A
quasi 10 anni dall'apertura del Marvel Cinematic Universe
continuiamo ad attendere ogni nuovo capitolo di questo grande filone
narrativo con la stessa trepidante tensione che ci accompagnava al
cinema nel 2008, con Iron Man che atterrava nelle sale.
La
cosa che più sorprende è che il lavoro e la programmazione hanno
permesso alla Casa delle Idee di creare grande amore anche per quei
supereroi che, fino a qualche anno fa, non godevano della stessa
popolarità dei loro cugini famosi, e questo è senza dubbio il caso
de I Guardiani della Galassia, alzi la mano chi, prima del
2014, era un gran conoscitore di questo gruppo di canaglie spaziali.
Ma
quei tempi sono ormai lontani e l'impero di Stan Lee è
riuscito a scavare così a fondo nelle nostre menti che oramai non
abbiamo neanche più la paura che quello che andiamo a vedere possa
non piacerci, questo per diverse motivazioni, tra le quali l'utilizzo
di formule furbe, forse penalizzando le individualità dei singoli
registi e sceneggiatori, vedasi il caso Edgar Wright che finì
per abbandonare Ant-Man, ma creando la formula del sicuro
successo, garantendo qualità e divertimento.
Ma
tornando ai Guardiani, è innegabile che oramai siano, a tutti
gli effetti entrato nella Major League,
il fattore sorpresa non funziona più e quindi tocca decidere se fare
sul serio o no e
James Gunn
fa dannatamente sul serio, con tutti i trucchetti che ha imparato.
L'unico
dato che spaventava a morte era la lunghezza della pellicola, due ore
e quindici minuti, uno dei cinecomic più lunghi in casa Marvel, ma
una volta entrati in sala si capisce il perché, stavolta i
personaggi sono conosciuti ed hanno bisogno dei loro tempi, con la
messa "in secondo piano" di alcuni membri come Gamora,
abbiamo la possibilità di approfondire la personalità di molti di
quelli che non hanno goduto troppo delle luci dei riflettori,
personaggi come Drax e
Yondu, che
godono fortemente del tempo in più per un approfondimento di grande
effetto, soprattutto sul personaggio interpretato da Michael
Rooker. La seconda mossa
che stupisce è la dimensione assegnata Baby
Groot che, fin dalla
prima apparizione sullo schermo, si conforma come un molto efficace
"comic relief", oltre che come sapiente modo per creare
spazio per gli altri personaggi, senza sminuire l'importanza del
Rametto.
Ma il punto di forza più grande
di questo film sta nell'impatto visivo, un coloratissimo pugno negli
occhi che non può lasciare nessuno indifferente, costumi, paesaggi,
capelli e colori della pelle che compongono una tavolozza
fornitissima, la quale aiuta, come era stato abbozzato nel primo
capitolo, a proiettarci in questi luoghi magici e spaziali.
James
Gunn ha
fatto molto bene i compiti a casa in questi tre anni e confeziona una
seconda colonna sonora all'altezza della prima, con momenti altissimi
e ben commisurati all'azione su schermo, anche grazie all'interazione
dei personaggi con i mezzi di riproduzione musicali.
L'unico commento possibile,
arrivati a questo punto, è IO SONO GROOT.
0 commenti:
Posta un commento