sabato 30 settembre 2017

Madre! - la recensione

Uno scrittore e la sua giovane moglie vivono in una grande casa di campagna, per permettere a lui di ritrovare l'ispirazione perduta. Mentre l'uomo è incapace di scrivere anche una sola parola, sua moglie è costantemente impegnata a rimettere a nuovo l'abitazione.
Una sera però, un uomo sconosciuto bussa alla loro porta e, letteralmente, entra in casa loro, seguito poi dalla moglie e dai figli, finché la situazione non diventa totalmente fuori controllo.

Il nuovo film di Darren Aronofsky ha spaccato in due la critica allo scorso Festival di Venezia, dove è stato accolto da fragorosi fischi ma anche da qualche applauso, ed effettivamente è molto facile avere opinioni polarizzanti su quella che si dimostra essere un'opera controversa, dai molteplici piani di lettura, fortemente allegorica e onirica.
Già dalla prima scena ci si ritrova coinvolti in una sorta di incubo, l'atmosfera è angosciante, inquietante, la casa stessa diventa viva, simbolo di terrore, della femminilità vessata della protagonista. Man mano che il film avanza, le allegorie diventano sempre più numerose e articolate, dal seminterrato sede dell'inconscio, al sangue come simbolo di morte e rinascita, fino a rimandi biblici più o meno espliciti. L'atmosfera diventa sempre più cupa e lo spettatore si sente sempre più a disagio, fino al finale in cui il ciclo ricomincia e letteralmente una nuova relazione nasce dalle ceneri della precedente.

Sicuramente dal lato tecnico siamo di fronte a un signor film: la regia è molto particolare, con primi piani insistenti, riprese che seguono i personaggi come un'ombra, contrasti fra luci e ombre e la fotografia gioca benissimo con i canoni dell'horror, con il contrasto fra i colori chiarissimi della casa e della protagonista, il nero degli ospiti e il rosso scuro, macabro, del sangue.
Il cast non è da meno, i vari Ed Harris, Michelle Pfeiffer, Domhnall Gleeson, Javier Bardem, pur se alcuni con un ruolo molto piccolo, fanno il loro perfettamente, ma su tutti spicca una bravissima Jennifer Lawrence, intensa e in parte come non la si vedeva da un po', incarnazione perfetta della femminilità e della maternità più viscerale.

Sicuramente è un film dalla fortissima impronta autoriale e non è facile elaborare un giudizio che non sia fortemente influenzato da opinioni esclusivamente soggettive, perché vive di atmosfera e di simbolismo più di quanto non lo abbia fatto qualsiasi altra pellicola di Aronofsky e sicuramente anche i fan più accaniti del regista si ritroveranno spiazzati.
È facilissimo odiarlo visceralmente, ma allo stesso tempo è altrettanto facile amarlo totalmente e non è così facile decidere se si è assistito a un capolavoro o al film più assurdo e pretenzioso di sempre. Sicuramente è un film che va visto, anche solo per farsi una propria opinione in merito, perché comunque è innegabile che qualcosa del genere non si vede spesso.

lunedì 25 settembre 2017

Valerian e la Città dei Mille Pianeti - la recensione

Valérian et Laureline, il cult del fumetto francese arriva al cinema grazie a Luc Besson, cineasta francese non estraneo al cinema di fantascienza.

Valerian e la Città dei Mille Pianeti è però un progetto abbastanza particolare, tanto ambizioso quanto a tratti (purtroppo) fallimentare. Nonostante l'altissimo budget usato per la sua realizzazione, non riesce ad essere ciò che doveva essere, ovvero una space opera kolossal che, anche in base alle dichiarazioni di Besson, avrebbe dovuto dare inizio ad un franchise cinematografico. 

Valerian poggia le sua basi su una trama quasi inesistente, due protagonisti inadatti (Cara Delevigne e Dane DeHaan) e una spettacolarità visiva sfarzosa che non riesce a colmare le numerosissime lacune disseminate in tutto il progetto. Valerian e la Città dei Mille Pianeti è spettacolare, questo è innegabile. L'occhio gode più di una volta grazie anche ad alcune sequenze di fuga/inseguimento davvero ben congegnate. Purtroppo però non si riesce a godere nello stesso modo della storia, frammentata, fredda troppo lineare (nonostante la presenza di "viaggi"spazio-temporali"), fatto aggravato dalla poca empatia dei due protagonisti completamente sbagliati al livello di casting.

Funzionano gli stravaganti e variopinti alieni, le sfavillanti scenografie, la fotografia, ma siamo comunque lontani dal Besson di Il Quinto Elemento o Nikita. L'aura e lo stile del regista francese fanno brevemente capolino in alcune scelte stilistiche ma nulla più. Un gran peccato.

venerdì 22 settembre 2017

L'Inganno - la recensione

Torna Sofia Coppola, a quattro anni di distanza da Bling Ring, e sembra tornare alle origini della sua filmografia, a quel Il Giardino delle Vergini Suicide che sapeva dosare meravigliosamente inquietudine e leggiadria.

Nel bel mezzo della Guerra di Secessione Americana, con i cannoni che risuonano il lontananza, siamo introdotti in un mondo sospeso, quasi ultraterreno, in cui il bianco virginale degli abiti delle donne è abbagliante in contrasto con il sangue portato dal soldato nordista interpretato da Colin Farrell.
Siamo di fronte a una sorta di fiaba distorta, e infatti la scena iniziale è proprio quella di una bambina da sola nel bosco che si imbatte in quello che potremmo definire un "lupo", e impietosita lo porta con sé, ferito e sanguinante, nel collegio in cui risiede insieme ad alcune altre ragazze e due istitutrici.
Qui la presenza maschile funge da catalizzatore affinché l'equilibrio precario si rompa: le donne, dalle bambine fino alla più anziana, sono inesorabilmente attratte da lui, non riescono a tenervisi lontane, scatenando un malsano circolo di gelosie e inganni.
Ma la genialità del film sta nel ribaltamento della fiaba classica. Il lupo diventa vittima, prigioniero inerme di un gruppo di donne solo apparentemente pure, e allora anche la fotografia si fa più scura e la regia più cupa, fino allo sfociare nel thriller più teso.

Il cast, guidato da una sempre magistrale Nicole Kidman, fa un lavoro pazzesco, da Kirsten Dunst a Elle Fanning, e anche Farrell stupisce positivamente.

Il film ha vinto il premio per la regia allo scorso festival di Cannes e non ci stupiremmo di vederlo in corsa ai prossimi Oscar, perché Sofia Coppola questa volta riesce a centrare in pieno tutti i punti, confezionando il suo miglior film dai tempi di Marie Antoinette.

lunedì 18 settembre 2017

Emmys 2017: tutti i vincitori



Si sono tenuti questa notte gli Emmy Awards, da molti considerati come gli Oscar della Televisione.
Nella cerimonia presentata da Stephen Colbert non sono certo mancate le sorprese (e le battute su Trump): a sbancare sono state due serie tutte al femminile, The Handmaid's Tale, tratto dal romanzo distopico di Margareth Atwood, e Big Little Lies. Particolarmente significativoè stato il discorso di ringraziamento di Nicole Kidman, migliore attrice protagonista in una miniserie, che,visibilmente emozionata, ha parlato di violenza domestica e abusi sulle donne.
Per quanto riguarda le comedy, a farla da padrone è Donald Glover, il primo afroamericano a vincere un premio per la regia in una commedia, che fa doppietta e si porta a casa anche il premio come miglior attore protagonista.

