martedì 29 ottobre 2019

[RomaFF14] Downton Abbey - la recensione

Quattro anni fa, dopo 6 stagioni e 52 episodi, salutavamo Downton Abbey, la serie britannica più premiata di sempre, un vero e proprio caposaldo della televisione mondiale.
Oggi, quattro anni dopo, ritroviamo i Crowley e tutta la loro servitù, come se non li avessimo mai salutati, grazie al film diretto da Michael Engles (già regista di alcuni episodi, tra cui l'ultimo) e scritto da Julian Fellowes, sceneggiatore della serie.


La scena iniziale del film è chiaro omaggio a quella che abbiamo visto nel pilot, ma se lì era l'arrivo della notizia dell'affondamento del Titanic e della morte dell'erede a dare il via alla vicenda, qui invece è la notizia che il Re si fermerà a Downton per una notte a fare da motore al ritorno dei personaggi che conosciamo, compreso Carson che torna dalla pensione per poter dare una mano.
Non appena si scorgono le guglie della magione e partono le prime note del tema di John Lunn, ogni dubbio svanisce e la sensazione di un ritorno a casa prende il sopravvento: per chi ha amato la serie, i brividi sono d'obbligo e trattenere l'emozione diventa difficile. Eppure uno dei maggiori pregi del film è quello di essere ambivalente: i fan sono immersi nelle atmosfere familiari, nei rimandi nostalgici, ma non è necessario aver visto un solo minuto della serie tv per poter godere del film, che riesce a reggersi benissimo anche da solo grazie alla scrittura sopraffina di Fellowes, capace di ritagliare a ogni personaggio il giusto spazio senza che nessuno prevalga sull'altro, e senza "spiegoni" lascia che i personaggi si raccontino da soli, con piccoli gesti e poche parole, ognuno degli abitanti di Downton, dal Conte all'ultima delle cameriere, ci fa capire chi è e cosa lo lega agli altri.

L'arrivo del Re, con tutto ciò che comporta in termini di organizzazione, diventa il pretesto per portare avanti ciò che era rimasto in sospeso dopo il finale della serie, ma anche per riportare in scena quel contrasto fra moderno e tradizione che è sempre stato un pilastro della serie, il nuovo mondo che avanza nonostante tutto, assottigliando le differenze sociali anche in un microcosmo apparentemente cristallizzato, come quello di Downton,
Fellowes è inoltre bravissimo a inserire molti temi legati a questo macrotema centrale, come la questione Irlandese portata avanti da Tom, o quello legato all'omosessualità di Thomas, affrontati con i giusti spazi e ritmi e senza forzature. Molto merito va dato anche al cast, che conosce a memoria i propri ruoli e che vi si muove perfettamente a proprio agio, guidato da quello che è sempre stato il miglior personaggio della serie, uno dei personaggi più iconici della televisione, quella Lady Violet impersonata da una grandissima Maggie Smith, fautrice di innumerevoli battute taglienti, che non mancano nemmeno qui.

A metà tra finale effettivo della serie tv ed episodio speciale lungo due ore (e con la possibilità di essere più grandioso in termini di scenografie), il film riesce a fare un ulteriore passo avanti rispetto a quando ci aveva lasciato nel 2015, portandoci verso l'era più moderna e a un finale gattopardiano per cui tutto deve cambiare affinché nulla cambi, che poi riassume perfettamente ciò che Downton Abbey ci ha mostrato per tutti i suoi 52 episodi.

Non ci sono aspetti negativi in un film che è perfetto nella scrittura, nella componente visiva, nel cast e soprattutto nella sua parte più emotiva, apprezzabile sia da chi non ha mai visto la serie, e che magari dopo averlo visto correrà a recuperarla, sia dai fan per cui sarà come tornare a casa dopo molto tempo.

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