venerdì 31 marzo 2017

17 Anni (e come uscine vivi) - la recensione

Può un genere sviscerato e abusato come pochi altri regalare ancora piacevoli sorprese? Sì, può, e questo film lo dimostra.

Nadine è un'adolescente diversa dagli altri, è in conflitto con tutti, incapace di adattarsi, non socializza, è aggressiva, litiga spesso con la madre e prova odio/invidia per il fratello più grande. L'unica parentesi felice è la sua amica del cuore, Krista, con cui condivide tutto fin da quando erano bambine. Amicizia che però si rompe quando Krista si mette con suo fratello, cosa che Nadine non può accettare. Cade così il suo unico appiglio e Nadine si ritrova sola e da sola inizia a commettere una serie di errori incredibili che renderanno la sua già incasinata vita di adolescente ancora più complessa.

Leggendo la trama 17 Anni (e come uscirne vivi) potrebbe sembrare un altro classico teen movie, ma il film di Kelly Fremon Craig è molto di più, o meglio è una teen comedy ma in un modo tutto suo. Nel film si possono ritrovare tutte le classiche situazioni dei teen movie e dei coming of age movie, dai film di John Hughes fino a Napoleon Dynamite (citato esplicitamente nel film), a fare la differenza in questo caso però sono i particolari, il tono, il taglio dei personaggi, la sincerità della storia, che lo rendono un prodotto piacevole e sorprendente. A fare la differenza è soprattutto il personaggio principale: Nadine è la classica adolescente problematica ma nel suo personaggio vengono evidenziati quegli aspetti che nei teen movie (soprattutto quelli più moderni) vengono attenuati o eliminati per renderlo più simpatico. Nadine è goffa, sfigata ma anche arrogante, sboccata e con un umorismo spesso fuori luogo (che ricorda Daria), aggressiva senza motivo con chi le vuole bene, egocentrica, insicura ma capace di fare stupidaggini epiche, insomma è un po' stronza, ma di quel tipo a cui alla fine si vuole bene. La regista non nasconde i lati negativi della sua protagonista ma li mette in primo piano rendendo il personaggio molto umano, e allo stesso modo non cerca per forza di risolvere con un happy ending gli errori di Nadine, perché alla base dell'adolescenza ci sono soprattutto gli errori e il film li racconta nel modo migliore.

A rendere Nadine ancora più umana e reale ci pensa Hailee Steinfeld, perfettamente calata nella parte... dopotutto è un'età che non ha lasciato da molto. L'attrice riesce a tirare fuori goffaggine, antipatia e delicatezza, e a dosarle in modo perfetto. La sua performance, fresca e divertente, dà quel qualcosa in più al personaggio grazie al quale il film riesce ad uscire dai soliti standard del genere, e ci ricorda anche la bravura e il talento di una giovane attrice che avevamo un po' perso di vista dopo la straordinaria prova ne Il Grinta dei Coen (con cui prese una nomination gli Oscar). Da sottolineare anche la bella prova di un sempre bravo Woody Harrelson nel ruolo del professore/confessore di Nadine. Anche in questo caso si tratta di un classico personaggio da teen movie ma che con il sarcasmo e i tempi lenti e misurati di Harrelson diventa qualcosa di nuovo.

The Edge of Seventeen è una bella sorpresa, non regala niente di nuovo ma racconta una storia di adolescenti in modo sincero, fresco, dinamico, divertente, mai banale. Forse il miglior film adolescenziale da diversi anni a questa parte.

martedì 28 marzo 2017

David di Donatello 2017 - trionfa La Pazza Gioia di Virzì!

Poco fa si è conclusa la cerimonia di premiazione dei David di Donatello 2017, che quest'anno presentava la novità della migliore sceneggiatura adattata.

Trionfa Paolo Virzì con il suo film La Pazza Gioia, che si porta a casa cinque David, tra cui quello per il miglior film, regia, e attrice protagonista a Valeria Bruni Tedeschi (splendido il suo discorso!).

