Due titoli molto attesi oggi al festival, in una giornata segnata dalle grandi attrici, Isabelle Huppert da una parte, e una divina Nicole Kidman dall'altra.
Ha diviso e scioccato la critica ma ha ricevuto anche ottime critiche il nuovo film del regista greco Yorgos Lanthimos, The Killing of a Sacred Deer (Concorso), che vede protagonisti Colin Farrell e Nicole Kidman.
Un thriller psicologico con risvolti horror che vede al centro una famiglia formata dal padre, Steven (Farrell), un chirurgo, sua moglie Anna (Kidman), medico oftalmico, e i due figli di 14 e 12 anni. La situazione inizia a diventare inquietante quando in famiglia arriva Martin, il figlio di un paziente morto durante un'operazione fatta proprio da Steven che, sentendosi in colpa, decide di accoglierlo in casa. Tra i due si instaura una relazione inquietante che diventa ancora più preoccupante quando i figli di Steven cominciano ad ammalarsi, incapaci di mangiare o camminare, e si capisce che Martin sta mettendo in pratica una assurda e subdola vendetta, mettendo così Steven di fronte a una scelta terribile.
Il film presenta scene molto crude e dirette fin dall'apertura, con un intervento a cuore aperto e pulsante in primo piano, ma Yorgos Lanthimos, regista di The Lobster (Premio della Giuria a Cannes 2015) non è nuovo a film surreali dai risvolti inquietanti. "Il racconto è globalmente duro, ma non lo è in ogni suo singolo momento", ha spiegato il regista, "anche perché non ho voluto trattare la materia narrativa con tono grave, anzi ho ripetuto al cast che stavamo facendo un film comico e che sul set dovevamo divertirci".
In The Killing of a Sacred Deer si parla con crudezza del tema del sacrificio ma il regista non voleva dare nessuna risposta al pubblico e se ne cercate una non chiedete a lui. "Il mio film non dà risposte, la spiegazione di quello che accade lo spettatore non lo saprà mai e neppure io lo so per cui è una domanda che dovrai portare con te", ha dichiarato Lanthimos, "Non so se ho un mio concetto di sacrificio, per il momento sto esplorando l'idea di giustizia, delle scelte che la natura umana è portata a compiere. Il senso di sacrificio è qualcosa che appartiene alla religione e alla mitologia greca, infatti anche il titolo allude all'Ifigenia di Euripide, non è un mio concetto, appartiene all'umanità".
Una sceneggiatura che ha conquistato subito una bravissima, biondissima e bellissima Nicole Kidman. "Mi ha ipnotizzata. Yorgos ha un modo particolare di creare le scene e guidarti sul set", ha raccontato l'attrice, "In altri tempi forse ne avrei avuto paura, quando valuti una proposta scegli il regista e ti assumi dei rischi, perché per quanto hai potere contrattuale e per quanto cerchi di controllare, sei nelle sue mani, e per un attore la scelta di farlo è sempre molto difficile. Io mi sono lasciata andare, volevo provare altre cose. Il suo lavoro è diretto, molto fisico, non racconta, non vuole essere distratto da altro e così mi sono messa al servizio di questa storia che scava ed esplora la condizione umana quando ha a che fare con la colpa e il sacrificio".
Nicole Kidman quest'anno è la vera regina del Festival di Cannes, presente con ben quattro film (The Beguiled di Sofia Coppola, la serie Top of the Lake di Jane Campion, How to Talk to Girls at Parties di John Cameron Mitchell, e il film di Lanthimos). "Quattro film al festival? E' una coincidenza, certamente non immaginavo accadesse", ha dichiarato l'attrice, "Ma a questo punto della mia vita cerco di rimanere aperta e disponibile a provare esperienze nuove, cerco di comportarmi come se fossi sempre a inizio carriera, amo le sfide e voglio sostenere cineasti in cui credo o un'amica come Jane Campion, che conosco da quando avevo 14 anni. Penso sempre di avere ancora 21 anni e di essere all'inizio della mia carriera. Mi piace l'idea di continuare a esplorare il mondo e la condizione umana. Nutro una forte passione per ciò che faccio e non ho bisogno di lavorare ma lo faccio perché mi piace".
E noi la ringraziamo per questo.
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Presentato, sempre in Concorso, il nuovo film di Michael Haneke, Happy End, che vede protagonista Isabelle Huppert, e un cast che comprende anche Jean-Louis Trintignant, Toby Jones, e Mathieu Kassovitz.
Ambientato nei dintorni di Calais, punto di transito caldo per i rifugiati, il film è un ritratto di una famiglia altoborghese che ha perso tutti i valori, e fa da specchio a una società falsa, infelice ed egoista.
Due volte vincitore della Palma d'Oro, l'ultima con Amour nel 2012, che era stato anche l'ultimo film girato da Michael Haneke, uno che a Cannes è di casa. Così come la sua protagonista, la sempre brava Isabelle Huppert.
"Ho impiegato quasi cinque anni a fare un nuovo film dopo Amour", ha raccontato il regista, "stavo lavorando a un altro progetto, Flashmob, che poi non è andato in porto. Così ho travasato alcuni elementi di quel film in Happy End". Un film ambientato in Francia ma che poteva essere ambientato in qualsiasi altro posto, perché non parla di una specifica società francese ma di tutti. "Non potevo non parlare della società del nostro tempo, del nostro modo di vivere autistico, dell'accecamento", ha detto Haneke, "E' qualcosa che io personalmente sperimento tutti i giorni. Non credo che questo film sia diverso dagli altri miei lavori, parlo sempre del comportamento umano e della comunicazione".
Elogi per Haneke arrivano dalla sua protagonista, Isabelle Huppert, che proprio grazie a un film del regista, La Pianista, vinse il premio per la migliore interpretazione femminile a Cannes 2012. "Il suo cinema è molto vario", ha dichiarato l'attrice, "ci sono film intimi, film più politici come questo, altri di taglio storico come Il nastro bianco. Nel suo modo di lavorare c'è una grande precisione a partire dalla sceneggiatura e questo, al contrario di quello che si pensa, rende più liberi gli attori".
Il film non ha convinto del tutto la critica, è stato accolto in modo freddo dalla stampa. In Italia arriverà in autunno.
lunedì 22 maggio 2017
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