Un vero mito, una leggenda, ieri Julie Andrews ha ricevuto un meritatissimo Leone d'Oro alla carriera, mentre oggi l'attrice ha incontrato il pubblico per raccontarsi.
L'attrice ha aperto parlando dell'esordio in Mary Poppins, suo primo film al cinema anche se era già una stella del teatro, e l'incontro con Walt Disney avvenuto dopo uno spettacolo.
"Credevo che fosse venuto a complimentarsi per il musical, ma mi propose di andare ad Hollywood. Gli dissi che ero incinta di 3 mesi e lui mi disse: "ok, aspettiamo". Poi si rivolse al mio ex marito [Tony Walton] e gli chiese: "Lei cosa fa?". “Sono un designer per il teatro”, gli rispose lui. “Quando verrai ad Hollywood portami il tuo curriculum”, disse Disney. E nel momento stesso in cui vide i suoi progetti, gli affidò tutti i disegni del film. E ottenne una nomination agli Oscar! Disney aveva il sesto senso nei confronti del talento. Fu molto gentile."
La lavorazione del film non fu affatto semplice. Girato negli anni '60, Mary Poppins è stato un film innovativo, mischiava live action e animazione, ovviamente senza l'uso dei computer. In Particolare Julie Andrews ha ricordato un episodio che ha messo a dura prova i suoi nervi.
"In Mary Poppins non si vede nulla. Nessuno di quei fili che ci permettevano di volare. [...] Avevo un’imbragatura molto dolorosa per volare, infatti tutte le scene in cui dovevo volare me le fecero fare alla fine, perché temevano che potesse succedermi qualcosa. Una volta sentì che un filo spezzarsi, e la cosa mi innervosì molto. A quel punto chiesi di farmi scendere, calandomi molto lentamente, ma l'attrezzista mi fece scendere come un sacco di patate. Quel giorno mi uscirono parole che Walt Disney difficilmente sentì altre volte dalla bocca di una donna."
Anche durante la lavorazione di Tutti Insieme Appassionatamente ci furono episodi che misero alla prova l'attrice.
"Ho tanti ricordi di quel film, compresi freddo, pioggia, montagne, tempi d'attesa infiniti. Nessuno disse ai produttori come quel posto era il settimo in Europa per pioggia. [...] La scena d’apertura del film la girammo l’ultimo giorno. Ero soo io su questo un campo e una cameraman su un elicottero che si avvicinava verso di me, radente al suolo, che mi veniva incontro. Io dovevo girarmi, iniziare a cantare, e correre all’indietro. L’abbiamo fatto 6/7 volte, e ogni volta che mi giravo quell’elicottero mi faceva cadere con la forza delle sue pale, perché era troppo vicino. E io mi lamentavo, perché mi ritrovavo sempre a mangiare paglia."
Non è mancato un ricordo di Blake Edwards, suo secondo marito, con cui è stata sposata per 41 anni.
"Era divertente, irriverente, pieno di gioia. A Hollywood tutti pregavano per poter lavorare con lui. Il nostro fu un lavoro molto innovativo. Film come Victor Victoria, ad esempio, avevano una visione inedita, innovativa."
Candidato a sette premi Oscar, Victor Victoria è un capolavoro che all'inizio lasciò l'attrice un po' perplessa.
"Gli dissi: "Devo fare una donna che fa un uomo che fa finta di essere una donna". Era impossibile. Ero molto preoccupata per la reazione del pubblico. Ma lui mi rassicurò: “Non ti preoccupare, farò in modo che tutti crederanno che tu sia un uomo”. Per la parte studiai molto gli uomini, come si muovono e si siedono, con le gambe aperte e le mani nelle tasche. Cambiai la voce, rendendola più profonda. Un’operazione molto difficile."
Julie Andrews ha poi ricordato l'episodio legato a My Fair Lady, quando il produttore Jack Warner, nonostante il grande successo avuto dall'attrice a teatro con quel ruolo, le tolse la parte da protagonista per darla ad Audrey Hepburn. L'anno dopo Julie Andrews vinse il Golden Globe per Mary Poppins e sul palco si concesse una piccola vendetta.
