venerdì 22 maggio 2020

The Lighthouse - la recensione

Due uomini, Ephraim Winslow (Robert Pattinson) e Thomas Wake (Willem Dafoe) arrivano su un'isoletta ventosa e isolata dal mondo per fare da guardiani a un faro per quattro settimane. Fin da subito fra i due c'è attrito: il più anziano, Thomas, tratta Ephraim in maniera sprezzante, relegandolo a mansioni pesanti e degradanti, e impedendogli di andare con lui sulla cima del faro, dove c'è la luce. Dopo aver mancato la scialuppa che li avrebbe dovuti portare via, e complici alcol e atmosfera sinistra, i due verranno sempre più risucchiati in un vortice di follia e distruzione, in particolare Ephraim, tormentato da visioni inquietanti di sirene e gabbiani con un occhio solo.


Dopo il bellissimo The Witch, torna Robert Eggers con un film che per certi aspetti è quasi speculare al suo primo lavoro: se in The Witch il simbolismo era tutto costruito attorno alla femminilità, in The Lighthouse è invece la virilità al centro della scena. I due uomini bloccati da soli sull'isola sembrano infatti venire allo scontro fisico quasi come animali selvaggi, la tensione è sempre massima, sono aggressivi e frustrati dalla loro stessa mascolinità. E se la scena in cui il personaggio di Robert Pattinson fa dell'autoerotismo furioso è sicuramente la più immediatamente riconoscibile, i simboli sono in realtà tantissimi, dal richiamo fallico del faro, alla luce misteriosa sulla sua cima, chiamata da Thomas "lei" fino alla scena in cui per un secondo i due quasi si baciano.

Il simbolismo però non si ferma al semplice e forse banale richiamo a una atavica mascolinità, ma va ben oltre, infarcendo il film di tantissimi richiami mitologici e artistici.
E' facile identificare i due protagonisti con figure mitologiche quali Proteo e Prometeo: il vecchio del mare che non mente mai ed è servo di Poseidone è infatti Thomas, che tuttavia racconta solo menzogne e nutre una profonda ossessione per le creature marine, in particolare per i gabbiani, animale ricorrente durante tutta la pellicola; Ephraim è quindi Prometeo, il giovane eroe che strappa il fuoco agli dei e proprio come lui il personaggio interpretato da Pattinson deve scavalcare il suo "padrone" per rubargli il segreto della luce, per poi essere punito per questo in una scena finale assolutamente esplicita in cui vediamo proprio un gabbiano mangiare il suo fegato.


Il finale, poi è aperto a moltissime interpretazioni, da quella più puramente horror fino a una soluzione metafisica, in cui il cerchio si chiude e ricomincia daccapo, un eterno ritorno in cui si può ipotizzare che i due personaggi non siano altro che la stessa persona. Il crack della gamba che si rompe ci porta immediatamente alla mente come sia proprio la mancanza di una gamba a caratterizzare fortemente il personaggio interpretato da Willem Dafoe, come una sorta di Achab.
Ma, come già detto, i rimandi al folklore e alla mitologia sono molteplici, dai già citati Proteo e Prometeo, alle sirene tentatrici che portano gli uomini alla pazzia, e chissà quanti altri che a una prima o seconda visione non si riescono a cogliere. Di certo un film così stratificato richiede una grande dose di attenzione e possibilmente più di una visione.


Da un punto di vista tecnico, sicuramente la prima cosa che colpisce è la fotografia. Il bianco e nero rende la storia remota (tra l'altro il formato 35mm è perfetto per questo) e le luci che, come era stato in The Witch, provengono esclusivamente da fonti presenti all'interno della scena con un forte contrasto fra luce e buio, ricordano moltissimo certi film dell'espressionismo tedesco, ad esempio Il Gabinetto del Dottor Caligari, con cui The Lighthouse condivide le atmosfere angoscianti e paranoiche e gli ambienti contorti, specchio della mente dei personaggi più che ruoli reali.
Il regista inoltre alterna magnificamente inquadrature fortemente simmetriche con altre riprese a mano, primissimi piani e, di contro, lunghi piano sequenza in cui si susseguono in scena dettagli apparentemente inutili a fini di trama, ma che contribuiscono alle atmosfere da incubo a occhi aperti del film.
C'è da fare infine un plauso grandissimo ai due interpreti, che con poche parole e moltissima fisicità, danno una prova davvero incredibile e magnetica. Mentre su Willem Dafoe non ci sono più dubbi di sorta da tantissimi anni, Robert Pattinson sembra ancora vittima di un pregiudizio difficile da sradicare, ma dimostra per l'ennesima volta di essere un attore di grande talento.


Dopo il meraviglioso The Witch, Robert Eggers si riconferma uno dei registi emergenti più interessati in circolazione, grazie a un film complesso e stratificato ma da cui è sinceramente difficile staccarsi, che non annoia mai e che si vuole vedere e rivedere fino ad aver trovato ogni più piccolo e nascosto simbolo al suo interno.

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