La protesta delle donne è arrivata anche al Festival di Cannes.
Ottantadue donne, capitanate dal presidente di giuria Cate Blanchett e la regista Agnes Varda, hanno sfilato sul red carpet per dire basta alla discriminazione di genere, alle molestie e alla disparità di pagamento.
Alla silenziosa protesta sul red carpet erano presenti i movimenti di vari paesi, #MeToo, Time's Up, il collettivo francese 50/50, quello italiano Dissenso Comune (con Jasmine Trinca e Alba Rohrwacher a rappresentarlo), e tante attrici, le giurate Lea Seydoux, Kristen Stewart, Khadja Nin, Ava DuVernay, poi Marion Cotillard, Salma Hayek, Patty Jenkis, Sofia Boutella, e anche Claudia Cardinale.
Cate Blanchett e Agnes Varda si sono fatte portavoce - la prima in inglese, la seconda in francese - di un messaggio che è stato letto dalle scale della montée des marches. Ecco alcuni passaggi:
"Su queste scale oggi ci sono 82 le donne che rappresentano il numero di registe che hanno salito queste scale dalla prima edizione del Festival di Cannes nel 1946. Nello stesso tempo, 1688 registi maschi hanno salito queste le stesse scale. In un Festival di fama mondiale come questo ci sono state solo 12 presidenti di giuria donne. La prestigiosa Palma d’Oro è stata conferita a 71 registi maschi – troppo numerosi per essere nominati – ma solo a 2 donne, Jane Campion e Agnès Varda, che è con noi oggi. [...]
Le donne non sono una minoranza nel mondo, eppure lo stato attuale della nostra industria dice il contrario. Come donne, affrontiamo tutte le nostre sfide individuali ogni giorno, ma oggi stiamo insieme su queste scale come simbolo della nostra determinazione e del nostro impegno per il progresso. Siamo scrittrici, produttrici, registe, attrici, cineaste, agenti di talenti, editrici, distributrici, agenti di vendita e tante altre professioniste coinvolte nelle arti cinematografiche. E siamo solidali con le donne di tutte le industrie. [...]
Ci aspettiamo che le nostre istituzioni si applichino per la parità e la trasparenza nei loro organi esecutivi, perché i posti di lavoro siano ambienti sicuri in cui lavorare. Ci aspettiamo che i nostri governi si assicurino che le leggi per la parità di retribuzione per chi fa lo stesso lavoro siano rispettate. Chiediamo che nei nostri luoghi di lavoro ci sia più uguaglianza di diritti e diversità di talenti, che possano rispecchiare al meglio il mondo in cui viviamo realmente. Un mondo che consente a tutti noi, dietro e davanti alla macchina da presa, di avere successo, spalla a spalla con i nostri colleghi maschi. Ci riconosciamo in tutte le donne e gli uomini che sono pronti al cambiamento. Le scale della nostra industria devono essere accessibili a tutti. Saliamo!".
Un discorso pienamente condivisibile.
La manifestazione è andata in scena nel giorno della presentazione in Concorso del film Les Filles du Soleil, della regista Eva Husson, che racconta la battaglia contro l'Isis delle donne curde nel nord del Kurdistan.
Una storia importante da raccontare ma che - parlando di meriti puramente artistici - è stato accolto in modo piuttosto freddo dalla stampa, che ha elogiato le interpretazioni delle attrici (Golshifteh Farahani e Emmanuelle Bercot) ma ha criticato l'eccessiva retorica della storia.
"Abbiamo incontrato molte donne curde che sono state ridotte a schiave sessuali, che spesso hanno partorito in prigionia e hanno avuto la forza di ribellarsi", ha raccontato Eva Husson, "Erano ansiose di raccontare la propria storia. Ma poi ho voluto introdurre la soggettività. Il mio film non è un documentario, piuttosto trasmette delle emozioni: l'attesa, i momenti di esaltazione, il caos, la paura... Ci sono situazioni che solo la finzione può restituire". La regista ha dichiarato che ci sono stati due motivi alla base della scelta di fare questo film: "Il ricordo di mio nonno, che era antifascista e si è battuto nella Resistenza, e l'esaltazione per la storia di queste donne curde che si ribellano e riconquistano la propria dignità in situazioni mostruose".
