di trovare il cinema del futuro, perché in quel caso si tratterebbe di una scoperta incredibile e incommensurabile".

I 5 film a tema LGBT da recuperare


A SINGLE MAN

George Falconer, un professore inglese che insegna in California, rimane solo dopo che il suo compagno muore in un incidente stradale. Distrutto dal dolore decide che quella sarà la sua ultima giornata perché alla sera si toglierà la vita.
Con una regia elegante e impeccabile, lo stilista e per la prima volta regista Tom Ford, delinea un profondo, sofferente e bellissimo spaccato sull'elaborazione del lutto e sulla solitudino, con un Colin Firthin stato di grazie e una splendida Julianne Moore.





I RAGAZZI STANNO BENE

Jules e Nic sono una coppia lesbica, madri di due ragazzi concepiti tramite inseminazione artificiale. Quando la figlia maggiore, Joni, compie diciotto anni, il fratello minore Laser, di quindici, la convince a contattare la banca del seme al fine di scoprire chi sia il loro padre biologico. I ragazzi scoprono che si tratta di Paul, un quarantenne ristoratore donnaiolo che vive alla periferia di Los Angeles. Quando Nic e Jules scoprono l'accaduto sono costrette loro malgrado ad introdurre Paul nel loro menage familiare.
Commedia frizzante e divertente su una famiglia un po' insolita ma con problemi reali. Un grandissimo cast per un film che scorre via tutto d'un fiato.






PRIDE

La vera storia di un gruppo di ragazzi gay e lesbiche gallesi che organizzarono una massiccia raccolta di fondi per supportare i minatori in sciopero contro Margaret Tatcher.
Premiato a Cannes con la Queer Palm, il film riesce a essere allo stesso tempo leggero e profondo, divertente e commovente, senza mai scadere in inutile retorica o luoghi comuni, grazie soprattutto a un cast che può vantare il meglio della recitazione inglese.
Un piccolo gioiello impossibile da non amare.





COLPO DI FULMINE - IL MAGO DELLA TRUFFA

Terribile titolo italiano per I love you Philip Morris, è una commedia dolce amara con protagonisti Jim Carrey nei panni del truffatoreSteven Russel ed Ewan McGregor in quelli del suo compagno di cella Philip Morris. I due si innamorano in carcere e la loro storia sembra perfetta almeno finché Steven non viene trasferito.
Il film è per lo più una tipica commedia americana divertente, ma riesce in alcuni momenti a essere incredibilmente romantica e malinconica, facendo emergere una componente amara e drammatica che non ci si aspettava.
Purtroppo in italia una pubblicità ingannevole e una pessima traduzione ha fatto passare quasi totalmente sotto silenzio questa pellicola, ma vale la pena recuperarla se non altro per i due protagonisti.





MOONLIGHT

La storia di Chiron nella periferia di Miami, fra droga, razzismo e sessismo, sulla difficoltà di essere diverso anche in una comunità emarginata come quella nera americana.
Fresco di premio Oscar come miglior film, è una storia intima e cruda, un racconto di formazione in tre atti con momenti di altissima poesia e dolcezza inaspettata.
Punti forti del film sono la splendida fotografia e un cast talentuosissimo, su tutti Mahershala Ali (vincitore dell'Oscar come Miglior Attore non Protagonista) e Trevante Rhodes, interprete dello Chiron adulto.

lunedì 15 maggio 2017

Sense8: elogio della diversità

Otto persone.
Otto individui diversissimi fra loro per genere, etnia, orientamento sessuale, esperienze di vita.
Otto persone sparse per il mondo, da San Francisco a Seul, da Nairobi all'Islanda al Messico e ancora Mombay e Chicago, passando da Berlino.
Eppure questi otto uomini e donne, così apparentemente lontani, così profondamente diversi, sono uniti dalle emozioni, dalle sensazioni che condividono l'uno con l'altro, in un'intreccio tanto affascinante ed emotivamente appagante per lo spettatore più tenace quanto inizialmente difficile da comprendere appieno.

Era il 2015 quando, sulla piattaforma Netflix non ancora sbarcata in Italia, approdava l'ultima fatica degli allora Fratelli Wachowski (insieme a  J. Michael Straczynski), una summa del loro lavoro che va a unire la fantascienza visivamente rivoluzionaria e in un certo senso cervellotica di Matrix, il gusto puramente anarchico e idealista visto in V per Vendetta e soprattutto l'idea di concatenazione di vite vista in Cloud Atlas.
Proprio con quest'ultimo film la serie mostra più analogie, ma va ancora oltre, non giocando più sul continuo ritorno dell'anima, o sui piani temporali, ma sulla pura e semplice emozione.
L'intera prima stagione gettava le basi della storia complessiva, lasciando da parte la trama principale e le spiegazioni, concentrandosi quasi esclusivamente sui personaggi, portandoci a conoscerli pian piano, scoprendoli pian piano, da archetipi di un certo tipo di essere umano (il poliziotto di buon cuore, l'attore di b movies d'azione che nasconde la propria omosessualità, la donna coreana in una società maschilista) a figure a tutto tondo, sfaccettate, rappresentanti dei più diversi tipi di umanità, quasi simbolo dell'umanità stessa nelle loro differenze.
E infatti questa seconda stagione, oltre ad approfondire e a spingere sull'acceleratore della trama, punta tutto su una dichiarazioni dì intenti ben precisa che le ora sorelle Wachowski non si limitano a suggerire, ma proclamano a gran voce tramite i personaggi stessi: c'è un intero mondo di diversità nel genere umano, ed è questa diversità che ne determina la bellezza.
“Ora ci sono otto te stessi” dice Jonas, inizialmente guida spirituale, mentore e guida per lo spettatore oltre che per i sensate, ed è proprio questa frase iniziale che paradossalmente riassume l'intera serie e ne incarna la bellezza. Non ci può essere un'unità senza la moltitudine, sembrano dirci le Wachowski, non c'è un vero futuro per l'Homo Sapiens se non si condividono emozioni e pensieri, se non si va oltre l'accettare e basta le differenze, se non le si abbraccia come vera ricchezza, se non si passa da Homo Sapiens a Homo Sensorium.
Bisogna approcciarsi così a Sense8, senza focalizzarsi troppo sulla trama fantascientifica, ancora troppo nebulosa, ma farsi trasportare dalla musica, dalle immagini (non si è mai vista, in televisione, una tale varietà di luoghi, tutti magnificamente fotografati) dai personaggi, tutti con un cuore impossibile da non amare, nessuno più importante degli altri, tutti ugualmente fondamentali.
Bisogna farsi trasportare dalle emozioni, in questa serie che punta al cuore e non alla mente, alla naturale propensione dell'essere umano a non rimanere mai solo, ma a cercare sempre la compagnia di qualcun altro, l'intimità di un'altra persona. 
Dopo una seconda stagione che si è messa a nudo profondamente, svelando la sua anima più profonda, non resta che aspettare la terza, sperando che arrivi presto.