domenica 28 ottobre 2018

Disobedience - la recensione

Ancora una storia di donne per il regista cileno premio Oscar Sebastian Lelio, che per il suo debutto in lingua inglese ha scelto l'adattamento del romanzo "Disobbedienza" di Naomi Alderman.

Londra, in un quartiere periferico della metropoli vive la comunità ebreo ortodossa, in lutto per la scomparsa del rabbino capo, figura importante e molto rispettata. Questo evento porta Romit (Weisz), unica figlia del rabbino che ha abbandonato la comunità ormai da tempo, a tornare a casa per assistere al funerale del padre. Lì ritrova il cugino Dovid (Nivola), estremamente dedito alla sua fede, "figlio spirituale" e successore predestinato del rabbino defunto, ma soprattutto ritrova Esti (McAdams), che, con grande sorpresa di Romit, è ora sposata con Dovid diventando una moglie devota e una fedele credente. Tra Romit ed Esti ci sono dei trascorsi, un amore giovanile troncato, e l'incontro tra le due riaccende una incontrollabile passione che porta turbamenti all'interno della comunità.

Se si cerca sul vocabolario la parola "disobbedienza" si legge: trasgressione ad un ordine, atto di resistenza passiva alle leggi. E' esattamente quello che viene raccontato in Disobedience. Un titolo perfetto per una storia che va oltre l'amore e la passione carnale tra le due protagoniste. In una comunità rigida come quella descritta, l'arrivo di Romit, un'anticonformista che ha addosso la "macchia" della disobbedienza, crea un inevitabile turbamento in un'atmosfera soffocata in cui tutti seguono rigidamente delle regole: l'uomo comanda, tutti sono vestiti uguali, le donne indossano abiti scuri e delle parrucche per coprire i capelli, le case e i giardini sono curati e perfetti. Romit è l'elemento di rottura che risveglia in Esti non solo la passione e il desiderio fisico, ma soprattutto l'improvviso bisogno di libertà.
La disobbedienza descritta nel film non è un atto urlato, rabbioso o liberatorio, è un più un sofferto e sospirato passo verso una personale consapevolezza, verso la libertà di scelta, il libero arbitrio.



La bravura di Sebastian Lelio sta nel mostrare tutto questo in modo semplice, profondo, puntando molto sui particolari. Grazie anche a un'ottima fotografia, la descrizione della comunità e dei riti ebraici, dell'atmosfera, è talmente precisa che al regista basta immergere i personaggi nel contesto per mostrare quanto Romit sia un elemento di disturbo: i suoi capelli sciolti, il suo modo di vestire, il suo modo di parlare, le sue idee. E in questo contesto bastano pochi sguardi per cogliere il desiderio di Esti nei confronti di Romit.

Ottimo il cast. Le "due Rachel" sono stata una scelta davvero perfetta. La presenza scenica è una dote naturale di Rachel Weisz (anche produttrice del film) e lei riesce sempre a metterla al servizio del suo personaggio. In questo film incarna perfettamente e con grande naturalezza tutti gli aspetti del suo personaggio: figlia rinnegata, elemento di disturbo, pietra dello scandalo, anticonformista, oggetto del desiderio. Allo stesso modo, Rachel McAdams riesce a trasmettere la sottile ma repentina trasformazione del suo personaggio. L'intesa tra le due attrici è ottima, bastano gli sguardi, i gesti, ma anche quando non si guardano si percepisce la connessione e il desiderio tra i due personaggi. Le due attrici sicuramente catturano l'attenzione, ma non bisogna dimenticare il terzo elemento del triangolo, perché quella del film non è una storia a due ma a tre, e il terzo è Alessandro Nivola, molto bravo nel ruolo di un rabbino schiacciato dai suoi doveri ma pronto a fare uno sforzo verso, e non contro, chi "trasgredisce".

Disobedience è un ottimo film in cui, al di là della passione, della storia d'amore tra due donne, dei tabù imposti della religione, si parla di come a volte l'essere umano per affermare se stesso non può fare altro che disobbedire, e come questo sia parte stessa del suo essere.

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