martedì 30 maggio 2017

War Machine - la recensione

Diretto da David Michod (già regista di The Rover e Animal Kingdom), e disponibile da qualche giorno sulla piattaforma Netflix, War Machine vede Brad Pitt nel ruolo del generale Glen McMahon (ispirato alla figura reale del generale Stanley McChrystal), rigido, altezzoso e pieno di sé, che viene mandato in Afganistan per risolvere un conflitto che va avanti da ormai troppi anni, proprio in concomitanza dell'annuncio da parte del presidente Obama di un imminente ritiro delle truppe USA dal paese. Glen accetta la sfida con slancio, quasi incurante di ciò che avviene nel mondo reale, fatto di politici per i quali la guerra non è altro che una strategia elettorale, ben lontano dall'ambiente militare in cui si muove, davvero convinto nell'utilità della guerra. Sarà proprio la sua altezzosità, e un articolo su Rolling Stone, a pregiudicare sempre di più la sua posizione.

Non si può negare che il primo impatto con il film sia più che positivo: la prima mezz'ora è impostata come una black comedy fortemente satirica e dall'umorismo pungente, Brad Pitt interpreta Glen con una forte componente caricaturale, ma senza scadere nella macchietta, insomma sembra di trovarsi di fronte a una commedia nera piacevole. Poi improvvisamente si cambia totalmente registro, si vira sul politico, su una aperta denuncia della politica di Obama, ma non si riesce più a far satira, i toni troppo seriosi rendono fastidiosa la voce fuori campo e fuori luogo l'interpretazione di Pitt che risulta così troppo caricaturale per essere realistico, ma non abbastanza per far davvero ridere in quel contesto.
A volte si cerca di ritornare sulla commedia iniziale, ma sono tentativi deboli che lasciano piuttosto freddi, i personaggi rimangono inespressi (a cominciare dal giornalista interpretato da Scoot McNairy la cui voce fuori campo diventa sempre più insopportabile) e lo spreco di cast appare evidente, da Ben Kingsley, che sembra dapprima ricoprire un certo ruolo per poi sparire quasi del tutto, a Tilda Swinton che ha una sola scena che dovrebbe essere molto importante ma che rimane tristemente anonima.

Certo, le due ore di durata alla fine scorrono senza noia, ma la sensazione finale di aver assistito a un minestrone, un film che non sa bene cosa vuole dire e in che modo, lascia l'amaro in bocca, soprattutto visti i nomi coinvolti e l'inizio che preannunciava qualcosa di molto più riuscito.

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