Premiati anche Stefano Accorsi, migliore attore per Veloce come il VentoAntonia Truppo, come migliore attrice non protagonista per Indivisibili, e Valerio Mastandrea, migliore attore non protagonista per FioreRoberto Benigni ha ricevuto il David alla carriera, mentre i film stranieri premiati sono stati Animali Notturni di Tom Ford e Io, Daniel Blake di Ken Loach (miglior film dell'UE).

Ecco tutti i vincitori.

MIGLIOR FILM
La pazza gioia, di Paolo Virzì

MIGLIORE REGISTA
Paolo Virzì, per La pazza gioia

MIGLIORE REGISTA ESORDIENTE
Marco Danieli, per La ragazza del mondo

MIGLIORE ATTRICE PROTAGONISTA
Valeria Bruni Tedeschi (La pazza gioia)

MIGLIORE ATTORE PROTAGONISTA
Stefano Accorsi (Veloce come il vento)

MIGLIORE ATTRICE NON PROTAGONISTA
Antonia Truppo, per Indivisibili

MIGLIOR ATTORE NON PROTAGONISTA
Valerio Mastandrea (Fiore)

MIGLIORE SCENEGGIATURA ORIGINALE
Nicola Guaglianone, Barbara Petronio e Edoardo De Angelis per Indivisibili

MIGLIORE SCENEGGIATURA ADATTATA 
Gianfranco Cabiddu, Ugo Chiti, Salvatore de Mola per La stoffa dei sogni 

MIGLIORE PRODUTTORE
Attilio De Razza, Pierpaolo Verga, per Indivisibili 

MIGLIOR AUTORE DELLA FOTOGRAFIA
Michele D'Attanasio, per Veloce come il vento

MIGLIORE MUSICISTA
Enzo Avitabile, per Indivisibili

MIGLIOR CANZONE ORIGINALE
"ABBI PIETÀ DI NOI", per Indivisibili, musica, testi di Enzo Avitabile, interpretata da Enzo Avitabile, Angela e Marianna Fontana, per Indivisibili

MIGLIORE SCENOGRAFO
Tonino Zero (La pazza gioia)

MIGLIORE COSTUMISTA
Massimo Cantini Parrini, per Indivisibili

MIGLIOR TRUCCATORE
Luca Mazzoccoli, per Veloce come il vento

MIGLIOR ACCONCIATORE
Daniela Tartari, per La pazza gioia

MIGLIORE MONTATORE
Gianni Vezzosi, per Veloce come il vento

MIGLIOR SUONO
Presa diretta: Angelo Bonanni – Microfonista: Diego De Santis – Montaggio e Creazione suoni: Mirko PERRI – Mix: Michele Mazzucco, per Veloce come il vento 

MIGLIORI EFFETTI DIGITALI
Artea Film & Rain Rebel Alliance International Network, per Veloce come il vento

MIGLIOR DOCUMENTARIO
Crazy for football, di Volfango De Biasi

MIGLIOR FILM DELL'UNIONE EUROPEA
Io, Daniel Blake, di Ken Loach

MIGLIOR FILM STRANIERO
Animali notturni, di Tom Ford

MIGLIOR CORTOMETRAGGIO
A casa mia, di Mario Piredda

DAVID GIOVANI
Pierfrancesco Diliberto, per In guerra per amore

sabato 18 marzo 2017

La Bella e la Bestia - la recensione

Nella valanga di trasposizioni in live action di Classici Disney a cui stiamo assistendo, era inevitabile che si arrivasse a tirar fuori quello che è forse il più amato, il primo film d'animazione a ricevere una candidatura anche come miglior film, una fiaba che ha saputo conquistare il cuore di grandi e piccoli grazie a personaggi indimenticabili e musiche travolgenti.
I precedenti live action sono stati parecchio altalenanti, ma non sono mancate piacevoli sorprese come la Cenerentola di Branagh e soprattutto Il Libro della Giungla, uno dei film migliori del 2016 per come aveva saputo unire il classico Disney con le atmosfere e i richiami dei romanzi originali.