Ecco qui la lista dei vincitori:

Miglior serie drammatica

Better Call Saul
The Crown
The Handmaid’s Tale
Stranger Things
This Is Us
Westworld
House of Cards

Miglior attore protagonista in una serie drammatica

Sterling K. Brown, This Is Us
Anthony Hopkins, Westworld
Matthew Rhys, The Americans
Liev Schreiber, Ray Donovan
Kevin Spacey, House of Cards
Milo Ventimiglia, This Is Us

Miglior attrice protagonista in una serie drammatica

Viola Davis, How to Get Away with Murder
Claire Foy, The Crown
Elisabeth Moss, The Handmaid’s Tale
Keri Russell, The Americans
Evan Rachel Wood, Westworld
Robin Wright, House of Cards

Miglior attore non protagonista in una serie drammatica

John Lithgow, The Crown
Jonathan Banks, Better Call Saul
Mandy Patinkin, Homeland
Michael Kelly, House of Cards
David Harbour, Stranger Things
Ron Cephas Jones, This Is Us
Jeffrey Wright, Westworld

Miglior attrice non protagonista in una serie drammatica

Ann Dowde, The Handmaid’s Tale
Samira Wiley, The Handmaid’s Tale
Uzo Aduba, Orange Is the New Black
Millie Bobby Brown, Stranger Things
Chrissy Metz, This Is Us
Thandie Newton, Westworld

Miglior miniserie

Big Little Lies
Fargo
Feud: Bette and Joan
The Night Of
Genius

Miglior attore protagonista in una miniserie o film

Riz Ahmed, The Night of
Benedict Cumberbatch, Sherlock
Robert De Niro, The Wizard of Lies
Ewan McGregor, Fargo
Geoffrey Rush, Genius
John Turturro, The Night of

Miglior attrice protagonista in una miniserie o film

Carrie Coon, Fargo
Felicity Huffman, American Crime
Nicole Kidman, Big Little Lies
Jessica Lange, Feud
Susan Sarandon, Feud
Reese Witherspoon, Big Little Lies

Miglior attore non protagonista in una miniserie o film

Alexander Skarsgard, Big Little Lies
David Thewlis, Fargo
Alfred Molina, Feud
Stanley Tucci, Feud
Bill Camp, The Night Of
Michael K. Williams, The Night Of

Miglior attrice non protagonista in una miniserie o film

Regina King, American Crime
Shailene Woodley, Big Little Lies
Laura Dern, Big Little Lies
Judy Davis, Feud
Jackie Hoffman, Feud
Michelle Pfeiffer, The Wizard of Lies

Miglior serie comedy

Atlanta
Black-ish
Master of None
Modern Family
Silicon Valley
Unbreakable Kimmy Schmidt
Veep

Miglior attrice protagonista in una serie comedy

Pamela Adlon, Better Things
Jane Fonda, Grace&Frankie
Allison Janney, Mom
Ellie Kemper, Unbreakable Kimmy Schmidt
Julia Louis-Dreyfus, Veep
Tracee Ellis Ross, Black-ish
Lily Tomlin, Grace&Frankie

Miglior attore protagonista in una serie comedy

Anthony Anderson, Black-ish
Aziz Ansari, Master of None
Zach Galifianakis, Baskets
Donald Glover, Atlanta
William H. Macy, Shameless
Jeffrey Tambor, Transparent

Miglior attore non protagonista in una serie comedy

Alec Baldwin, Saturday Night Live
Louie Anderson, Baskets
Ty Burrell, Modern Family
Tituss Burgess, Unbreakable Kimmy Schmidt
Tony Hale, Veep
Matt Walsh, Veep

Miglior attrice non protagonista in una serie comedy

Kate McKinnon, Saturday Night Live
Vanessa Beyer, Saturday Night Live
Leslie Jones, Saturday Night Live
Anna Chlumsky, Veep
Judith Light, Transparent
Kathryn Hahn, Transparent

Miglior film per la tv

The Wizard of Lies
Black Mirror (San Junipero)
Dolly Parton’s Christmas of Many Colors: Circle of Love
The Immortal Life of Henrietta Lacks
Sherlock

domenica 10 settembre 2017

Baby Driver - Il Genio della Fuga - la recensione

Azione, adrenalina, amore e drama. Sono questi gli ingredienti alla base di Baby Driver - Il Genio della Fuga, nuovo film firmato dal regista britannico Edgar Wright, noto al grande pubblico per la sua ironia che non manca di trasportare anche in questo suo ultimo lungometraggio.
Ironia che tuttavia accompagna questa volta con un velo di drammaticità più accentuata rispetto ai suoi primi più spensierati lavori. Caratteristica del tutto apprezzabile che dona all'intera opera un fascino più adulto e a tratti tagliente.

Il grande merito della riuscita del lavoro, come spesso accade nei film di Wright, è da attribuire al variegato cast, da Ansel Elgort (Colpa delle Stelle) e Lily James (Cenerentola), hai più navigati Kevin Spacey, Jon Bernthal, Eiza González, Jon Hamm e Jamie Foxx.

Baby Driver intrattiene, coinvolge e commuove grazie ad una costruzione generale mai banale e sempre attiva che, come già ribadito, coinvolge lo spettatore trasportandolo nelle folli corse automobilistiche di cui Baby è in primo luogo protagonista, grazie anche alla scelta di amalgamare la musica direttamente con il montaggio serrato tipico di Wright.

Il buon regista non ha mai deluso e conferma il suo enorme talento su molti fronti. Edgar Wright sempre e comunque.

sabato 9 settembre 2017

Venezia 74 - 'The Shape of Water' vince il Leone d'Oro

La fiaba dark The Shape of Water di Guillermo del Toro vince il Leone d'Oro.

Presentato il secondo giorno del festival, da subito è entrato nella top3 dei papabili vincitori. E così è stato, un emozionatissimo Guillermo del Toro ha ritirato il Leone d'Oro dalle mani del presidente di giuria Annette Bening.

Gli altri premi hanno un po' spiazzato. La Coppa Volpi come migliore attrice è andata a Charlotte Rampling per il film italiano Hannah. Premio meritato anche se tutti tifavano spudoratamente per la Frances McDormand di Three Billboards Outside Ebbing, Missouri, film che si è portato a casa il premio per la migliore sceneggiatura, decisamente meritato ma forse un po' troppo poco per un film che ha davvero convinto e conquistato tutti.
Sorpresa per la Coppa Volpi per il migliore attore è stata assegnata a Kamel El Basha per il film L’insulto, anche in questo caso un premio meritato ma tutti speravano in Donald Sutherland (The Leisure Seeker).
Scontato il premio Marcello Mastroianni per il migliore attore/attrice emergente, consegnato al giovane Charlie Plummer per Lean on Pete.

Venezia 74 si è chiuso con Paolo Baratta che ha dato appuntamento al 29 agosto 2018.

Ecco tutti i vincitori.

CONCORSO
Leone d’Oro per il Miglior Film: The Shape of Water di Guillermo del Toro
Leone d’Argento Gran Premio della Giuria: Foxtrot di Samuel Maoz
Leone d’Argento per la Migliore Regia: Xavier Legrand per Jusqu’à la garde
Coppa Volpi migliore attore: Kamel El Basha per L’insulto di Ziad Doueiri
Coppa Volpi migliore attrice: Charlotte Rampling per Hannah di Andrea Pallaoro
Miglior Sceneggiatura: Tre manifesti a Ebbing, Missouri di Martin McDonagh
Premio Marcello Mastroianni a un giovane attore o attrice emergente: Charlie Plummer per Lean on Pete di Andrew Haigh
Premio Speciale della Giuria: Sweet Country di Warwick Thornton

SEZIONE ORIZZONTI
Premio Orizzonti per il Miglior Film: Nico, 1988 di Susanna Nicchiarelli
Premio Orizzonti per la Miglior Regia: Vahid Jalilvand per Bedoone Tarikh, Bedoone Emza
Premio Orizzonti per la Miglior Sceneggiatura: Los versos del olvido di Alireza Khatami
Premio Speciale della Giuria di Orizzonti: Caniba di Verena Paravel e Lucien Castaing-Taylor
Premio Orizzonti per il Miglior Cortometraggio:  Gros Chagrin di Céline Devaux
Premio Orizzonti per la Miglior Interpretazione Maschile: Navid Mohammadzadeh per Bedoone Tarikh, Bedoone Emza di Vahid Jalilvand
Premio Orizzonti per la Miglior Interpretazione Femminile: Lyna Khoudri per Les Bienheureux di Sofia Djama

VENICE VIRTUAL REALITY
Miglior Film VR: Arden’s Wake Expanded di Eugene Yk Chung
Migliore Esperienza VR (per contenuto interattivo): La Camera Insabbiata di Laurie Anderson e Hsin-Chien Huang
Migliore Storia VR (per contenuto lineare): Bloodless di Gina Kim

VENEZIA CLASSICI
Miglior Film Restaurato:  Idi i smotri di Elen Klimov
Miglior Documentario sul Cinema: The Prince and the Dybbuk  di Elwira Niewiera e Piotr Rosolowski

venerdì 8 settembre 2017

Venezia 74 - giorno 10

Il festival ormai si avvia alla sua conclusione. Presentato in Concorso il quarto film italiano, Hannah, di Andrea Pallaoro, con la grande Charlotte Rampling protagonista.

