sabato 25 novembre 2023

C'è Ancora Domani - la recensione

Roma, maggio 1946. 
Delia (Paola Cortellesi) è sposata con Ivano (Valerio Mastandrea), un uomo violento sia psicologicamente che fisicamente, e ha tre figli, la maggiore Marcella (Romana Maggiora Vergano), che il padre non ha voluto far continuare negli studi, e i due minori, ragazzini scurrili e incontenibili. La seconda guerra mondiale ha lasciato Roma in povertà, con gli americani che aiutano la popolazione a ricostruire e i romani che faticosamente cercano di riprendere una parvenza di normalità. Qui Delia si destreggia fra i suoi molti lavori e una vita familiare che è per lei come una gabbia da cui sembra impossibile uscire.



L'esordio alla regia di Paola Cortellesi è un chiaro omaggio al grande Cinema Neorealista italiano, girato in un bianco e nero molto pulito e in formato 4:3 che da un lato si rifà proprio al cinema di quel periodo, dall'altro aiuta a creare il senso di claustrofobia provato da Delia fra le mura di casa sua.
Quello che Cortellesi fa, però, è molto più che una semplice riproposizione di uno stile cinematografico del passato, riesce magnificamente ad adattarlo non solo al suo stile, ma soprattutto a un tipo di cinema moderno, con qualche tocco di surreale nelle scene più crude per aiutare lo spettatore a mandare giù ciò che sarebbe una violenza efferata. Da questo punto di vista tanto Paola Cortellesi quanto Valerio Mastandrea sono magnifici nel rendere da un lato lo stoicismo e la forza di Delia, dall'altro la brutalità di Ivano, che riesce a passare in pochissimi secondi da inetto a terrificante con un solo sguardo.
Nell'anno in cui al cinema abbiamo avuto Barbie, questa pellicola italiana, pur affrontando in un certo senso lo stesso tema, quello della violenza di genere e della società patriarcale, risulta quasi all'opposto rispetto al film di Greta Gerwig: dove in Barbie la denuncia era urlata, spiegata, talmente chiara e sottolineata da essere forse a volte ridondante, praticamente a prova di scemo, in C'è ancora domani Paola Cortellesi mette in scena una realtà storica che non è né esagerata né urlata, ma dolorosamente reale, e sta poi allo spettatore e alla spettatrice il compito di fare il salto successivo e trasportarlo ai nostri giorni, in base alla propria sensibilità e alle proprie esperienze.
E se il roboante, esagerato finale di Barbie era in qualche modo liberatorio per il genere femminile che assisteva allo spettacolo al cinema, una sorta di chiamata alle armi e un vero e proprio schiaffo alla società maschilista, quello del film di Paola Cortellesi è più sottile e quasi documentaristico, ricordandoci non solo quanto ancora ci sia da fare ma soprattutto quanto in realtà è stato già fatto da milioni di donne come Delia, con piccoli gesti rivoluzionari come il semplice atto di andare a votare, per la prima volta nella storia del nostro paese.



Con uno stile leggero, che strappa più di qualche risata, Paola Cortellesi al suo esordio come regista, riesce nell'incredibile impresa di parlare di donne tanto alle donne quanto agli uomini, con eleganza e raffinatezza.
E lo straordinario successo al botteghino lo dimostra.

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martedì 21 novembre 2023

The Killer - la recensione

Presentato al Festival di Venezia 2023 e ora disponibile su Netflix il nuovo film di David Fincher, The Killer, adattamento di una omonima serie a fumetti scritta da Matz e illustrata da Luc Jacamon.

Un meticoloso killer su commissione è in attesa del suo bersaglio in un edificio semiabbandonato di Parigi. Il killer mal sopporta le attese e occupa il suo tempo con stretching, yoga, musica in cuffia e un giro da McDonald. Quando finalmente il suo bersaglio si presenta, per uno sfortunato caso, lui fallisce la missione. Scappa e torna nella sua casa a Santo Domingo, dove scopre che la sua compagna è stata brutalmente aggredita. È la conseguenza del suo errore. In quel momento il killer decide di risalire ai colpevoli di quella aggressione, continuando ad applicare il suo rigido codice di comportamento.