Il tono in questo caso è totalmente diverso e si intuisce già dalla scelta di Bill Condon alla regia, ottimo mestierante ma sicuramente non un autore dall'impronta subito riconoscibile.
Si è puntato tutto sul cast, con un nome come quello di Emma Watson a fare da traino e intorno a lei quanto di meglio il cinema britannico può offrire, e la cosa ha funzionato. Se la Watson, pur con una certa macchinosità espressiva non sempre convincente, riesce a dare freschezza alla sua Belle e a richiamare pubblico in sala, Kevin Kline è un fantastico Maurice e Dan Stevens fa un ottimo lavoro e dona profondità e malinconia agli occhi della Bestia. Il cast di contorno è eccellente, da Ewan McGregor a Ian McKellen fino a Emma Thompson, anche se purtroppo il doppiaggio italiano fa perdere le loro interpretazioni vocali. A sorprendere davvero sono Luke Evans, nel ruolo di un meraviglioso Gaston, e Josh Gad, in quello di Le Tont. I due hanno una chimica straordinaria e una grandissima presenza scenica, in particolare Evans si prende letteralmente la scena a ogni sua apparizione.

Il film ricalca praticamente con fedeltà assoluta il classico d'animazione, riproducendone ambientazione, musiche e persino inquadrature, inserendo qua e là piccole differenze che riescono a farsi apprezzare per il tentativo di approfondimento dei personaggi secondari.

La prima mezz'ora non convince appieno a risulta fin troppo macchinosa nel voler riproporre esattamente quanto già si era visto nel 1991, anche perché la Watson non riesce a emozionare come aveva fatto la sua controparte animata. Ma dalla Canzone di Gaston in poi il ritmo aumenta fino a esplodere totalmente quando il punto clou della prima metà di film arriva: Stia con noi, iconico pezzo cantato dagli oggetti animati del castello, è un tripudio di musica, coreografia e soprattutto scenografia da togliere il fiato. È il castello, infatti, la vera star del film: cupo, decadente, ma pieno di vita, con oggetti animati in CGI perfetti e dalla personalità irresistibile. Ogni ambiente sembra uscire direttamente dalla versione animata, ma è ancora più bello e lo stesso vale per i costumi seicenteschi, che creano un'aura magica fin dal prologo. Le musiche di Alan Menken fanno il resto, stimolando la nostalgia nello spettatore più anziano, a cominciare dal tema principale richiamato più e più volte.

Operazione di marketing e film nostalgia, La Bella e la Bestia va visto con la mente sgombra e il cuore aperto, senza troppe pretese, senza ragionare troppo. Non sarà mai come l'originale Classico Disney, né vuole esserlo, ma è l'esempio perfetto di come un classico Disney possa prendere vita davanti ai nostri occhi.

venerdì 17 marzo 2017

John Wick 2 - la recensione

Baba Jaga è una figura della mitologia dell'Est Europa, viene descritta come una strega che viaggia per le foreste a cancellare i sentieri, vive in una casa che poggia su zampe di gallina ed è temuta da tutti, grandi e piccini, per il suo comportamento oscuro e vendicativo.

John Wick è questo: un killer così risoluto e preciso da guadagnarsi un nome fiabesco ed in grado di costruirsi attorno un'aura quasi magica, per questo, quando nel primo film viene scatenata la sua ira, vengono spostati mari e monti, per cercare di arginarla, con scarsi risultati; lui è l'uomo che viene chiamato per i lavori impossibili, che ha cercato di uscire, è il diavolo che "ha assaggiato la vita dall'altra parte, ma ora gli è stata tolta, di nuovo", una descrizione che lascia pochi dubbi su cosa bisogna aspettarsi.

