lunedì 4 novembre 2019

[RomaFF14] The Irishman - la recensione

Che cos'è il vero Cinema? Questa è la domanda che ha tenuto banco negli ultimi tempi, da quando Martin Scorsese prima e altri dopo di lui hanno riaperto la vecchia polemica fra sostenitori del cinema d'autore e amanti del cinecomic.
Al di là di ogni possibile interpretazione e dei gusti personali che possono essere moltissimi e possono anche intersecarsi fra loro, è innegabile che fra gli interpreti più grandi che il Cinema ci abbia regalato c'è proprio lui, Martin Scorsese, autore di film che hanno segnato la storia come Quei Bravi Ragazzi o Taxy Driver, regista che, tra l'altro, si è fatto simbolo di un genere, il gangster movie, che ha avuto una incredibile ascesa ma che ultimamente sembrava in dirittura di arrivo. Questo finché il Maestro non è tornato a far vedere a tutti che di gangster e mafiosi si può parlare ancora, per tre ore e mezza, e senza perdere nemmeno un colpo.


Un ritorno alle origini, quindi, con il film che voleva girare da tutta la vita e il cast di suoi "amici", come li chiama, tre dei più grandi attori di sempre: Robert De Niro, Al Pacino e Joe Pesci. A far da contraltare a tutto questo classicismo hollywoodiano, c'è Netflix, il colosso dello streaming che ha messo a disposizione il denaro per permettere a Scorsese di utilizzare la tecnologia del ringiovanimento e a fare in modo che questi tre colossi riuscissero a recitare nelle stesse scene per tutto il film, che si dirama nel corso di svariati anni.
Vecchio e nuovo, quindi, ben rappresentati anche dal film stesso: l'irlandese del titolo è Frank Sheeran, ex camionista che entra in affari come sicario per la mafia italoamericana, uno che "dipinge case" per dirlo in gergo, personaggio sfaccettato e a tutto tondo (che molto deve, in termini di caratterizzazione ,al Tony Soprano della serie televisiva, sempre per rimanere nel campo del vecchio e nuovo); Frank stringe un rapporto molto stretto con il boss Russell Bufalino, il quale lo metterà in contatto con il gigante dei sindacati Jimmi Hoffa.
Per la prima metà del film, sembra di assistere al più classico dei gangster movie alla Scorsese, con una grandissima regia e delle interpretazioni magistrali che sono davvero il quid in più rispetto a qualsiasi altra pellicola del genere.
Tutto è bellissimo, e le scene in cui i tre attori sono insieme sullo schermo valgono talmente il prezzo del biglietto che non si sarebbe potuto chiedere di meglio al regista newyorkese. Eppure a un certo punto, dopo circa due ore di intrecci criminali, scontri, esecuzioni e tradimenti, il registro cambia, si fa intimo, e il focus passa dal lato prettamente criminale a quello più personale, dalle azioni in sé a ciò che quelle azioni hanno provocato a Frank, alla sua famiglia, ai suoi amici.
E' qui che passa dall'essere un grandissimo film di Scorsese, a uno dei migliori film della sua carriera e summa di un intero genere cinematografico arrivato forse alla fine della sua età dell'oro.


Nonostante il retrogusto testamentario che lo accompagna, è improbabile che sarà l'ultimo film della carriera di Martin Scorsese, ma è sicuramente un punto fermo su un tipo di cinema che lo ha accompagnato per lungo tempo, che lo ha prima formato e infine consacrato, e di cui è maestro ineguagliato. Sicuramente sarà un punto di riferimento con cui chiunque in futuro dovrà confrontarsi nel parlare di malavita americana: da Quei Bravi Ragazzi a The Irishman, c'è tutto il cinema di Scorsese.


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