lunedì 7 dicembre 2020

Mank - la recensione

Era uno dei film più attesi della stagione, Mank, nuovo lavoro firmato da David Fincher per Netflix, e quando un film è così atteso, il rischio di deludere è dietro l'angolo. Non è questo il caso, anzi, le attese non sono state solo rispettate ma superate.

"Mank" è Herman J. Mankiewitcz, sceneggiatore di talento caduto in disgrazia, socialista, alcolizzato senza speranza e scommettitore incallito. A seguito di un incidente, Mank è relegato in un letto con una gamba rotta, chiuso in una stanza in un luogo sperduto con due assistenti e un unico compito: scrivere in 60 giorni la sceneggiatura di un film per il giovane, talentuoso e arrogante regista Orson Welles, un film che passerà poi alla storia come uno dei più celebri capolavori della storia del Cinema: Quarto Potere.

La trama riassunta in modo semplice potrebbe far passare il film come un classico biopic sulla Vecchia Hollywood, ma non è così. Mentre assistiamo alla creazione della sceneggiatura, senza mai scendere nello specifico di frasi o scene, il film ci fa fare continuamente dei salti indietro, con dei flashback che raccontano come ha fatto il geniale Mank a cadere in disgrazia, quali persone ha incontrato che hanno definito il suo futuro e quali lo hanno ispirato poi per la creazione della sceneggiatura di Quarto Potere. Volendo fare un gioco di parole, sembra quasi un film dentro a un film che racconta la creazione di un film, e quella stessa sceneggiatura non è semplice lavoro, per Mank alla fine diventa una vendetta, qualcosa su cui mettere il proprio nome per rivendicarne il messaggio, una scelta che lo porterà alla gloria (l'Oscar) e allo stesso tempo alla rovina.

Il film di David Fincher ha al suo interno molti temi diversi: economici (la Grande Depressione); politici (le elezioni "sporcate" da falsità mediatiche); la Vecchia Hollywood pronta a passare dal muto al sonoro, industria scintillante davanti ma tutt'altro che interessata all'arte negli uffici dei piani alti; la superficialità e anche il menefreghismo verso quello che stava succedendo in Europa (l'ascesa di Hitler). Tutti temi che sembrano relegati agli anni '40 ma che possiamo ritrovare tranquillamente nel presente.

E poi c'è Mank
Anche l'autodistruzione del protagonista è uno dei temi del film, Mank è alcolizzato e consapevole, sa che gli fa male ma lo fa ugualmente; è socialista in un ambiente di repubblicani, le sue idee, e la sua incapacità di trattenersi, gli portano solo problemi; ha il vizio di scommettere su tutto e di perdere male, mettendo sempre alla prova la pazienza della moglie; scrive una sceneggiatura geniale, il suo miglior lavoro, sapendo che lo rovinerà per sempre. Mank è un personaggio che sembra distante da noi ma non è così, i suoi errori, la sua "sincerità", la sua ironia, il suo genio incompreso e buttato al vento, lo rendono molto umano e per questo è facile empatizzare con lui, anche grazie allo straordinario lavoro di Gary Oldman. L'attore britannico offre una prova davvero eccezionale, il suo Mank è un personaggio con molti eccessi ma Oldman non va mai sopra le righe, la sua interpretazione è impeccabile, precisa, ironica e profonda. 
Il suo personaggio è il fulcro e il cuore pulsante del film e Gary Oldman è il perfetto interprete.
Intorno al protagonista si muovono molti personaggi, in altre circostanze diremmo "minori" ma è sbagliato, Fincher riesce a dare a ognuno di loro uno spazio e una dimensione essenziale allo svolgimento della storia. Tutti fanno il loro dovere in modo perfetto (è risaputo quanto Fincher sia maniacale con i suoi attori), in particolare da sottolineare la performance di Amanda Seyfried che brilla nel ruolo di Marlon Davies, ex star del muto alla ricerca di una nuova dimensione, la sua immagine è così luminosa, anche visivamente, che ogni volta sembra quasi uscita da un sogno.

Sotto un punto di vista stilistico, regia e fotografia sono eccezionali. David Fincher fa un lavoro grandioso, omaggia palesemente il cinema degli anni '40, quasi lo ricalca usando anche un sonoro "vecchio stile", ma tutto in una versione moderna, più pulita e precisa. Una regia talmente bella che risultano quasi inutili gli omaggi visivi a Quarto Potere. Elegante e affascinante il bianco e nero, non un semplice esercizio di stile ma utile ad immergersi negli anni '40. Da dieci e lode la fotografia e la scenografia. Ottima la sceneggiatura del defunto Jack Fincher, padre del regista, i dialoghi sono spesso brevi botte e risposte, molto brillanti e ironici.

Quello di David Fincher è grande Cinema, sia sotto l'aspetto tecnico che visivo, sceneggiatura e recitazione, il regista inoltre fa un grande passo avanti rispetto ai suoi ultimi film, decisamente freddi, troppo concentrati sullo stile e poco sul "calore", questa volta il regista non si dimentica  il "cuore". Mank è uno dei migliori film dell'anno, uno dei migliori della carriera del regista. 
L'unico vero grande peccato è non averlo visto sul grande schermo.

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