"Avevo sperato che mi dessero My Fair Lady, ma Warner voleva una grande star, io non ero nessuno e chiamarono Audrey Hepburn, mia grande amica. Ero delusa, ma poi la Disney mi propose Mary Poppins con cui vinsi il Golden Globe. E alla premiazione ringraziai Jack Warner, che rese possibile tutto quello. Con il suo rifiuto."
L'attrice ha poi confessato di aver sempre odiato un aspetto di Hollywood, e questo pensiero non è cambiato col tempo.
"Quando ero più giovane, riferendosi a Hollywood, si parlava di un’industria cinematografica, e mio marito impazziva perché a suo dire non andava considerato come un business, ma arte. Invece è sempre stata un’industria. Odio l’ignoranza, la mancanza di empatia. Quella è la cosa che mi delude di più di Hollywood, e mi fa arrabbiare."
Alla fine la domanda più naturale che si possa fare a Julie Andrews, citando Mary Poppins, è praticamente perfetta sotto ogni aspetto? La risposta è stata no.
"Sono una cuoca terribile! Una volta ho provato a fare dei cookies, ma non avevo gli ingredienti adatti. Neanche si spezzavano, una volta usciti dal forno. Ah, e poi impreco!". Ha concluso ridendo.
Oggi in Concorso sono stati presentati due film: Guest of Honour di Atom Egoyan, e The Painted Bird di Václav Marhoul.
Non ha entusiasmato molto il pubblico il nuovo lavoro di Atom Egoyan, Guest of Honour, che vede David Thewlis protagonista.
Un film che racconta il rapporto tra un padre e una figlia. L'ospite del titolo è un inflessibile e rigoroso ispettore incaricato di controllare il rispetto delle norme igieniche nei ristoranti. Un uomo che nasconde un passato doloroso, soprattutto nel rapporto con al figlia, una direttrice d'orchestra finita in carcere.
"Tutti hanno le loro ossessioni. Io amo capire gli aspetti oscuri della condizione umana. L'ossessione principale delle persone, è quella della negazione. Negare è un meccanismo di difesa naturale", ha spiegato il regista, "Nel film è centrale il senso di colpa ma ci sono alcune verità che il padre non avrebbe potuto dire alla figlia e viceversa. Sono affascinato dalla complessità di come alla fine la verità si manifesta, ci sono storie che restano nascoste fino a che non è troppo tardi. Altre cose che vengono a galla solo dopo la morte di un genitore".
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L'altro film in Concorso, The Painted Bird, di Václav Marhoul, ha creato un po' di scompiglio in sala. La pellicola, in bianco e nero e della durata di 2 ore e 49 minuti, presenta scene violente, di vario tipo, molto dure ed esplicite e non tutti sono riusciti a sopportarne la visione, tanto che qualcuno ha abbandonato la sala prima della fine.
Ambientato durante la Seconda Guerra Mondiale, racconta la storia di un bambino ebreo che viene mandato dai genitori da una vecchia zia che vive in campagna per sfuggire alla deportazione. Quando la zia muore e la casa viene data alle fiamme, il bambino si ritrova a vagare da solo in un mondo senza un briciolo di umanità, dove i contadini, pronti a uccidere, torturare e violentare, non sono migliori dei nazisti.
Tratto dall'omonimo romanzo di Jerzy Kosinski, è un progetto che il regista inseguiva da tempo: "Sono undici anni che lavoro a questo libro che mi ha subito molto, credo sia una storia universale. Ci sono tanti bambini abbandonati nel mondo che agiscono proprio come accade nel film. La violenza? È solo la cornice del dipinto dove al centro c'è la vita del protagonista. Il film poi ha un finale positivo perché passa il principio che la luce è visibile solo al buio".
Nel cast molti volti noti, tra cui Stellan Skarsgård e Harvey Keitel.
martedì 3 settembre 2019
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