Ancora Italia nella nona giornata di festival. Presentato Fuori Concorso il nuovo film di Silvio Soldini, Il Colore Nascosto delle Cose.
Il film racconta la storia dell'incontro tra Emma (Valeria Golino), una fisioterapista non vendente, fresca di separazione, e Teo (Adriano Giannini), un pubblicitario che inizia a frequentare la donna solo per una scommessa con un amico.
"La vista ci porta a giudicare e ci fa restare in superficie, specie quando s'incontra una persona per la prima volta, decidiamo subito tante cose sul suo conto da uno sguardo", ha dichiarato Silvio Soldini, "Diverso invece conoscere qualcuno se non lo vedi. Da una stretta di mano, dall'energia che arriva da lui, passa una conoscenza più profonda e sottile. Per la prima volta Teo non si sente giudicato e l'ascolto che Emma gli dedica è diverso da quello di tutti gli altri, specie in un mondo fatto di apparenza come quello in cui gravita".
Per il ruolo della non vedente Emma, Valeria Golino ha dovuto prepararsi e allenarsi. "Silvio mi ha messo in contatto con non vedenti e operatori del settore e tutti si sono prodigati con allegria per aiutarmi nella preparazione tecnica, sensoriale e psicologica", ha raccontato l'attrice, "Ho fatto tanti esercizi bendata camminando per la città col bastone, che non è facile da usare. Mi hanno mostrato come si muovono in casa, come cucinano, come rispondono al telefono e usano il cellulare. Ma forse la cosa più complicata è stato non potere usare gli occhi per recitare, non guardare mai Adriano". Un particolare che ha complicato il lavoro anche ad Adriano Giannini. "Trovarsi a non essere guardato dal partner è qualcosa di nuovo e strano", ha detto l'attore, che del suo personaggio poi ha detto: "Teo è un uomo in fuga dalle donne, dalle responsabilità, da se stesso, dal suo passato. L'incontro con Emma e l'avvicinamento sensoriale, la verità di cui Emma è portatrice, lo costringono a guardarsi e mettersi in discussione".
Il film sarà nelle sale da domani, 8 settembre.
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In Concorso invece è il giorno del regista Abdellatif Kechiche e del suo nuovo film Mektoub, My Love: canto uno.
Dopo La Vita di Adele (Palma d'oro a Cannes 2013), il regista franco-tunisino torna a una storia di formazione. Il film, ambientato nel 1994, racconta la storia del giovane Amin, che lascia gli studi di medicina per fare lo sceneggiatore e il fotografo. Amin vive a Parigi ma per l'estate torna nel suo paese, nel sud della Francia, dove trascorre le giornate tra spiaggia, mare, bevute e discoteca, in compagnia del cugino Tony, un grande seduttore, e l'amica Ophélie, promessa sposa a un militare che però non ama. Amin partecipa ma assiste a quella vita quasi da spettatore, più timido e incerto rispetto ai suoi coetanei, in attesa che il destino, "mektoub", gli mostri la strada.
Un film dalla trama piuttosto semplice ma con una durata di tre ore che lo rende complicato da affrontare.
"Il film è un inno alla vita, al corpo, al nutrimento questo film", ha dichiarato il regista, "'Mektoub' significa destino in arabo. E quest'opera, nel suo insieme, pone il significato del destino perché l'amore si associa al destino, al fato".
Il regista è stato accusato di essere troppo maschilista, per il modo insistito con cui riprende le donne (particolare che era stato sottolineato anche con La Vita di Adele) e per aver rappresentato le donne solo come oggetti sessuali. Ma il regista ha respinto in modo deciso le accuse: "Ho mostrato le donne come forti, potenti e libere".
Il film ha diviso la critica, alla fine della proiezione c'è stato qualche applauso ma in generale è stato accolto con un po' di freddezza e incomprensione, nel senso che molti non hanno proprio capito il senso di questa lunga opera.
giovedì 7 settembre 2017
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