Ha debuttato su Netflix lo scorso 24 novembre
l’ultima fatica cinematografica di Ron Howard, Hillbilly Elegy, impropriamente tradotto con il titolo Elegia
Americana, "Hillbilly" infatti è un termine dispregiativo utilizzato da persone che
vivono in città e metropoli per definire un individuo che viene dalle zone rurali
e che è, di conseguenza, piuttosto "rozzo" perché lontano dagli agi della "civiltà".
Il film racconta le vicende di tre generazioni solo apparentemente differenti tra loro: J.D. Vance (Gabriel Basso), al quale si deve peraltro questa
trasposizione cinematografica grazie alla sua riuscita autobiografia, si lascia
alle spalle la vita da marine e studia legge a Yale. In lizza per ottenere il lavoro che ha sempre desiderato,
che gli consentirebbe di cambiare finalmente la sua vita, riceve una telefonata
urgente dalla sorella (Haley Bennett). Colto, come un fulmine a ciel sereno, dalla notizia del
ricovero della madre Bev (Amy Adams), infermiera tossicodipendente che raramente
si è presa cura del figlio, J.D. si trova costretto a
fare ritorno in Ohio, nel suo paese di origine ai piedi degli Appalachi.
Il film ha una struttura piuttosto convenzionale: si alternano
flashback e flashforward che rendono pesante la visione e il tutto ha un sapore
antico, come l’eco di un qualcosa di già vissuto e sentito. Nonostante il montaggio dispersivo e ridondante, si riesce comunque a cogliere l’amaro che
Ron Howard intendeva trasmettere e con la sua regia tagliente porta alla luce lo
spaccato sociale di un paese ben distante da quello del Sogno Americano al
quale siamo abituati: ci racconta un paese spezzato, sanguinante nel quale
violenza, disuguaglianze, povertà e rabbia la fanno da padrone. Ci si ritrova in un guado nel quale è sempre più difficile
incedere; la melma impasta le gambe, ci inzuppa sempre di più in questo vortice
di sofferenza.
Uno dei punti di forza assoluti
di questa pellicola è la colonna sonora di Hans Zimmer (qui con David Fleming), non nuovo a collaborazioni
con Howard, per il quale ha creato alcune delle più trascinanti soundtrack
della sua carriera.
La nota di merito è interamente dedicata a nonna Mamaw,
figura salvifica che sarà il punto di riferimento di J.D. nel suo percorso per
diventare uomo, interpretata da una sublime Gleen Close, quasi totalmente irriconoscibile
sotto un make-up da 10 e lode. Un’attrice tra le migliori della sua generazioni che purtroppo non è mai riuscita a conquistare la statuetta più ambita, ci si augura che almeno la sua nomination sia assicurata. Non sulla stessa lunghezza d'onda l'interpretazione di Amy Adams, piuttosto ridondante e a grandi tratti stereotipata, risulta inefficace e poco sfaccettata.
In conclusione, Elegia Americana non brilla per ritmo, ma appare esacerbata su più di un aspetto, quando si avvicina l'idea di una svolta, torna ancora una volta sui suoi passi, rimanendo incastrata in un loop che appare infinito e non decolla. Ricorda molto una complicata ricetta eseguita da un pessimo cuoco: deliziosa sulla carta, si ha l'acquolina sin dalla prima lettura, ma una volta portata la forchetta alle labbra, ci si rende conto di quanto le aspettative siano state deluse.