Squadra che vince non si cambia e così, dopo l'immenso successo del primo capitolo nel 2014, Chad Stahelski (regista) e Derek Kolstad (sceneggiatore e creatore del personaggio) si ripresentano con un prodotto fresco ed innovativo, che fa tesoro di tutto ciò che è andato bene nel primo capitolo, in particolare le scene d'azione coreografate alla perfezione e credibili, la fotografia, che mescola tonalità scure a colori appariscenti e, soprattutto, quel sottobosco culturale della criminalità organizzata.
E' proprio questo il punto di forza principale di questo film, trasporta lo spettatore in una dimensione più surreale dove quello dell'assassino è un mestiere con punti d'appoggio internazionali, organizzazioni, botteghe, artigiani e codici d'onore.
E' proprio il codice d'onore a turbare il riposo Baba Jaga questa volta, con un amico di vecchia data pronto a riscuotere un debito, ma, come è prevedibile in un mondo spietato come quello degli assassini, niente è destinato a rimanere stabile nella sua condizione e, in questo caso, da un normale lavoro, scatterà un corsa frenetica tra Roma e New York, dai ritmi serratissimi, con una lunga scia di cadaveri ed un concentrato di azione che conferma Keanu Reeves come eroe action moderno, elegante e dalla grandissima forza di volontà.

Catapultata nelle ambientazioni evocative della nostra Roma, la società degli assassini non perde smalto, facendo esattamente quello che ci si aspetta da un sequel di un film d'azione: aumenta il ritmo, migliora le "mazzate" con sequenze molto prolungate, ed è abbastanza da maturo da ricavare del tempo per non prendersi eccessivamente sul serio, creando un groviglio claustrofobico di malavita, senza disdegnare battute e situazioni molto divertenti.
Oltre al cast solido intravisto nel primo film, tra cui Ian McShane e Lance Reddick, va sottolineata la presenza di Riccardo Scamarcio e Claudia Gerini che, seppur penalizzati dalla qualità dell'auto-doppiaggio, non sfigurano. Se non bastasse, Stahelski ci regala una piccola reunion "scuola-Matrix" tra Keanu Reeves e Laurence "Morpheus" Fishurne.

Nonostante l'aria da bassa produzione che aleggia sulla parte romana del film, l'entusiasmo del cast è palpabile, riuscendo a confezionare un action movie vecchio stile che fa il suo sporco lavoro.

giovedì 16 marzo 2017

Loving - la recensione

Richard Loving è un meccanico, un uomo molto chiuso, di poche parole e timido quasi fino all'eccesso. E' innamorato di Mildred e le chiede quindi di sposarlo, portandola a vivere in una casa costruita da lui stesso, in cui poter avere la famiglia che avevano sempre sognato. Ma Mildred è nera e in Virginia nel 1958 i matrimoni interrazziali sono un reato. I Loving sono perciò costretti ad accettare un esilio di 25 anni contro lo stato ma, grazie all'aiuto della Lega per i Diritti Civili, il loro caso arriverà fino alla Corte Suprema.

Il film, per la regia di Jeff Nichols, è stato presentato in anteprima al Festival di Cannes 2016 ed è arrivato persino agli Oscar con la nomination di Ruth Negga come miglior attrice protagonista, e non è difficile intravedere in questo gli strascichi delle polemiche dello scorso anno. Il carico di aspettative derivanti dalla presenza della pellicola fra i nominati fa molto male al film, che si trasforma da prodotto carino e dignitoso, di quelli che si possono guardare sul divano il lunedì sera senza troppo impegno, a un melò sui diritti umani che non riesce mai a decollare veramente, impantanato in una serie di forzature di sceneggiatura, dei "vorrei ma non ne ho il coraggio" in cui le vittime sono gli attori. Joel Edgerton, nel ruolo di Richard, ha un grande impatto inizialmente, ma presto la sua performance fin troppo tirata viene a noia e smette di convincere. Meglio fa Ruth Negga, anche se la nomination appare decisamente esagerata.

In alcuni momenti sembra che Nichols voglia ispirarsi a qualcosa di più alto, film come Amistad o Il Colore Viola, ma il problema fondamentale è che non si discosta mai da una narrazione piatta e melodrammatica, senza operare mai un confronto con la situazione attuale, pur richiamata molte volte: basti pensare alle principali accuse mosse contro i matrimoni misti, visti come sbagliati agli occhi di Dio e un problema per i bambini, incredibilmente simili a quanto in questi anni si dice delle unioni omosessuali, difficile che l'enfasi posta su queste questioni sia casuale, ma purtroppo non si va mai a fondo nel confronto.