Un film di poche parole e molte espressioni che si affida totalmente alla bravura della sua protagonista. Charlotte Rampling nel film è una donna in là con gli anni che dopo aver accompagnato in carcere il marito, accusato di un reato gravissimo, piomba nel silenzio e nella solitudine di una vita segnata solo dalle piccole abitudini, e su cui si sente il peso gravoso di una pesante colpa che ha allontanato figlio e nipote dalla famiglia.

"Mi piaceva l'idea di entrare con la macchina da presa nella testa di qualcuno e in qualche modo riuscire a trovare e toccare la sua umanità", ha raccontato Charlotte Rampling, "Credo che il modo in cui il film segue Hannah ed esplora la sua solitudine non comunichi un senso di tristezza, ma invece sancisca una scelta definitiva di sopravvivenza". Parole di elogio da parte dell'attrice verso il regista Andrea Pallaoro: "Andrea e io abbiamo capito che eravamo sulla stessa onda creativa. Quando poi siamo arrivati sul set mi sentivo sicura e protetta della sua presenza, tutto ormai era evidente e non abbiamo più dovuto dirci niente sul ruolo e sul film".
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Oggi è stato anche il giorno del maestro dell'action John Woo, arrivato al festival per presentare Fuori Concorso il suo ultimo lavoro, Manhunt.

Remake di un omonimo action giapponese degli anni '70, che a sua volta era l'adattamento di un romanzo, il film ha una storia molto semplice, racconta di un uomo cinese ingiustamente accusato di rapina, omicidio e stupro in Giappone che decide di dare la caccia ai veri colpevoli mentre viene braccato dalla polizia giapponese.

In Manhunt ci sono tutti gli elementi del classico cinema action di John Woo, con una novità, due donne killer, aspetto che ha emozionato molto il regista. "In effetti è la prima volta che faccio un film con delle donne killer", ha detto il regista, "Di solito sono associato ai generi action e gangster declinati al maschile, ma questa volta volevo dimostrare di saper fare un film al femminile. Ringrazio di cuore le attrici che hanno lavorato con molta passione ai loro personaggi".
Il film è stato girato in Giappone, un'esperienza che il regista cinese ha definito "molto gratificante". "Ci siamo trovati benissimo e abbiamo avuto tutta la collaborazione necessaria", ha raccontato John Woo, "Forse solo nelle scene di inseguimento in macchina è stato un po’ più complesso, per via del traffico. Ma anche in quei casi abbiamo sempre avuto il supporto delle autorità locali che hanno trovato soluzioni alternative. Mi ricordo soprattutto la gente che ci ha sempre trattato benissimo e i tanti volontari che si sono offerti some comparse, sono stati fondamentali".
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Sempre Fuori Concorso, presentato anche il film La Fidèle, del belga Michaël R. Roskam. Protagonisti Adèle Exarchopoulos e Matthias Schoenaerts.

Il film racconta la storia d'amore tra un criminale (Schoenaerts) e la figlia di un ricco imprenditore (Exarchopoulos) che pilota auto da corsa. I due si innamorano ma dovranno fare i conti con le conseguenze delle loro scelte.

"Volevo realizzare un film sull’amore assoluto ed incondizionato. Mi sono lasciato ispirare da alcune storie di gangster del Belgio degli anni ’80 e ’90", ha spiegato Roskam, "Personaggi di cui i media discutevano molto, con particolari relativi anche alle loro vite private. Inoltre sono un grande amante dei noir americani e dei polar francesi, generi che mi hanno influenzato".
Per Matthias Schoenaerts è stata la quarta collaborazione con il regista. "La mia amicizia con Michael mi ha sicuramente aiutato", ha detto l'attore durante la conferenza stampa, "questo è il quarto lavoro che facciamo insieme e ci diciamo tutto in faccia, senza problemi, questo è importante e aiuta molto il processo creativo".
Per poter interpretare una pilota di auto da corsa, Adèle Exarchopoulos si è dovuta immergere in un mondo che non conosceva affatto. "Per me era tutto una novità. Il mio personaggio ha una grande passione per i motori e le auto veloci e io non avevo neanche la patente quando ho letto il copione", ha detto l'attrice, "Sono stata nei circuiti di Formula 1 e ho cercato di mettermi nei panni della protagonista, di puntare sulle emozioni che doveva provare e su come queste si potevano ripercuotere sulla sua vita quotidiana. E ho anche preso delle lezioni da uno stant driver per recitare al meglio la mia parte".

Il film è stato già selezionato dalla Francia come candidato per l'Oscar come miglior film straniero.

giovedì 7 settembre 2017

Venezia 74 - giorno 9

Ancora Italia nella nona giornata di festival. Presentato Fuori Concorso il nuovo film di Silvio Soldini, Il Colore Nascosto delle Cose.

Il film racconta la storia dell'incontro tra Emma (Valeria Golino), una fisioterapista non vendente, fresca di separazione, e Teo (Adriano Giannini), un pubblicitario che inizia a frequentare la donna solo per una scommessa con un amico.

"La vista ci porta a giudicare e ci fa restare in superficie, specie quando s'incontra una persona per la prima volta, decidiamo subito tante cose sul suo conto da uno sguardo", ha dichiarato Silvio Soldini, "Diverso invece conoscere qualcuno se non lo vedi. Da una stretta di mano, dall'energia che arriva da lui, passa una conoscenza più profonda e sottile. Per la prima volta Teo non si sente giudicato e l'ascolto che Emma gli dedica è diverso da quello di tutti gli altri, specie in un mondo fatto di apparenza come quello in cui gravita".

Per il ruolo della non vedente Emma, Valeria Golino ha dovuto prepararsi e allenarsi. "Silvio mi ha messo in contatto con non vedenti e operatori del settore e tutti si sono prodigati con allegria per aiutarmi nella preparazione tecnica, sensoriale e psicologica", ha raccontato l'attrice, "Ho fatto tanti esercizi bendata camminando per la città col bastone, che non è facile da usare. Mi hanno mostrato come si muovono in casa, come cucinano, come rispondono al telefono e usano il cellulare. Ma forse la cosa più complicata è stato non potere usare gli occhi per recitare, non guardare mai Adriano". Un particolare che ha complicato il lavoro anche ad Adriano Giannini. "Trovarsi a non essere guardato dal partner è qualcosa di nuovo e strano", ha detto l'attore, che del suo personaggio poi ha detto: "Teo è un uomo in fuga dalle donne, dalle responsabilità, da se stesso, dal suo passato. L'incontro con Emma e l'avvicinamento sensoriale, la verità di cui Emma è portatrice, lo costringono a guardarsi e mettersi in discussione".

Il film sarà nelle sale da domani, 8 settembre.
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In Concorso invece è il giorno del regista Abdellatif Kechiche e del suo nuovo film Mektoub, My Love: canto uno.

Dopo La Vita di Adele (Palma d'oro a Cannes 2013), il regista franco-tunisino torna a una storia di formazione. Il film, ambientato nel 1994, racconta la storia del giovane Amin, che lascia gli studi di medicina per fare lo sceneggiatore e il fotografo. Amin vive a Parigi ma per l'estate torna nel suo paese, nel sud della Francia, dove trascorre le giornate tra spiaggia, mare, bevute e discoteca, in compagnia del cugino Tony, un grande seduttore, e l'amica Ophélie, promessa sposa a un militare che però non ama. Amin partecipa ma assiste a quella vita quasi da spettatore, più timido e incerto rispetto ai suoi coetanei, in attesa che il destino, "mektoub", gli mostri la strada.

Un film dalla trama piuttosto semplice ma con una durata di tre ore che lo rende complicato da affrontare.
"Il film è un inno alla vita, al corpo, al nutrimento questo film", ha dichiarato il regista, "'Mektoub' significa destino in arabo. E quest'opera, nel suo insieme, pone il significato del destino perché l'amore si associa al destino, al fato".
Il regista è stato accusato di essere troppo maschilista, per il modo insistito con cui riprende le donne (particolare che era stato sottolineato anche con La Vita di Adele) e per aver rappresentato le donne solo come oggetti sessuali. Ma il regista ha respinto in modo deciso le accuse: "Ho mostrato le donne come forti, potenti e libere".

