venerdì 17 marzo 2017

John Wick 2 - la recensione

Baba Jaga è una figura della mitologia dell'Est Europa, viene descritta come una strega che viaggia per le foreste a cancellare i sentieri, vive in una casa che poggia su zampe di gallina ed è temuta da tutti, grandi e piccini, per il suo comportamento oscuro e vendicativo.

John Wick è questo: un killer così risoluto e preciso da guadagnarsi un nome fiabesco ed in grado di costruirsi attorno un'aura quasi magica, per questo, quando nel primo film viene scatenata la sua ira, vengono spostati mari e monti, per cercare di arginarla, con scarsi risultati; lui è l'uomo che viene chiamato per i lavori impossibili, che ha cercato di uscire, è il diavolo che "ha assaggiato la vita dall'altra parte, ma ora gli è stata tolta, di nuovo", una descrizione che lascia pochi dubbi su cosa bisogna aspettarsi.

Squadra che vince non si cambia e così, dopo l'immenso successo del primo capitolo nel 2014, Chad Stahelski (regista) e Derek Kolstad (sceneggiatore e creatore del personaggio) si ripresentano con un prodotto fresco ed innovativo, che fa tesoro di tutto ciò che è andato bene nel primo capitolo, in particolare le scene d'azione coreografate alla perfezione e credibili, la fotografia, che mescola tonalità scure a colori appariscenti e, soprattutto, quel sottobosco culturale della criminalità organizzata.
E' proprio questo il punto di forza principale di questo film, trasporta lo spettatore in una dimensione più surreale dove quello dell'assassino è un mestiere con punti d'appoggio internazionali, organizzazioni, botteghe, artigiani e codici d'onore.
E' proprio il codice d'onore a turbare il riposo Baba Jaga questa volta, con un amico di vecchia data pronto a riscuotere un debito, ma, come è prevedibile in un mondo spietato come quello degli assassini, niente è destinato a rimanere stabile nella sua condizione e, in questo caso, da un normale lavoro, scatterà un corsa frenetica tra Roma e New York, dai ritmi serratissimi, con una lunga scia di cadaveri ed un concentrato di azione che conferma Keanu Reeves come eroe action moderno, elegante e dalla grandissima forza di volontà.

Catapultata nelle ambientazioni evocative della nostra Roma, la società degli assassini non perde smalto, facendo esattamente quello che ci si aspetta da un sequel di un film d'azione: aumenta il ritmo, migliora le "mazzate" con sequenze molto prolungate, ed è abbastanza da maturo da ricavare del tempo per non prendersi eccessivamente sul serio, creando un groviglio claustrofobico di malavita, senza disdegnare battute e situazioni molto divertenti.
Oltre al cast solido intravisto nel primo film, tra cui Ian McShane e Lance Reddick, va sottolineata la presenza di Riccardo Scamarcio e Claudia Gerini che, seppur penalizzati dalla qualità dell'auto-doppiaggio, non sfigurano. Se non bastasse, Stahelski ci regala una piccola reunion "scuola-Matrix" tra Keanu Reeves e Laurence "Morpheus" Fishurne.

Nonostante l'aria da bassa produzione che aleggia sulla parte romana del film, l'entusiasmo del cast è palpabile, riuscendo a confezionare un action movie vecchio stile che fa il suo sporco lavoro.

0 commenti:

Posta un commento