The Killer è un thriller volutamente asettico su un assassino spietato, estremamente freddo e pragmatico. La trama non brilla per originalità ma a fare il film è il suo personaggio principale, che ci viene presentato nella sua routine in attesa di uccidere, un modo per farci conoscere le manie e la precisione di un uomo che segue un suo codice molto preciso che riesce ad applicare con grande abnegazione perché, come sentiamo dalla sua voce fuori campo che accompagna tutto il film, sostanzialmente "non gliene frega un caz*o" degli altri. La regia di David Fincher è pulita e lineare, precisa e meticolosa tanto quanto il suo protagonista. In particolare nel film spicca una lunga scena di lotta, molto fisica, realistica, tra le più belle viste negli ultimi anni. Molto belle anche le musiche, firmate da Trent Reznor e Atticus Ross.

Protagonista, e letteralmente presente in ogni istante del film, un ottimo Michael Fassbender, che riesce a trasmettere la freddezza e la spietatezza totale del suo personaggio. Pochi minuti ma di grande impatto per Tilda Swinton, a cui basta davvero poco per prendersi la scena.

Tutto bene quindi? No. David Fincher sceglie un finale che ha diviso molto pubblico e critica, tra chi ci ha visto una metafora della società contemporanea, chi lo vede come un colpo di genio che si pone in antitesi ai thriller d'azione classici, e chi invece è semplicemente rimasto insoddisfatto. Il film, grazie soprattutto alla sua divisione in capitoli, ci porta in un percorso a tappe: la missione fallita, l'aggressione, l'inizio della vendetta, trovare il primo nome sulla lista, poi il secondo, e infine la persona dietro a tutto. Il difetto del film - che per alcuni invece è il suo punto di forza - è che tutto questo crescendo si conclude in niente. Alla fine si resta con la sensazione di aver assistito ad un film tecnicamente perfetto, freddo ma coinvolgente, con un bel personaggio protagonista, e un crescendo ben strutturato che promette tanto ma non esplode mai, non sfoga, che in sostanza non ha una conclusione, e questo lascia un senso di insoddisfazione.

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giovedì 2 novembre 2023

Killers of the Flower Moon - la recensione

Torna Martin Scorsese e torna a fare un film dalla lunghezza importante (tre ore e mezzo circa) con una piattaforma streaming (in questo caso Apple Tv), con i suoi attori feticcio Robert De Niro e Leonardo DiCaprio. e che in un certo senso è un film intrinsecamente scorsesiano, perché è impossibile non riconoscere la mano dietro la macchina da presa e la tematica del male non come qualcosa di oscuro ed eccezionale ma di quotidiano, banale. 

Allo stesso tempo è anche un film abbastanza diverso dal solito e si inserisce più nel filone delle sue ultime opere (Silence e The Irishman soprattutto) che in quello dei suoi lavori più classici e conosciuti. Ed è un film che non può fare altro che dividere gli spettatori, fra chi lo amerà e chi lo odierà, fra chi lo ha trovato inutilmente lungo a chi invece non avrebbe tagliato neanche un fotogramma.


La tribù nativa americana degli Osage, dopo essere stata scacciata dalle sue terre, viene sistemata dal governo in Oklahoma e viene loro assegnato un pezzo di terra apparentemente arido e inospitale ma che nasconde invece il germe della ricchezza: il petrolio. Gli Osage diventano ricchissimi vendendo le concessioni a "cerca oro" e uomini d'affari, ma in un'America profondamente razzista, il fatto che siano gli indiani a detenere questo potere, è inammissibile, tanto che a ciascuno di loro venne assegnato un tutore. È in questa cornice che si sono consumati una serie di omicidi, e decessi apparentemente naturali, di membri degli Osage, e alla fine si stima che i morti siano stati addirittura un centinaio nell'arco di molti anni. 

Scorsese prende questa triste storia americana, raccontata nel libro Gli assassini della terra rossa, e decide di raccontarla da un punto di vista inedito, quello degli stessi Osage, e in particolare di Mollie Burkhart (Lily Gladstone), a cui morirono le tre sorelle e la madre in circostanze più che sospette, e che rischiò essa stessa la vita, ma si batté anche con la sua comunità affinché il governo degli Stati Uniti facesse qualcosa (fu questo evento, infatti, a sancire la vera e propria nascita dell'FBI). Ma Mollie è anche la moglie di Ernest Buckhart (Leonardo Di Caprio), che insieme a suo zio William Hale (Robert De Niro), erano le menti dietro l'eliminazione degli Osage con lo scopo di ottenere la loro ricchezza.