Il film ha diviso la critica, alla fine della proiezione c'è stato qualche applauso ma in generale è stato accolto con un po' di freddezza e incomprensione, nel senso che molti non hanno proprio capito il senso di questa lunga opera.

mercoledì 6 settembre 2017

Venezia 74 - giorno 8

Molta attesa oggi al festival per una coppia di grandi attori, Penelope Cruz e Javier Bardem, marito e moglie e colleghi di set nel film Loving Pablo (Fuori Concorso).

Il film, diretto da Fernando León De Aranoa, racconta l'ascesa criminale e la caduta del celebre narcotrafficante Pablo Escobar (Bardem), e del suo rapporto con la giornalista colombiana Virginia Vallejo (P.Cruz), che è stata sua amante per molto tempo per poi diventare collaboratrice di giustizia e aiutare le autorità a catturare Escobar.
Il film è stato tratto da un libro scritto proprio da Virginia Vallejo.

Due straordinari attori, coppia nella vita e fianco a fianco sul set, per Penelope Cruz è stato più complicato di quanto si possa immaginare, soprattutto quando Javier Bardem si trasformava in Pablo Escobar. "È stato durissimo stare sul set con Javier nei panni di un mostro come Escobar", ha raccontato l'attrice in un perfetto italiano, "Mi spaventava, aveva una energia così brutta, aggressiva, essere così dentro il suo personaggio mi aiutava ma poi a casa mi dava nausea. Dopo quattro settimane di riprese non vedevo l'ora di finire il film, non vedevo Javier ma Pablo, e mi spaventava nonostante sapessi che era il trucco".
Per Javier Bardem è stato essenziale calarsi così tanto nel personaggio. "Mi interessava entrare nella mente di questa persona, che veniva definita un padre amorevole e allo stesso tempo creava così tanto orrore e terrore", ha spiegato l'attore, "Ho tentato di avvicinarmi il più possibile a questa contraddizione, a questo personaggio reale che è stato odiato ma anche amato da tante persone. Trasformarmi anche fisicamente in lui era importante per vivere il personaggio ma non l'ho mai portato fuori dal set, non era piacevole essere Escobar". Anche Penelope Cruz ha studiato molto per calarsi nei panni di Virginia Vallejo. "Avevo molte ore di materiale su di lei, molte interviste fatte da lei o a lei. E poi avevo il libro", ha detto l'attrice, "E dovevo entrare nel personaggio senza pregiudicarla con la mia opinione. Perché ovviamente io ho un'opinione su di lei e sul suo comportamento. Il cinema non deve cambiare il mondo ma comunque si ha una responsabilità. E credo che sia il regista che noi siamo riusciti a fare quello che volevamo, non mostrare violenza gratuita come in un videogame, non mostrare il mondo del narcotraffico come qualcosa di attraente. Volevamo mostrare un dolore, un dolore reale".

Al momento non c'è ancora una data d'uscita per il film.
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Terzo film italiano in Concorso, i Manetti Bros portano al festival il loro Ammore e Malavita.

Ammore e Malavita si collega col precedente lavoro dei due registi romani, Song’e Napule, che stavolta s'immergono ancora di più nella musica creando un vero e proprio musical, un genere decisamente atipico nel panorama italiano.

Protagonista del film è Giampaolo Morelli che interpreta Ciro, un ragazzo di borgata che crescendo si trasforma in un killer e che insieme al fratello Rosario (Raiz) lavora per una coppia di camorristi, Don Vincenzo (Carlo Buccirosso che nel film ha due ruoli) e Donna Maria (Claudia Gerini). Quando Donna Maria elabora un piano per sparire dalla circolazione insieme al marito e a una serie di diamanti, un povero commesso (sempre Carlo Buccirosso) uguale identico a Don Vincenzo viene fatto fuori e messo nella bara al suo posto. Un'infermiera però vede il vero boss vivo e vegeto, così Don Vincenzo affida a Ciro il compito di eliminarla. Quando Ciro si trova davanti all'infermiera però la ragazza di cui era innamorato da ragazzo, la sua fidanzatina. Questo scatena una serie di conseguenze che porteranno a un regolamento di conti.

Ammore e Malavita è un mix di sceneggiata napoletana, thriller e commedia, che ha convinto la stampa e la critica.
"Il film è un modo diverso di vedere e raccontare la città", ha spiegato Marco Manetti, "È il nostro sguardo su Napoli, quando ci andiamo vediamo sì una città piena di problemi ma anche di arte, cultura. Napoli viene spesso raccontata come una cartolina che sia la cartolina del Golfo oppure quella delle Vele di Scampia, noi prendiamo simpaticamente in giro questa moda di raccontare la città solo attraverso il suo lato negativo".
Nel cast un ottimo Carlo Buccirosso, felice del suo doppio ruolo e del destino di uno dei due personaggi. "I Manetti mi hanno fatto finalmente morire", ha scherzato l'attore, "e morendo cantando mi hanno fatto sdrammatizzare la morte. Sono convinto che la sdrammatizzazione sia il tema del film". Entusiasta del ruolo anche Claudia Gerini, che ha dovuto studiare il napoletano per fare il film: "Imparo facilmente le lingue, ho studiato molto perché non volevo che il mio napoletano risultasse caricato. Ho lavorato anche sulla gestualità e sottolineando le origini del mio personaggio, che sono umili. E’ la serva che sposa il padrone, ma non è un matrimonio di interesse. Lo ama davvero. [...] È stato stupendo cantare e ballare, la scena musical è stata girata in una nottata pazza in cui ho fatto la spaccata quindici volte".

Il film sarà nelle sale il 5 ottobre.

martedì 5 settembre 2017

Venezia 74 - giorno 7

Il settimo giorno sul festival si abbatte il ciclone Darren Aronofsky con il suo controverso film Madre!.

Il film racconta di una coppia che si trasferisce in una isolata casa di campagna. Lui (J.Bardem) è uno scrittore a corto di idee, lei (J.Lawrence) è molto più giovane di lui e si è dedicata anima e corpo alla ristrutturazione e alla sistemazione della casa che era andata distrutta a causa di un incendio. Una sera si presenta alla porta un medico (E.Harris) in cerca di alloggio. L'uomo, "lui", gli offre subito ospitalità andando contro il parere della moglie. Poi alla porta si presenta anche la moglie del medico. La presenza di questi ospiti sconosciuti fa piombare la donna in una spirale di paranoia e dà il via a una serie di eventi disastrosi e apocalittici.

Un film complicato, estremo, disturbante, duro, Mother! un film di difficile collocazione: è dramma, thriller metafisico e onirico, con sfumature bibliche, è anche un horror demoniaco e cannibalesco, ma con un messaggio ambientalista all'interno. Sicuramente Madre! è un film di grande impatto anche se quello che ha avuto sulla sala stampa non è stato molto positivo. Alla fine della proiezione gli applausi sono stati pochi, ci sono stati soprattutto fischi e addirittura qualche contestazione, con tanto di "buu" (da parte di gente maleducata). In realtà le recensioni del film non sono state tutte negative, la critica si è divisa in modo piuttosto netto, tra chi l'ha davvero detestato e chi invece l'ha accolto in modo positivo (più all'estero che in Italia).
Darren Aronofsky ci aveva visto lungo, nei giorni scorsi aveva avvertito sugli effetti che il suo film avrebbe potuto provocare ("dopo molte persone non vorranno più guardarmi in faccia"), e infatti il regista non si è minimamente scomposto di fronte ai fischi. "Leggo i giornali e cerco di capire. Poi stasera è luna piena e questo film è il mio urlo alla luna. Vederlo è come andare sulle montagne russe, se non siete pronti, lasciate perdere", ha risposto tranquillamente Aronofsky.