Non è facile parlare di diritti civili senza scadere nella retorica, Jeff Nichols ci ha provato ma, non essendo Spielberg, più che essenziale il suo film ne esce fuori piatto. 

domenica 12 marzo 2017

Kong: Skull Island - la recensione

Torna al cinema uno dei mostri più famosi e amati di sempre: King Kong. Film che mette un tassello importantissimo per il futuro del MonsterVerse della Legendary.

E' il 1973, la guerra in Vietnam è ormai agli sgoccioli. Un gruppo di militari, comandati dal tenente colonnello Preston Packard (Samuel L. Jackson), viene scelto per accompagnare alcuni scienziati e un agente del Governo, Bill Randa (John Goodman), su un'isola misteriosa e ancora inesplorata che si trova al centro di un sistema temporalesco costante. Alla spedizione si unisce anche la fotografa Mason Weaver (Brie Larson) e James Conrad (Tom Hiddleston), ex capitano dell'aviazione britannica.
Arrivati sull'Isola del Teschio, i militari buttano cariche sismiche, attirando l'attenzione di una creatura mostruosa, una scimmia enorme e molto arrabbiata: Kong, il padrone dell'isola. L'animale reagisce, distrugge alcuni elicotteri, li fa schiantare dividendo il gruppo. con Packard che la prende sul personale e va in cerca di vendetta.
Tra creature mostruose, pericolosi "Strisciateschi" emersi dal sottosuolo, i superstiti dovranno cercare di attraversare l'Isola per cercare salvezza.

Kong: Skull Island è completamente diverso da tutti i film di King Kong prodotti fino ad oggi. La storia di base è sempre quella, il viaggio nell'Isola dove vive una scimmia enorme (e qui è davvero enorme!), ma il regista Jordan Vogt-Roberts mantiene solo la struttura di base, cambiando invece tutto il resto. Niente più anni '30, ci si sposta nei confusi anni '70, niente più registi megalomani ma spedizioni scientifiche e militari, niente più Ann Darrow che fa innamorare Kong, niente indigeni che celebrano riti, quindi è quasi inutile andare a cercare riferimenti con l'originale del 1933 o con quello di Peter Jackson.
Jordan Vogt-Roberts azzarda molto cambiando una storia così mitica ma l'audacia lo premia, il film è divertente, fresco, rumoroso, spettacolare. Nonostante l'alto budget, Vogt-Roberts mantiene in tutto e per tutto la sua anima da regista di b-movie, creando quello che potremmo definire un "b-b-movie", un blockbuster b-movie.
Se si guarda alla sceneggiatura, il film parte e finisce bene, mentre soffre in alcuni punti della parte centrale, e i personaggi umani sono poco approfonditi. Visivamente colpisce, particolare l'uso dei colori e i contrasti, a volte sembra quasi fumettistico, le scene d'azione sono spettacolari e coinvolgenti. Evidente la vena citazionista che percorre tutto il film, soprattutto verso Apocalypse Now, ma ci sono anche echi alla Jurassic Park. Il regista volutamente non si prende troppo sul serio - e questo è un bene! - e non appesantisce il film con temi esistenziali o autoriali. Ottima la colonna sonora, con tanto rock anni '70.

Il cast è buono, ognuno fa il loro in modo adeguato ed è giusto nella parte, a spiccare un po' più degli altri sono John C. ReillyShea Whigham. Il vero protagonista del film è però Kong, grande, molto più grande dei suoi "fratelli" degli altri film, possente, tanto arrabbiato, e molto malinconico, in un certo senso molto umano, più delle precedenti versioni: lotta per difendere l'isola, lotta per vendicare la propria famiglia sterminata dai mostruosi esseri del sottosuolo, si innamora di Brie Larson ma non come nei film precedenti, in questa versione sembra quasi consapevole dell'impossibilità di quel sentimento.

Kong: Skull Island è un pop corn movie, un b-movie, un blockbuster, è divertente (divertirsi non è un reato, anzi), "caciarone", è puro e semplice intrattenimento, e ripropone in modo nuovo e diverso un personaggio davvero grandioso come King Kong.

mercoledì 8 marzo 2017

Festa della Donna - 5 film (+1) dedicati alle donne

Oggi, 8 marzo, è la Festa della Donna, una giornata che non deve essere solo mimose e cioccolatini ma un giorno per celebrare la Donna e anche un giorno per le donne di far sentire la propria voce e chiedere parità di diritti. Purtroppo nel 2017 c'è ancora bisogno di questo.