In 206 minuti, Scorsese inserisce molte anime nel suo film: c'è la componente più puramente true crime, con la ricostruzione di una vera e propria strage effettuata ai danni degli Osage, con il carico di razzismo e discriminazione che da sempre accompagna i nativi americani; c'è il dramma familiare; c'è la componente giudiziaria e investigativa, con la nascita dell'FBI e l'arrivo degli agenti infiltrati guidati da Tom White (Jesse Plemmons) che pur riuscendo a smascherare la rete di omicidi e omertà presente nella città, non riescono a fare veramente giustizia proprio a causa del razzismo sistemico che sembra non considerare la morte degli Osage degna di nota.

Oltre alla struttura narrativa e alla regia che regala splendide immagini e scorci da western, a brillare davvero in Killers of the Flower Moon è il cast, in particolare Lily Gladstone ruba la scena con la sua interpretazione brillante e sofferta e il carisma affascinante che riesce a imprimere nel suo personaggio, persino nei momenti di debolezza e malattia.


Alla fine delle quasi tre ore e mezzo di film, le sensazioni possono essere soltanto due: o si esce sfiniti, con l'idea che il tutto sarebbe potuto durare molto meno e senza emozione, oppure con gli occhi lucidi e il cuore pesante, con la convinzione che ogni inquadratura e ogni parola siano state messe al posto giusto e che nulla del film avrebbe potuto essere tagliato, anzi, che si sarebbe potuti tranquillamente rimanere rapiti dalla magia del film per un'ora ancora.

Chi vi scrive appartiene a questa seconda categoria.

mercoledì 1 novembre 2023

Cosa succede in casa Marvel? Dal problema Kang all'idea del ritorno degli Avengers originali.

Variety dedica un lungo articolo alla Marvel e a quello che starebbe succedendo dietro le quinte.

A settembre, i creativi della Marvel e il capo dello studio Kevin Feige si sono riuniti per il ritiro annuale dello studio. L'atmosfera viene descritta come fiduciosa e positiva ma impossibile negare che ci sono diversi problemi che affliggono Kevin Feige e la Marvel. Negli ultimi tre anni infatti l'"Impero" ha traballato fino a trovarsi al punto in cui è oggi, con un presente un po' troppo confuso e un futuro da pianificare molto meglio.

Andiamo per punti.

- Il problema di Kang il Conquistatore
Con l'uscita di scena di Thanos, nell'MCU c'era bisogno di un nuovo supervillain, la scelta era caduta su Kang il Conquistatore con un attore in ascesa come Jonathan Majors ad interpretarlo, e il personaggio sarebbe dovuto essere la minaccia ad unire tutti i film della Marvel fino a Avengers: The Kang Dynasty.  Il debutto in Loki era stato più che positivo, poi però il personaggio è riapparso solo in Ant-Man and the Wasp: Quantumania, che ha incassato meno di 500 milioni di dollari (tanti per chiunque, non per la Marvel) e nella seconda stagione di Loki. Per quale motivo? Jonathan Majors è stato arrestato per aggressione e percosse alla compagna e a novembre andrà a processo per violenza domestica. Quando Majors è stato arrestato, la Marvel ha deciso di aspettare, di non utilizzare il personaggio, ma questo lo ha depotenziato. Ora Feige si trova con un dilemma importante: continuare con Majors/Kang o fare un recasting dell'attore, lo hanno già fatto in passato con il Colonnello Rhodes, da Terrence Howard a Don Cheadle, ma non si trattava del supervillain principale della storia; oppure cambiare subito rotta, magari con un altro villain, come Doctor Doom? La scelta non è stata ancora fatta e la Marvel ha puntato davvero tanto su Kang che cambiare rotta ora sarebbe davvero complicato e comporterebbe la riscrittura della trama di fondo di tutti i prossimi film.