Ma come è nata l'idea di un film del genere, Darren Aronofsky ha raccontato che è nata dopo un viaggio nell'Antartico e l'incontro con una scrittrice nativa, e a causa di un "sogno febbricitante". "Ci ho messo degli anni per realizzare tutti i film che ho fatto, per 'Il Cigno Nero' ce ne ho messi addirittura dieci", ha raccontato il regista, "mentre questo film è uscito fuori di me in cinque giorni. La storia è stata il frutto di un sogno febbricitante pensando al nostro pianeta come a una casa che stiamo distruggendo. Questo è un film nato dalla rabbia di vedere cosa succede all'unica casa che abbiamo e non poter far nulla". Il messaggio ambientalista (tema ricorrente in questo festival) è quindi al centro del film, nascosto sotto strati di generi diversi. "Tutto il film è una metafora e la casa per tutti noi è come un regno inviolabile, anche se poi siamo tutti pronti a violare le casa altrui", ha dichiarato il regista, "Non sono in grado di dire con esattezza dove affondino le radici di questa storia. Però non è un caso che all'inizio del film ci sia la citazione del numero 6, che simboleggia il sesto giorno della Bibbia".
Non solo ambiente però, il film è anche una lotta tra uomo e donna. "Questo film si presta a molte letture e Darren mi ha invitato a scegliere quella che preferivo", ha dichiarato Javier Bardem che nel film interpreta "lui".

Protagonista è Jennifer Lawrence, in un ruolo senza nome (ma è lei la "madre" del titolo) e molto difficile. "Per me stato un ruolo completamente diverso da quelli che ho fatto in passato", ha dichiarato l'attrice, "mi ha tirato fuori qualcosa che non conoscevo di me. Ci sono voluti tre mesi di prove per metterlo a punto. E' stato difficile, come attore cerchi di trovare l'essenza del tuo personaggio, ma è stato bello". Ruolo oscuro e diverso dal solito anche per Michelle Pfeiffer, che sul suo personaggio ha dichiarato: "Io sono un'altra versione della 'madre' ma con più esperienza e cerco di svegliare la giovane padrona di casa, di farle capire che c'e qualcosa che non va nel suo paradiso. Quando ho letto la sceneggiatura mi sono un po' spaventata all'idea di interpretare questo ruolo. Ma sono una grande fan di Darren, desideravo veramente lavorare con lui, e lavorare con questi attori è stata un'opportunità incredibile". Grandi complimenti da parte di Michelle Pfeiffer verso la sua giovane collega Jennifer Lawrence: "Ho adorato lavorare con Jennifer. Prima di tutto è divertentissima, intelligente, simpatica, e ha anche un talento incredibile. Ha una grande disinvoltura con il suo lavoro, che ammiro molto. Vorrei averla anche io!".

Il film sarà nelle sale dal 28 settembre.
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Al festival è arrivato anche il grande Jim Carrey, per presentare (Fuori Concorso) il documentario Jim & Andy: the Great Beyond – the story of Jim Carrey & Andy Kaufman with a very special, contractually obligated mention of Tony Clifton, che racconta il backstage del film Man on the Moon.

Era il 1999 quando Jim Carrey, stella comica indiscussa, regalava al mondo una delle sue interpretazioni più riuscite e commoventi (e anche sottovalutate) della sua carriera, quella del comico Andy Kaufman e del suo alter ego Tony Clifton nel film di Milos Forman Man on the Moon. Durante la lavorazione di quel film è stato proprio Jim Carrey (perennemente in parte anche a telecamere spente) a voler riprendere il backstage, ed è stato sempre lui oggi a raccogliere quel materiale e farne un documentario, che è stato diretto da Chris Smith.

Un Jim Carrey molto sincero quello visto durante la conferenza stampa, ma che comunque non ha mancato di fare qualche battuta delle sue (come quando si è sfilato le cuffie ha detto che l'interprete gli aveva dato dello stronzo). Poi Carrey ha iniziato a raccontare della lavorazione di Man on the Moon e di come sia sia totalmente annullato nel personaggio di Andy Kaufman e del suo alter ego aggressivo e volgare Tony Clifton. "Il vero artefice di questo documentario è Andy", ha raccontato l'attore, "Il suo impegno e il suo lavoro sono ciò che ha reso possibile il mio annullamento, la scomparsa totale di Jim da quel set. In fondo, non esistiamo né io né Andy. Entrambi interpretiamo dei personaggi e io ho sempre avuto l'impressione che qualcuno stia interpretando me da quando sono nato. Certo, quella di Man on the Moon è stata un'esperienza particolarmente intensa, quasi psicotica. Ricordo che una volta dovevo parlare con Ron Howard per discutere alcuni dettagli del copione de Il Grinch, che avrei girato dopo, e Ron al telefono non ha parlato con me, ma ha sempre parlato con Andy. Quindi possiamo dire che Andy Kaufman ha gettato la sua influenza anche sul Grinch".

"Chris [Smith] è stato bravissimo", ha detto Jim Carrey, "non solo a fare una sorta di retrospettiva su Andy ma anche a mostrare l’effetto che questa ha avuto su di me e l’influenza che ha avuto sulla mia identità. Soprattutto è stato bravo a non vedermi solo come un personaggio o come uno che fa le smorfie... non mi ha mai visto solo come The Mask".

Un ultimo pensiero Jim Carrey l'ha avuto per uno dei suoi idoli, quello a cui deve di più, Jerry Lewis, la cui morte ha colpito molto l'attore. "Jerry Lewis era un genio e ci ha dato tutto", ha dichiarato l'attore, "Io sono sempre colpito da tutti i comici ma non solo da loro. Marlon Brando ad esempio era un grande comico. Questo perché i veri artisti hanno tutto dentro di loro".

lunedì 4 settembre 2017

Venezia 74 - giorno 6

Nel sesto giorno di festival arriva un film che mette d'accordo tutti. Presentato in Concorso Three Billboards Outside Ebbing, Missouri, di Martin McDonagh, con una straordinaria Frances McDormand protagonista.

Il film di McDonagh è una dark comedy che racconta le vicende di una madre molto determinata a cercare giustizia per l'omicidio della figlia. Dopo mesi dal tragico fatto, la polizia è ferma nelle indagini, così Mildred Hayes (F. McDormand) decide di agire e di scagliarsi contro la polizia. Così la donna noleggia tre grandi cartelloni pubblicitari sulla strada per entrare in città sui quali scrive messaggi polemici ed espliciti contro le forze dell'ordine, in particolare contro il capo della polizia William Willoughby (W.Harrelson). Willoughby non se la prende e prova a dialogare con la donna, ma quando i cartelli cominciano a prendere di mira il violento e immaturo vice capo Dixon (S.Rockwell), la situazione inizia a precipitare, tra aggressioni, schiaffi, calci e insulti molto coloriti.

Un vero colpo di fulmine quello tra la stampa e il film, al termine della proiezione si è levato l'applauso più lungo e sentito di tutto il festival. Serio, tosto, amaro e divertente, Three Billboards Outside Ebbing, Missouri ha convinto e conquistato. Un'ovazione ha accolto regista e cast all'ingresso della sala stampa, tanti applausi soprattutto per Frances McDormand, che ora tutti sperano di vedere con la Coppa Volpi tra le mani.

"Per questo personaggio mi sono ispirata a John Wayne", ha spiegato l'attrice, particolarmente euforica durante la conferenza stampa, "Come figura iconica resiste alla prova del tempo. Io adoro John Wayne, ho preso tanto da lui per costruire Mildred, il suo sguardo, come si muove, soprattutto dal personaggio di Ethan Edwards di 'Sentieri Selvaggi'. Lui era un uomo antipatico, razzista, violento, ma alla fine riuscivi a empatizzare con lui e pure a volergli bene". Frances McDormand ha poi elogiato il regista. "Martin è molto bravo a fare cinema malinconico e divertente, che fa piangere e ridere allo stesso tempo, quindi è un piacere lavorare con lui. Poi, la sceneggiatura è fantastica", ha detto l'attrice che però all'inizio ha avuto qualche dubbio sul film. "Ho ricevuto questo script a 58 anni", ha raccontato Frances McDormand, "e non credevo che una donna avrebbe avuto dei figli così tardi. Ho chiesto di trasformarla in una nonna, ma il regista non voleva perché era convinto che una nonna non avrebbe mai fatto una cosa del genere. Poi mio marito mi ha detto di smetterla di discutere con Martin e accettare la parte". Ringraziamo Joel Coen per averla convinta.
Complimenti all'attrice anche da parte di Woody Harrelson. "È bellissimo lavorare con Frances, è come tirare boxe con uno veramente bravo. Ci siamo tanto divertiti. Il copione era eccellente, tutto era già ricco e definito in sceneggiatura", ha detto l'attore

