Roma, maggio 1946.
Delia (Paola Cortellesi) è sposata con Ivano (Valerio Mastandrea), un uomo violento sia psicologicamente che fisicamente, e ha tre figli, la maggiore Marcella (Romana Maggiora Vergano), che il padre non ha voluto far continuare negli studi, e i due minori, ragazzini scurrili e incontenibili. La seconda guerra mondiale ha lasciato Roma in povertà, con gli americani che aiutano la popolazione a ricostruire e i romani che faticosamente cercano di riprendere una parvenza di normalità. Qui Delia si destreggia fra i suoi molti lavori e una vita familiare che è per lei come una gabbia da cui sembra impossibile uscire.
L'esordio alla regia di Paola Cortellesi è un chiaro omaggio al grande Cinema Neorealista italiano, girato in un bianco e nero molto pulito e in formato 4:3 che da un lato si rifà proprio al cinema di quel periodo, dall'altro aiuta a creare il senso di claustrofobia provato da Delia fra le mura di casa sua.
Quello che Cortellesi fa, però, è molto più che una semplice riproposizione di uno stile cinematografico del passato, riesce magnificamente ad adattarlo non solo al suo stile, ma soprattutto a un tipo di cinema moderno, con qualche tocco di surreale nelle scene più crude per aiutare lo spettatore a mandare giù ciò che sarebbe una violenza efferata. Da questo punto di vista tanto Paola Cortellesi quanto Valerio Mastandrea sono magnifici nel rendere da un lato lo stoicismo e la forza di Delia, dall'altro la brutalità di Ivano, che riesce a passare in pochissimi secondi da inetto a terrificante con un solo sguardo.
Nell'anno in cui al cinema abbiamo avuto Barbie, questa pellicola italiana, pur affrontando in un certo senso lo stesso tema, quello della violenza di genere e della società patriarcale, risulta quasi all'opposto rispetto al film di Greta Gerwig: dove in Barbie la denuncia era urlata, spiegata, talmente chiara e sottolineata da essere forse a volte ridondante, praticamente a prova di scemo, in C'è ancora domani Paola Cortellesi mette in scena una realtà storica che non è né esagerata né urlata, ma dolorosamente reale, e sta poi allo spettatore e alla spettatrice il compito di fare il salto successivo e trasportarlo ai nostri giorni, in base alla propria sensibilità e alle proprie esperienze.
E se il roboante, esagerato finale di Barbie era in qualche modo liberatorio per il genere femminile che assisteva allo spettacolo al cinema, una sorta di chiamata alle armi e un vero e proprio schiaffo alla società maschilista, quello del film di Paola Cortellesi è più sottile e quasi documentaristico, ricordandoci non solo quanto ancora ci sia da fare ma soprattutto quanto in realtà è stato già fatto da milioni di donne come Delia, con piccoli gesti rivoluzionari come il semplice atto di andare a votare, per la prima volta nella storia del nostro paese.
Con uno stile leggero, che strappa più di qualche risata, Paola Cortellesi al suo esordio come regista, riesce nell'incredibile impresa di parlare di donne tanto alle donne quanto agli uomini, con eleganza e raffinatezza.
E lo straordinario successo al botteghino lo dimostra.
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