- Troppe serie, poca attenzione per la qualità
La lamentela viene dall'alto, il CEO della Disney Bob Iger si è lamentato pubblicamente della strategia che ha puntare troppo sullo streaming (a causa della pandemia, ma poi si è continuato) e delle troppe serie che avrebbero fatto perdere fluidità alla narrazione dell'MCU, facendo anche perdere l'interesse nel pubblico. In sintesi: troppe serie, troppe trame, storia troppo diluita e dispersiva. A questo si aggiungono le lamentele del reparto degli effetti speciali, costretto a orari di lavoro insostenibili su troppi progetti, con il risultato di veder calare la qualità. Clamoroso è stato il caso di Ant-Man and the Wasp: Quantumania, che ha debuttato con effetti visivi non completati perché gran parte del reparto VFX è stato spostato, a lavori in corso, su Black Panther: Wakanda Forever. Di fatto, Ant-Man è stato trattato da film minore rispetto a Black Panther. Poi ci sono state le critiche negative agli effetti visivi di She-Hulk, che addirittura non erano pronti al debutto della serie, tanto che la trasformazione che doveva essere presente nel primo episodio è stata spostata più avanti. 
L'8 novembre intanto arriverà in sala The Marvels e si teme che possa incassare meno del previsto, non solo a causa dello sciopero degli attori che non permette al cast di promuovere il film, ma anche per come è stato deciso di impostare la storia. Non sarà il sequel diretto di Captain Marvel ma un film che si collegherà direttamente a due serie, visto che include i personaggi di Monica Rambeau, introdotta nella serie WandaVision, e Kamala Khan dalla serie Ms. Marvel, e chi non ha visto le serie? questo preoccupa molto, perché chi non ha seguito le due serie e non conosce gli eventi che poi saranno proposti nel film, potrebbe non avere interesse a vederlo.
Bob Iger vuole snellire, potare qualche ramo delle serie tv, e Kevin Feige deve trovare il modo di riportare coesione e linearità nell'MCU, e il primo cambiamento l'ha subito il progetto Armor Wars, presentato come una miniserie, ora si sta lavorando per farne un film, ma non si sa ancora se alla fine sarà confermato.

- Il problema delle riscrittura e dei registi "anarchici"
La linearità delle trame viene da sceneggiature solide, e negli ultimi anni sembra che questo si sia un po' perso in casa Marvel, e il comportamento di certi registi non aiutano. Lo dimostra anche il caos intorno a Blade, film molto atteso per cui è stato ingaggiato il due volte premio Oscar Mahershala Ali. Il film però sta avendo molti problemi di produzione. Il primo regista scelto ha abbandonato il progetto a una settimana dall'inizio delle riprese, la sceneggiatura ha subito quattro riscritture e sembra che lo script fosse pieno di "scelte di vita" e poca azione, e che la voglia di essere a tutti i costi politically correct e inclusivi abbia prodotto qualcosa di talmente insoddisfacente che Ali avrebbee minacciato di abbandonare il progetto. A questo punto sembra che Feige abbia preso in mano la situazione azzerando tutto e affidando il progetto a Michael Green, candidato all'Oscar per Logan.
Anche The Marvels ha dato qualche grattacapo a Kevin Feige, con la regista Nia DaCosta che avrebbe abbandonato il film nel bel mezzo della postproduzione per andare a girare un altro film a Londra. "Se stai dirigendo un film da 250 milioni di dollari, è un po' strano che il regista se ne vada con qualche mese di anticipo", ha dichiarato una fonte. La regista non ha voluto commentare anche se si è detta pronta a tornare per un eventuale sequel

- La svolta con gli X-Men e i Fantastici 4? e l'idea di riportare gli Avengers originali
Ma Kevin Feige è convinto però che l'MCU ritroverà grande spinta grazie all'arrivo dei Fantastici 4 (la produzione dovrebbe iniziare il prossimo anno) e degli X-Men. Sono due filoni molto attesi, e poi c'è Deadpool 3, in cui rivedremo Hugh Jackman nei panni di Wolverine e sarà la sua prima volta nell'MCU. Chissà che non ci resti a lungo.
E poi c'è una folle idea di cui sembra si parli spesso nelle stanze di casa Marvel, il ritorno degli Avengers originali, compresi Iron Man e Vedova Nera, che come sappiamo sono morti eroicamente in Endgame, ma nei fumetti, con i vari multiversi, tutto è possibile. Quello che sembra impossibile sono gli stipendi degli attori, ed è questo che al momento impedisce di trasportare la folle idea su carta. Riportarli indietro non sarebbe affatto economico, soprattutto se Robert Downey Jr. dovesse vincere l'Oscar il prossimo anno, e poi c'è Scarlett Johansson che ha recuperato il rapporto con la Disney e i Marvel Studios dopo i problemi con Black Widow, ma sicuro non sarebbe un ritorno economico.

Secondo gli esperti del settore comunque, la Marvel non è moribonda, come dichiarato da Jason Squire, professore emerito alla USC School of Cinematic Arts e conduttore di "The Movie Business Podcast": "Scrivere il necrologio Marvel oggi sarebbe davvero sconsiderato".

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