Il film mostra un'America arrabbiata, chiusa, razzista e xenofoba (anche se stavolta il nome del presidente USA non è venuto fuori). "Questo non è un film sul razzismo e la violenza in una cittadina in America", ha spiegato Martin McDonagh, "quello che mi interessa  raccontare è una storia, non il luogo. Razzismo e xenofobia capitano in tutto il mondo, non soltanto negli Stati Uniti. [...] Nel film non ci sono personaggi cattivi, buoni, ognuno alla sua storia, un percorso. Per esempio, tra Willoughby e Mildred c’è un rapporto molto particolare, sono arrabbiati e si confrontano, tutti i due hanno ragione, eppure si vede che si rispettano e si vogliono bene. Mi piace questo tipo di rapporto". La storia del film è ispirata a un fatto realmente accaduto, come ha spiegato il regista: "Mentre ero su un bus in viaggio per l’America ho visto dei cartelloni simili, era qualcosa di doloroso e tragico, e mi sono chiesto chi avrebbe potuto mettere dei cartelli così dolorosi e in cui era evidente tutta la rabbia".
Nel ruolo dell'immaturo e aggressivo vice capo c'è l'attore Sam Rockwell, che sul suo personaggio ha dichiarato: "per costruire il mio personaggio ho visto tanti episodi di Cops. E' un bellissimo show! Poi, mi sono reso conto che i poliziotti non sono uno stereotipo, non si può generalizzare, così ho cercato di catturare tutte le sfumature".

Infine, qualcuno ha azzardato un parallelo tra la Mildred di Three Billboards Outside Ebbing, Missouri e la Margo di Fargo, ruolo con cui Frances McDormand ha vinto l'Oscar nel 1997. E la risposta dell'attrice è stata: "Penso che mi porterò Margo addosso fino alla tomba. Lei mi seguirà per tutta la vita, sarà pure nel mio epitaffio!".

Il film sarà nelle sale USA a ottobre, in Italia arriverà a gennaio.
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Presentato in Concorso il secondo film italiano. Si tratta di Una Famiglia, di Sebastiano Riso, con Micaela Ramazzotti e Patrick Bruel.

Una storia difficile che racconta di una coppia coinvolta nel traffico di neonati. Lei, Maria (M.Ramazzotti), è una donna plagiata dal marito, Vincenzo, più grande di lei e completamente dominante nei suoi confronti. Lei concepisce e fa nascere bambini che poi verranno venduti a coppie sterili (o in un caso specifico a una coppia di omosessuali) per cinquantamila euro. Maria fin da subito è contraria a questo traffico ma per amore verso il marito lo asseconda e ne diventa complice, fino al momento in cui decide di voler smettere.

Il film è stato accolto in modo molto freddo dalla stampa, pochi applausi, qualche buu, ma il regista se lo aspettava, vista il tema delicato."Ogni film cambia a seconda di chi lo guarda", ha dichiarato Sebastiano Riso, "Una Famiglia non vuole essere rassicurante, e non è un film sull'utero in affitto, parla del rapporto di coppia tra un uomo e una donna, che vacilla quando viene a mancare la fiducia tra loro e quando Maria comincia a disobbedire. E' una storia che si interroga sul concetto di famiglia oggi nel nostro Paese, e quanto sia difficile adottare un bambino in Italia, sia che tu sia single, omosessuale o semplicemente un marito e una moglie che non hanno ottenuto i requisiti".

Protagonista del film una brava Micaela Ramazzotti che descrive così il suo personaggio: "Maria non ha nessuno al mondo oltre a quell'uomo, che per lei è un marito, un fratello, un amico, un amante, un padrone, un carceriere. È schiava di un progetto che non ha deciso ma ha accettato. È talmente innocente, buona e succube da diventare complice di un criminale. Quando manderà all'aria questo susseguirsi di sesso, gravidanze, espulsione del bambino, vendita, solo allora sarà libera". Tra l'attrice e il regista c'è da tempo un rapporto di grande stima. "Sebastiano ha un entusiasmo verso di me che mi commuove", ha raccontato l'attrice, "Gli attori hanno sempre un'autostima molto bassa e invece alla fine della giornata di riprese io ero alle stelle per come mi faceva sentire: bella e bravissima. Arrivavo a casa la sera e pensavo di essere 'come Meryl Streep', poi mi davo dell'idiota da sola".

Il film sarà nelle sale dal 28 settembre.

domenica 3 settembre 2017

Venezia 74 - giorno 5

Una domenica di festival segnata dai grandissimi attori, in Concorso Helen Mirren e Donald Sutherland, protagonisti del film di Paolo Virzì The Leisure Seeker, e Judi Dench, protagonista di Victoria & Abdul, nuovo film di Stephen Frears.

Primo film americano per Paolo Virzì, The Leisure Seeker (Ella & John), è un road movie tratto dal romanzo ‘In viaggio contromano’ di Michael Zadoorian. Al centro della storia una coppia di anziani (Mirren e Sutherland), marito e moglie, lui non sempre presente a causa di un Alzheimer progressivo, lei malata di cancro all'ultimo ma lucidissima mentalmente. I due partono e si regalano un viaggio dal Massachusetts a Key West sul loro vecchio camper anni '70, non solo una vacanza ma una fuga, decisa proprio quando i figli della coppia, ormai adulti, hanno deciso di far ricoverare la donna.

Risate e commozione in pieno stile Virzì, con una coppia di attori che già vengono dati come possibili vincitori della Coppa Volpi per le interpretazioni. Grandi applausi alla fine della proiezione e anche all'ingresso del cast nella sala stampa, anche se non tutte le recensioni sono state positive (negativa quella di Variety ad esempio), ma il film in generale è piaciuto.

"I miei amici produttori e co-sceneggiatori, Stephen Amidon, Francesca Archibugi, Francesco Piccolo , mi hanno convinto a intraprendere l’impresa", ha dichiarato Paolo Virzì riguardo la sua trasferta americana, "Non avevo alcun progetto di emigrazione, mi sento italiano e sono felice di appartenere alla comunità dei cineasti italiani". Lavorare con due miti del Cinema è stato un sogno per il regista. "Ho chiesto di avere Helen e Donald nel cast... come a dire "figurati se lo fanno!". Incredibilmente hanno accettato entrambi", ha raccontato Virzì, "Lui subito, lei dopo un momento di esitazione. So che amano l’Italia, avendo già lavorato qui, sono due creature meravigliose che hanno avuto una grande pazienza con il mio 'broken english'. Così ho fatto questa pazzia americana!". Sul messaggio del film il regista ha poi dichiarato: "il mio è un film sulla libertà di scegliere la propria vita, in questo caso insieme, fino all'ultimo istante".

"Questo è incontrovertibilmente un film di Paolo Virzì", ha dichiarato Dame Helen Mirren, "Ha portato la sua sensibilità, il suo humour, la sua umanità. questa riflessione sulla vita mi tocca da vicino, è vicino a quello che vorrei fare io. Arrivare alla fine della vita ma viverla con energia e piacere, spero di poter mantenere questo spirito fino alla fine dei miei giorni come Ella... certamente lo faccio ora. Voglio arrivare a una morte più piena di vita possibile". Virzì ha colpito subito anche Donald Sutherland, che sul regista ha dichiarato: "Quando Paolo è venuto da me non l'ho visto come italiano, anche se quando parlava italiano non capivo una parola! a me lui è sembrata una persona universale. Ha una visione straordinaria della verità".

Entrambi gli attori hanno un rapporto particolare con l'Italia e il Cinema Italiano, entrambi hanno già lavorato con registi italiani, inevitabile quindi una domanda al riguardo. "Io ho girato proprio qui a Venezia", ha ricordato Donald Sutherland, "'A Venezia... un dicembre rosso shocking' e poi 'The Italian Job'. E’ una città difficile in cui girare. Poi ho fatto 'Novecento' a Parma e 'Casanova' con Fellini a Cinecittà. Sono film che hanno contribuito a formare l’immagine del cinema italiano che abbiamo nel mondo, e ci siamo sentiti parte del cinema italiano anche stavolta". "Per quanto riguarda poi il mio rapporto con il cinema italiano", ha continuato Helen Mirren, "quando ci penso, penso a 'La strada' di Fellini, o a uno dei primi film che io abbia mai visto in vita mia, 'L’avventura' di Antonioni. Che onore poter incontrare finalmente Claudia Cardinale. Amo Monica Vitti, Sofia Loren e soprattutto Anna Magnani, è la mia dea".