Il Cinema ha raccontato molte donne coraggiose, forti, figure importanti, anche se meno di quante si pensi, i biopic dedicati a personaggi femminili che hanno lasciato un segno nella Storia infatti sono ancora troppo pochi, e di donne da raccontare ce ne sono davvero tante.

Ecco cinque film (più uno) in cui al centro della storia c'è un personaggio femminile forte, reale o immaginario che sia. Viva le Donne!

Frida

Biopic dedicato alla pittrice messicana Frida Kahlo, donna, artista, anticonformista, rivoluzionaria, attivista politica, e oggi icona mondiale del femminismo. Protagonista del film, perfettamente calata nella parte, anche fisicamente, una bravissima Salma Hayek, nella migliore interpretazione della sua carriera. Vincitore di due Oscar, miglior trucco e colonna sonora.

Agorà

La storia romanzata della matematica, astronoma, scienziata e filosofa greca Ipazia, considerata oggi una martire della libertà di espressione. Ipazia, molti secoli prima di Copernico e Galileo, immaginò la teoria per cui è la Terra a girare intorno al Sole, ipotizzando anche le orbite ellittiche. Il film riprende soprattutto la leggenda sulla donna ma nessuno saprà mai se davvero Ipazia avrebbe finito per sviluppare realmente questa teoria visto che venne uccisa in modo piuttosto violento da una folla di cristiani. Protagonista del film una magnetica Rachel Weisz.

Suffragette

Londra, 1912, i diritti delle donne erano praticamente inesistenti ma nella pancia del paese stava nascendo il movimento suffragista femminile. Nel film assistiamo al coinvolgimento sempre più attivo della lavandaia Maud, inizialmente estranea al movimento, poi sempre più presa e convinta delle proteste per la richiesta del diritto al voto per le donne. Una ricostruzione convincente di un periodo storico importante, con un ottimo cast femminile: Carey Mulligan, Helena Bonham Carter, Anne-Marie Duff, Romola Garai, e Meryl Streep.

Elizabeth

Ritratto della Regina Elisabetta I d'Inghilterra, il film del 1998 racconta l'ascesa al potere di Elisabetta, i tentativi di ristabilire l'ordine in un paese disastrato tra povertà e conflitti religiosi. Sopravvissuta a diverse cospirazioni e attentati, a cui lei reagì in modo duro e deciso (cioè con condanne a morte). Venne chiamata la "Regina Vergine", rifiutò di sposarsi e dedicò la propria vita al paese. Protagonista del film una meravigliosa Cate Blanchett. Il film vinse l'Oscar per il miglior trucco (1999).
Nel 2007 il sequel, Elizabeth: The Golden Age. Speriamo di vedere anche un terzo capitolo.

Via col Vento

Film mitico, dieci Oscar meritatamente conquistati, e soprattutto il ritratto di una donna straordinaria come Rossella O'Hara. Frivola e viziata, molto egocentrica e spesso superficiale, indecisa in amore (nessuno riuscirà mai a capire perché vuole Ashley!) e molto materialista in fatto di matrimoni, ma quando il contesto si fa duro e difficile non esita a rimboccarsi le maniche per trovare un modo per uscirne fuori o ad aiutare gli altri, anche se controvoglia, contro tutto e tutti, e anche contro le malelingue. Una donna forte e dai mille difetti, una eroina atipica, magistralmente interpretata da una straordinaria Vivien Leigh.

Bonus film:

Gravity

Sci-fi del 2013, al centro della storia la dottoressa Ryan Stone, interpretata da un'ottima Sandra Bullock, che a causa di un incidente allo Space Shuttle, travolto da alcuni detriti che lo distruggono, si ritrova sola a fluttuare nello spazio col rischio di trovarsi alla deriva. Affidandosi alla tenacia, alla forza di volontà, e alla sua intelligenza, la dottoressa Stone dovrà sopravvivere e soprattutto trovare un modo per tornare a casa. Vincitore di sette premi Oscar (2014), un film davvero emozionante.

