lunedì 9 ottobre 2017

Blade Runner 2049 - la recensione

All'annuncio di un sequel di Blade Runner, il sangue si è gelato nelle vene di tutti i cinefili del mondo. Si può fare il sequel di un capolavoro come Blade Runner? La risposta di tutti è stata: no, a meno di un miracolo, non si può fare.
Denis Villeneuve ha fatto il miracolo.

Los Angeles, 2049, sono passati trent'anni da quando Deckard ha dato la caccia a Roy e agli altri replicanti ribelli. Nel 2049 i replicanti della Tyrell sono stati tutti ritirati e considerati fuori legge. Ci sono nuovi replicanti, quelli della Wallace Industries, perfezionati, più resistenti e ubbidienti, e soprattutto più longevi. Il Blade Runner K è sulle tracce degli ultimi Nexus della Tyrell, il "ritiro" di uno di questi lo porta a scoprire qualcosa che potrebbe cambiare tutto quello che si conosce dei replicanti, e di conseguenza anche il mondo. K inizia un'indagine che lo porterà a farsi delle domande che andranno a scavare anche dentro i suoi ricordi.
Non si può (e non si deve) svelare più di tanto della trama di Blade Runner 2049. La storia che sta alla base non è complessa ma il film ha bisogno dei suoi tempi e delle sue immagini per rivelare, mano a mano, ogni risvolto della storia.

Blade Runner 2049 non è Blade Runner, fare un paragone sarebbe alquanto stupido. Il film di Denis Villeneuve è un sequel ma è anche una espansione del film di Ridley Scott. Il regista canadese ha avuto l'intelligenza di non ripetere e non ricalcare stessi luoghi e situazioni. Villeneuve allarga lo sguardo, anche nelle tematiche filosofiche, proponendo interrogativi importanti su cosa rende umani, su quanto i ricordi incidano su una persona (o un replicante), su cosa è reale o no e se questo sia davvero importante quando si tratta di rapporti tra persone (il cane, vero o no, di Deckard nel film è un esempio lampante).
Se il film di Scott incastrava perfettamente la storia noir di un uomo, una donna, e alcuni replicanti, all'interno di un affresco sci-fi caotico, affollato e freddo, in Blade Runner 2049, Villeneuve fa quasi il contrario, inserisce una storia ampia in un contesto ancora più ampio, fatto di vasti scenari vuoti, caldi (anche quando piove o nevica) e "puliti", con tematiche che non riguardano solo i singoli ma il mondo intero.

Il punto di forza di Blade Runner 2049 è senz'altro la resa visiva. E' un film visivamente potente, impressionante e spettacolare. La regia di Villeneuve è molto precisa, elegante, coraggiosa, quasi architettonica. Regia, scenografie e fotografia, accompagnate da una musica perfetta (Hans Zimmer, sempre sia lodato), regalano allo spettatore delle immagini stupefacenti, mai fine a se stesse, che fanno davvero spalancare gli occhi dallo stupore per la loro bellezza. Per un film come questo è essenziale la visione al cinema, sul grande schermo, per farsi avvolgere dalla grandezza delle scene.

A rimanere nella mente non sono solo le immagini ma anche i personaggi. Il rischio era quello di passare tutto il tempo a chiedersi "ma quando esce Harrison Ford?". Rischio scongiurato. Il personaggio di K è affascinante, malinconico, romantico, e Ryan Gosling è praticamente perfetto, con il suo modo minimalista di recitare riesce a trasmettere tutto il senso di incompletezza del suo personaggio. Ottimo Harrison Ford, non ha avuto nessun problema a rimettersi nei panni, qui più sofferti e rassegnati, di Deckard. Ma Blade Runner 2049 è un film fatto soprattutto di donne, due su tutti: Ana de Armas e Sylvia Hoeks.
Ana de Armas interpreta Joi, assistente personale di K, ma anche qualcosa in più per lui. Tra i due c'è un rapporto romantico e tragico che in alcuni aspetti ricorda il film Her di Spike Jonze, ma in versione più futuristica. Le trovate visive che Villeneuve regala a Joi sono davvero originali e emozionanti. Completamente diverso il personaggio di Sylvia Hoeks, che va a riempire  quello che è forse l'unico vero buco del film: il villain. Jared Leto infatti non incide nel ruolo del cattivo, sia perché il personaggio è poco approfondito, sia perché lui non riesce a dargli quella misteriosa ambigua malvagità che sarebbe servita, ma a rimediare è Sylvia Hoeks con la sua Luv. La vera villan del film, fortissima, spietata ma non senza emozioni, Luv è uno dei personaggi che restano più impressi alla fine del film.

La bravura del regista nel creare questo "sequel impossibile" è stata quella di non essere solo sequel ma di essere anche complementare, di non copiare ma guardare a Blade Runner, di non ripetere ma espandere, di trasportare alcuni elementi chiave di quel mondo creando però una nuova strada, lasciando anche aperta la porta a un possibile terzo film, ma per farlo servirà un regista della bravura e dell'intelligenza di Denis Villeneuve.

Blade Runner 2049 è un gran film, vivo e spettacolare. Non si poteva chiedere un sequel migliore di questo.

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