Il film in Italia uscirà a gennaio 2018, mentre negli USA sarà nelle sale a dicembre, in tempo per poter rientrare nella corsa agli Oscar.
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Fuori Concorso, un'altra attrice gigantesca, Dame Judi Dench protagonista della nuova commedia di Stephen Frears, Victoria & Abdul, in cui interpreta nuovamente una regina.

Il film racconta una storia vera che è stata tenuta segreta per quasi un secolo, cioè la storia dell'amicizia tra la regina Vittoria e un servitore indiano, Abdul Karim, che diventò suo consigliere e amico, suscitando scandalo e grande indignazione nella famiglia reale, soprattutto nel figlio della regina.

In questo film Judi Dench ha ripreso il ruolo della regina Vittoria, già interpretata ne La mia regina (in cui si parlava dell'amicizia tra la regina e lo stalliere scozzese John Brown). "Non mi sarei mai aspettata di tornare a fare questo ruolo ma avevo ancora molto affetto per questo personaggio", ha raccontato l'attrice, "Vedo questa storia come una sorta di continuazione di quel film. E' sì una storia d'amore ma molto più complessa. Riguarda la gioia di potersi sentire totalmente rilassati con qualcuno, senza nessuno che impone il cerimoniale, poter parlare liberamente e imparare qualcosa. Per gran parte della sua vita aveva avuto un bisogno di condivisione che prima era stato assolto dal marito e poi da John Brown. Quando Brown è morto lei si è trovata completamente sola".
Un altro motivo che ha convinto l'attrice ad accettare il film è stata la presenza di Stephen Frears, un regista con cui l'attrice ha già lavorato in altri due film. "La sceneggiatura era bellissima e lavorare ancora con Stephen era per me una proposta irresistibile".

"Volevo fare un film divertente, semplicemente un film che sarebbe piaciuto a Donald Trump", ha dichiarato ironicamente Stephen Frears, visto che il film parla del rapporto tra una potente sovrana e un umile musulmano, "Credo che sia un film irriverente ma ho sempre pensato dovesse essere anche divertente".

Il film ha avuto una buona accoglienza da parte della stampa. Il film uscirà nelle sale italiane il 26 ottobre.

sabato 2 settembre 2017

Venezia 74 - giorno 4

Il protagonista del quarto giorno è uno che in Italia e al Festival di Venezia è di casa, si tratta di George Clooney, che porta in Concorso il suo ultimo lavoro da regista, Suburbicon.

Commedia nera nata dalla mente dei fratelli Coen, e firmata anche da Grant Heslov e dallo stesso Clooney, la storia è ambientata nella cittadina di Suburbicon, un pacifico sobborgo degli anni '50, tra case color pastello e giardini curati. La gente che vive a Suburbicon è tranquilla e riservata, il più riservato di tutti è il protagonista Gardner Lodge (M.Damon), che vive con la sua famiglia in una di quelle perfette villette. Una perfezione che s'incrina quando nel quartiere arriva la prima famiglia afroamericana, ma il signor Lodge ha ben altro a cui pensare. La sua tranquilla vita viene messa sottosopra da una violazione di domicilio, quattro uomini entrano in casa e addormentano lui e tutta la sua famiglia. La legge si rivela troppo lenta, e mentre il quartiere erige muri per evitare che i cittadini bianchi siano disturbati dalla vista della famiglia afroamericana, il signor Lodge decide di farsi giustizia da solo, finendo in una spirale di violenza e vendetta che rivela la maschera ipocrita di quella falsa perfetta periferia americana.

Un film molto attuale quello di George Clooney e l'attore durante la conferenza stampa non tira indietro la gamba quando parla degli USA di Donald Trump. "Una nuvola nera incombe sull'America", ha dichiarato l'attore, "Abbiamo iniziato a lavorare a questo film quando Trump ha iniziato la sua corsa politica e nei suoi discorsi elettorali parlava di costruire barriere, di fare di nuovo grande l'America. Queste problematiche purtroppo non sono mai morte negli Usa". Suburbicon comunque è una commedia nera, Clooney ci tiene a precisarlo. "Non volevamo fare polemiche o una lezione civica", ha spiegato l'attore, "il nostro intento era far ridere ed essere cattivi, ma è evidente che se vai negli Stati Uniti trovi un Paese che non è mai stato così arrabbiato. Io continuo a essere ottimista ma quello che sta succedendo negli USA necessita di una profonda riflessione".
Non un film politico quindi, ma un film che, nonostante sia ambientato nel 1959, riflette molte questioni attuali, come quella razziale e dell'integrazione. Parallela alla storia del protagonista, nel film è stata inserita la vicenda di una famiglia afroamericana che per quanto assurda non è inventata ma reale, William e Daisy Myers sono realmente esistiti, erano una coppia di neri che nel 1957 si trasferirono a Levittown scatenando una rivolta razziale. "Stiamo scontando ancora il nostro peccato originale: la schiavitù", ha detto Clooney, "La petizione che a un certo punto viene letta nel film, in cui si dice 'siamo per l'integrazione solo nel momento in cui i negri si saranno educati', non l'abbiamo scritta noi, è un documento vero. Il nostro non è un film su Donald Trump ma sulla sottigliezza con cui striscia sul razzismo". "Suburbicon rappresenta questo", gli fa eco Matt Damon, "il mio personaggio si aggira in bicicletta per il quartiere, di notte e pieno di sangue, tanto sa che non daranno la colpa a lui, ma ai neri".

Parlando del film, Matt Damon e Julianne Moore (che interpreta sia la moglie di Damon che la cognata) hanno dichiarato di essersi divertiti molto. "Sono stata contenta di poter interpretare due ruoli", ha detto Julianne Moore, "E' molto interessante capire come la vita di una sorella si ripercuote su quella dell’altra. Il mio personaggi invita suo nipote bianco a giocare con il bambino nero. E l’unica che lo fa. Perché lei sa cosa vuol dire essere emarginata. Non ha niente, mentre sua sorella ha tutto, ha la famiglia fantastica che voleva avere". Per Matt Damon non è stata certo la prima volta sul set con l'amico George Clooney. "Girare il film è stato molto divertente", ha detto l'attore, "è il settimo o ottavo set che divido con George. Mi ha chiamato dicendomi che sarebbe stata una parte mai fatta da me finora, ho dovuto spingermi oltre. Con George ormai ho capito come lavorare: quando dà un’indicazione basta fare il contrario e tutto va a meraviglia".
Nel cast c'è anche Oscar Isaac, in un ruolo che i Coen avevano scritto proprio per Clooney. "Non mi piace dirigermi da solo, è faticoso, e poi Oscar è stato bravissimo e io non avrei saputo fare di meglio", ha detto l'attore.

A George Clooney è stato chiesto anche se avesse mai fatto un pensierino su una possibile candidatura come Presidente degli USA. Domanda ha cui l'attore ha risposto in modo semi-serio: "In questo momento, chiunque abbia voglia di farlo è benvenuto. Sembra un lavoro divertente". "Chiunque sarebbe meglio di quello attuale", ha chiuso il discorso Matt Damon.

Suburbicon sarà nelle sale italiane il 14 dicembre.
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Presentato Fuori Concorso quello che il direttore Alberto Barbera ha definito il "film più violento del festival". Si tratta del prison movie Brawl in Cell Block 99, diretto da S. Craig Zahler.

Bradley Thomas (V.Vaughn) è ex pugile, ex alcolizzato, alto quasi due metri e una grossa croce tatuata sulla nuca, che viene licenziato dall'officina in cui lavora, lo stesso giorno in cui scopre che la moglie lo tradisce. Dopo aver distrutto a mani nude l'auto della donna, stringe con lei un nuovo patto. Dopo diciotto mesi sembra andare tutto bene, Bradley sta per diventare padre quando viene arrestato per colpa di un gruppo di messicani partner d'affari. L'uomo è pronto a scontare la sua pena senza fare problemi ma un ricatto lo costringerà a tirare fuori il peggio di sé per riuscire a farsi rinchiudere nel carcere di massima sicurezza Block 99.