La luce sugli oceani - la recensione

Tom (Michael Fassbender) è un reduce della prima guerra mondiale. Per sfuggire ai fantasmi che ancora lo perseguitano, sceglie un esilio volontario come guardiano di un Faro isolato dal mondo, proprio al limite fra l'Oceano Indiano e l'Oceano Australe. Poco prima di lasciare la terraferma per l'isola su cui passerà i successivi tre anni, conosce e si innamora di Isabel (Alicia Vikander), e dopo poco tempo la sposa, portandola con sé al faro. La loro vita tranquilla, però, è sconvolta dalla tragedia della perdita del loro figlioletto non ancora nato, trasportando i due coniugi in una spirale di ossessione, segreti e bugie.

Dopo il bellissimo Blue Valentine, Derek Cianfrance torna a parlare di matrimonio e vita coniugale con la trasposizione del romanzo omonimo di M.L Stedman, rimanendo piuttosto fedele al testo di partenza e affidandosi a un duo di protagonisti di talento, appoggiati anche da una coprotagonista, Rachel Weisz, che sicuramente non sfigura. 
Il film risulta diviso quasi nettamente in due parti. La prima metà è senza dubbio quella che funziona meglio, si è affascinati e avvinti dalle atmosfere sognanti e romantiche del Faro, dalla vita quotidiana dei protagonisti, dalle loro gioie e dalle loro tragedie, aiutati anche da una fotografia davvero suggestiva che va a valorizzare il paesaggio naturale e gli attori stessi.

La seconda metà, invece, assume toni molto diversi, un vero e proprio melodramma, ampliando sia locations che personaggi. Questo si traduce in una marcata velocizzazione del ritmo, ma anche in una più evidente discontinuità di scrittura: il film, infatti, spesso si perde e risulta a volte affrettato a volte eccessivamente lento e non sempre si riesce a tenere alta la componente drammatica, privilegiando forse troppo la forma sulla sostanza.
Comunque le oltre due ore scorrono piacevolmente e il risultato è più che buono, soprattutto grazie alla bravura dei tre interpreti principali. Si sarebbe potuto fare molto meglio, questo è certo, ma non ci si può lamentare.

martedì 7 marzo 2017

Hidden Figures - Il Diritto di Contare - la recensione

Ci sono storie che sembrano nate apposta per essere raccontate in un film, è questo il caso della storia di Katherine G. Johnson, genio della matematica, Dorothy Vaughn, supervisore non ufficiale di un team di "computer", e Mary Jackson, aspirante ingegnere. Nere, donne, nella Virginia segregazionista degli anni '60.

Tre menti brillanti che, nonostante il razzismo perché nere e la discriminazione perché donne, hanno avuto un ruolo essenziale nella NASA, in un periodo in cui la competizione con la Russia per la "conquista dello spazio" era al massimo livello, e il programma spaziale americano era molto indietro rispetto a quello russo. In particolare il ruolo di Katherine G. Johnson è stato fondamentale, senza il suo genio matematico John Glenn, primo astronauta americano ad andare nello spazio, sarebbe rimasto a terra e, più avanti nel tempo, nessuna bandiera sarebbe stata piantata sulla superficie della Luna.

Il regista Theodore Melfi sceglie la strada più semplice, cioè raccontare senza interferire, confezionando un cosiddetto "feel-good movie", un film positivo in cui tutto finisce bene. Probabilmente quella del regista è stata la scelta giusta, sicuramente la più semplice per raccontare una storia incredibile in cui alla fine tutto è realmente finito bene (a volte succede!).
Hidden Figures avrebbe potuto affondare di più le mani nella tensione che si respirava negli USA negli anni '60, nei diritti civili, nel razzismo, oppure concentrarsi di più sulla NASA, sulla competizione con la Russia, sul sogno di arrivare nello spazio, o semplicemente scavare più in profondità nei tre personaggi principali, ma non lo fa, il film resta sempre in superficie, a galleggiare sul semplice racconto degli eventi. E' un limite ma è anche un aspetto voluto. Lo scopo del film infatti è solo quello di raccontare queste tre donne e far conoscere una incredibile storia che meritava di essere raccontata, il film non è e non vuole essere niente di più di questo.