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Sempre di condizione femminile in Medio Oriente parla l'altro film presentato in Concorso ieri, si tratta di Three Faces, diretto da Jafar Panahi. Il regista iraniano era assente al festival a causa di una condanna a 20 anni emessa dal governo nel 2010 che gli proibisce di lasciare il proprio paese, di dirigere film o scrivere sceneggiature. Il suo ultimo film, come i precedenti più recenti, sono stati girati in semi-clandestinità, più che un film un vero e proprio atto di resistenza.
Il film racconta un viaggio in auto attraverso le montagne dell'Iran che una famosa attrice iraniana (Behnaz Jafari) e lo stesso regista compiono per andare da una ragazza che ha chiesto aiuto per fuggire dalla propria famiglia ultra conservatrice che vuole impedirle di fare l'attrice.
"Ero molto dispiaciuta ieri sera per l'assenza di Panahi in sala, volevo piangere", ha dichiarato l'attrice Behnaz Jafari, "C'era tristezza in tutti noi e anche molta compassione. Ma poi, a un certo punto, ho iniziato a ridere perché ho capito che in fondo anche lui era lì, insieme a noi, tramite il suo film che è diventato come un’entità autonoma a cui è concesso di viaggiare".
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Mentre il Concorso va avanti, parallelamente al festival si è svolto ieri un evento che ha visto diversi appassionati di cinema (i 300 posti sono andati a ruba) affollare una sala per la masterclass di Christopher Nolan. Presente tra il pubblico anche Denis Villeneuve.
Il regista di Inception e Dunkirk è stato invitato al festival per presentare la versione restaurata della pellicola originale 70mm del capolavoro di Stanley Kubrick 2001: Odissea nello Spazio, che compie 50 anni. Ospiti speciali della masterclass: Katharina Kubrick e Keir Dullea, protagonista di 2001: Odissea nello Spazio.
"Ho scoperto 2001 Odissea nello spazio a 7 anni", ha raccontato Nolan, "fu un'esperienza straordinaria che mi porto dietro ancora oggi. Kubrick mi trascinò con sé in un modo che non credevo possibile, mi dimostrò che il cinema può tutto. Sono felice di essere qui e di cercare di restituire a una nuova generazione di spettatori le emozioni che provai".
Il regista ha anche raccontato i propri inizi. "Proprio Kubrick disse che il miglior modo di imparare a fare un film è farne uno", ha detto Nolan, "Io non ho fatto una scuola di cinema, ho imparato tutto da solo. Feci il mio primo film, Following, senza soldi, insieme a un gruppo di amici. Tutti noi avevamo altri lavori durante la settimana e ci dedicavamo al film solo nel weekend. Ognuno doveva cavarsela in ogni reparto: suono, immagine, montaggio... solo così si capisce la difficoltà di ogni compito. E’ stato molto utile per il futuro".
Incalzato dalle domande, Nolan ha poi spiegato la differenza tra i tre film della trilogia di Batman: "Sono di tre generi diversi e ognuno è definito dal proprio villain. Nel primo c’è un mentore che diventa nemico, Dark Knight è un crime drama il cui cattivo è un terrorista, nel terzo c’è una dimensione epica, mitologica. Se fai dei sequel devi proporre cose diverse".
Il regista non ha negato la grande influenza della saga di James Bond sui suoi film, ma non sulla trilogia di Batman. "Abbiamo preso ispirazione da James Bond ogni volta che poteva esserci utile", ha detto Nolan, "Ma tra i miei film, quello che si avvicina di più a James Bond è Inception, non Batman".
Infine Nolan ha parlato della sua famiglia, in particolare di sua moglie, la produttrice Emma Thomas, con cui collabora continuamente per i suoi film. "Devo essere sincero, mi piace lavorare con la mia famiglia e i miei amici", ha confessato il regista, "Emma ha prodotto tutto ciò che ho fatto ed è bellissimo avere la possibilità di lavorare con quelle persone che non hanno altri intenti se non far sì che il tuo film sia migliore, e che se ti dicono che stai sbagliando, sai che lo dicono per il tuo bene. Come poi lei riesca a trovare l'equilibrio tra essere mia moglie, la madre dei miei quattro figli e la persona indispensabile nel mio lavoro è un mistero".
domenica 13 maggio 2018
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