"Il personaggio di questo film, Bradley Thomas, ha un sacco di violenza dentro di sé. Deve cercare di trattenerla, ma quando la rilascia è persino superiore a quello che credeva lui stesso. Una sorta di esperienza catartica", ha dichiarato il regista.
Protagonista del film è Vince Vaughn, in un ruolo molto diverso da quello in cui siamo abituati a vederlo. "Non credo siano scomparse del tutto le commedie dalla mia vita", ha dichiarato l'attore, "ma ho avuto la fortuna di trovare altri percorsi e sono molto contento".

venerdì 1 settembre 2017

Venezia 74 - giorno 3

Al festival è il giorno del Leone d'Oro alla carriera, quest'anno doppio Leone per premiare due attori tanto bravi, tanto amati, impegnati e mitici: Robert Redford e Jane Fonda.

I due attori sono arrivati al Lido non solo per ricevere un meritatissimo Leone d'Oro alla carriera ma anche per presentare il film Our Souls at Night, in cui tornano a recitare fianco a fianco per la quarta volta. C'è stato il film La caccia (1966), Il cavaliere elettrico (1979), ma soprattutto il delizioso A Piedi Nudi nel Parco, che usciva nelle sale nel 1967, esattamente 50 anni fa.

In Our Souls at Night, i due attori si rincontrano per una storia d'amore tra due anziani vedovi che vivono uno di fronte all'altro e iniziano a condividere la propria solitudine riuscendo a darsi una seconda possibilità. Una storia d'amore molto semplice sorretta dall'intesa e dalla rodata chimica tra i due attori.

La conferenza stampa è stata un susseguirsi di aneddoti e battutite tra i due, che si conoscono benissimo e sanno come imbeccarsi. Robert Redford, anche produttore, ha voluto fortemente questo film, per tre ragioni: "per un pubblico maturo in un business, quello cinematografico, che si rivolge principalmente ai ragazzi. Perché volevo raccontare una storia d'amore. Ma soprattutto perché volevo fare ancora un film con Jane prima di morire". "Il senso di questa storia è che non è mai tardi", ha spiegato Jane Fonda, "Se hai coraggio fai il salto di fede e puoi sempre diventare la persona che avresti dovuto essere. Anche come genitore. Adoro questa donna che prende l'iniziativa e che accetta di fare i conti con suo figlio: in punto di morte, non conta quanti premi hai avuto o quanti soldi hai, ma se sei stata capace di amare i tuoi figli e fatto per loro quanto hai potuto".

I due attori hanno giocato molto sull'eterna attrazione tra di loro, attrazione che non è mai tramontata e che nell'immaginario della gente si è materializzata nella commedia A Piedi Nudi nel Parco, di cui ovviamente si è parlato, visto il 50° anniversario.
Jane Fonda ha raccontato: "L’ho baciato a 20 anni e ora a quasi 80". "Quasi?", l'ha interrotta Redford che gli 80 gli ha già passati. "Parlavo di me", ha risposto subito l'attrice, che poi ha continuato: "Baciare Robert a vent'anni è stato bello come a ottanta. Ho fatto delle fantasie su di te, non te l’avevo mai detto? Tante cose non ho detto riguardo alla preparazione di quel film...". "E le devi dire qui in pubblico?", ha risposto Redford, in uno scambio che sembrava uscito proprio da A Piedi Nudi nel Parco. "Eravamo negli studi della Paramount per il film e stavamo camminando nel corridoio di un ufficio, e tutte le segretarie si affacciavano e si dicevano ‘sta arrivando lui, guarda!’", ha raccontato Jane Fonda, "Mi sono detta che sarebbe diventato un grande divo, lo si sentiva nell'aria, nella reazione che suscitava nelle donne. Era meraviglioso passare del tempo con lui. Durante A Piedi Nudi nel Parco non riuscivo a staccargli le mani di dosso!". Complimenti ricambiati da Robert Redford, che della sua collega e amica ha detto: "la nostra unione artistica è lunga e arriva fino a oggi. Le cose con Jane sono sempre andare perfettamente al loro posto, non c’era bisogno di prepararci o discutere a lungo. Non c'è bisogno di spiegazioni. C’è amore, connessione, contatto".

Entrambi gli attori sono da sempre molto impegnati politicamente ma in questa occasione non c'è stato modo di parlare di politica (con grande delusione da parte di alcuni giornalisti), ma Robert Redford ha comunque lasciato il suo pensiero su un tema di cui si è discusso molto in questi primi tre giorni di festival: l'ambiente. "Qui dico solo che dobbiamo preoccuparci di cosa lasciamo alle prossime generazioni, abbiamo un solo pianeta e dobbiamo preservarlo", ha detto semplicemente Redford.

Il film Our Souls at Night sarà disponibile su Netflix dal 29 settembre.
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Presentato in Concorso un film molto atteso, si tratta di Human Flow, documentario diretto dell'artista e attivista cinese Ai Weiwei.

Il film, di grande impatto visivo, è stato girato in 23 paesi diversi, dall'Iraq alla Grecia, dal Messico all'Afghanistan, e racconta l'immenso flusso migratorio di questi anni. Ai Weiwei si è immerso tra i migranti, gente che scappa dalla guerra senza niente, senza cibo, senza vestiti, a piedi o sui barconi, mettendo in pericolo la propria vita e quella della propria famiglia per sfuggire da un pericolo ancora più grande.

"La speranza dei migranti sta tutta negli occhi dei loro bambini, ma anche nel coraggio e nella fantasia. Se c'è quest'ultima allora si può essere ottimisti. E' per questo che continuo a fare l'artista, perché la fantasia è l'unico modo di alimentare la speranza", ha dichiarato l'artista che nel documentario appare in prima persona. "Io faccio parte dei rifugiati e loro sono parte di me. Per me non è difficile essere come loro. E la loro condizione non mi provoca tristezza", ha dichiarato ancora Ai Weiwei, "La cosa più bella della natura umana è poter mettersi nelle condizioni altrui. Mi è accaduto quando avevo il blog nel 2005: mai avrei potuto pensare che qualcuno avrebbe potuto avere interesse per quello che succedeva a me. Penso sia la cosa più bella della comunicazione. Qualcuno da qualche parte sente la tua voce e la riconosce".

Il film è stato accolto in modo contrastante, dividendo la critica.

Il documentario è stato prodotto in collaborazione con Rai Cinema, sarà nelle sale italiane dal 2 ottobre con 01.

Dunkirk - la recensione

Sull'immensa spiaggia di Dunkerque (Dunkirk in inglese), piccola località sulle coste francesi, circa quattrocentomila soldati sono in attesa di essere riportati in Inghilterra, mentre il fuoco nemico continua a bersagliarli di bombe e i tedeschi sono dietro l'angolo.
Christopher Nolan entra di prepotenza nel filone del war movie andando a prendere uno di quegli eventi che sono impressi nella memoria di tutti: il salvataggio di Dunkirk, in cui furono i cittadini britannici in prima linea ad affiancare la marina e l'aviazione ormai sconfitte, e a permettere a più di trecentomila soldati (fra francesi e inglesi) di essere portati in salvo, diviene per Nolan simbolo delle atrocità della guerra e allo stesso tempo di rinascita.
Con una trama universalmente conosciuta e una sceneggiatura ridotta al minimo, è l'aspetto visivo a prendere il sopravvento, in una sorta di war movie muto, totalmente immersivo, un'esperienza emotiva e sensoriale unica con un cast stellare che rimane però quasi in secondo pieno di fronte all'immensità del mare, del cielo, dell'incredibile e terrificante incertezza delle bombe che cadono sulla spiaggia.
Siamo di fronte a un film incredibile, la summa del genio registico di un autore come Nolan che prende una storia qualsiasi e la riplasma a sua immagine, dimostrando a tutti (se mai ce ne fosse bisogno) che è un regista straordinario, allo stesso tempo autore e regista di blockbuster. Chissà se l'Academy si accorga di lui, questa volta. Non sarebbe sorprendente viste le premesse.
Un plauso inoltre va alla straordinaria colonna sonora di Hans Zimmer, angosciante e incalzante, un ticchettio di sottofondo che prende allo stomaco e accompagna magnificamente le immagini.
Non c'è molto altro da dire su un film che va vissuto immergendosi nel buio della sala cinematografica (e possibilmente in IMAX), per cui ogni parola appare superflua rispetto all'esperienza della visione.
Un'ora e mezza di totale immersione sensoriale, per quello che probabilmente è il capolavoro di Nolan.