Buone le prove delle tre protagoniste del film, Taraji P. Henson (Katherine), Octavia Spencer (Dorothy), e la cantante Janelle Monáe (Mary). Buono anche il cast di supporto, con Kirsten Dunst, Jim Parsons, e un Kevin Costner che si trova sempre molto a suo agio negli anni '60.

Il film ha ottenuto tre nomination agli Oscar 2017, tra cui miglior film, e questa è una cosa abbastanza incomprensibile che probabilmente fa passare il film per qualcosa che non è. Hidden Figures - Il Diritto di Contare è una commedia piacevole, un film "buono" (nel senso di buoni sentimenti), che parla allo spettatore in un modo semplice e universale, che non cerca di essere più di quello che è. E' uno di quei film da vedere per passare una serata sul divano in assoluto relax e senza impegno.

lunedì 6 marzo 2017

Logan- The Wolverine - La Recensione


"Everyone I know goes away, In the end, And you could have it all, My empire of dirt."
La profonda voce di Johnny Cash canta così in Hurt, canzone che accompagna il trailer di Logan e, ad andarsene via, questa volta, non sono solo gli altri, ma anche il NOSTRO Logan, con l'ultima apparizione di Hugh Jackman nei panni di James Howlett.
Non deve essere facile togliersi un abito che hai indossato per 17 anni e puoi farlo in più modi: l'attore australiano sceglie di farlo regalandoci quella che è una performance maiuscola nel film che più ha rappresentato Wolverine in tutti questi anni: un uomo stanco, fatto a pezzi da tutte le sfide affrontate, i compagni persi per strada, le ferite e gli acciacchi, rapporti rafforzati e rapporti spezzati.
In Logan – The Wolverine abbiamo l'occasione di gustarci due personaggi messi a nudo ed interpretati con libertà, Jackman si scrolla di dosso la tensione e le pressioni e dà, finalmente, l'impressione di essersi divertito a vestire questi panni e, soprattutto, viene concessa a Patrick Stewart la possibilità di approfondire un personaggio come Charles Xavier che, nelle sue scorse apparizioni, è stato sempre un po' marginale, conferendogli un peso emotivo importante ed una profondità degna della mente del Professor X.

E' il 2029 ed il tempo è passato per tutti: è passato per il mondo, il cui progresso tecnologico è ampiamente avviato e la tecnologia è in grado di sostituire l'uomo in molti dei compiti più comuni, è passato per il Professor Xavier, ormai prossimo ai 90 anni, ma comunque in forma, vista l'età, ed è passato per James "Logan" Howlett, che, nonostante l'aiuto del fattore rigenerante, comincia ad accusare i segni dello scorrere del tempo sul corpo, come dimostrano i capelli ingrigiti e la tempra ammaccata. Logan si guadagna da vivere come uomo onesto, per prendersi cura delle persone che gli stanno accanto, ma l'incontro con una donna in cerca di aiuto arriverà a spezzare questa "routine" che Wolverine si è creato attorno.


Non è un film perfetto, soffre di alcuni giri a vuoto nella parte centrale, ma non sbaglia quando si concentra sui punti focali della narrazione: i rapporti umani.
Wolverine è un mutante ed un supereroe, ma è, prima di tutto, un uomo ed è questo il punto sul quale James Mangold si concentra e lo fa con gran mestiere, mostrando un lato vulnerabile come un nervo scoperto del carattere di un uomo che siamo abituati a vedere sempre pronto all'attacco con gli artigli sguainati.

Logan non è un film che ridefinirà il cinema e paragonarlo a storie del calibro de "La Strada" o "Un Mondo Perfetto" è fuori luogo, ma è un ottimo cinecomic, condito da una sceneggiatura asciutta e belle scene d'azione molto ben coreografate ed il miglior Wolverine mai apparso sul grande schermo.