venerdì 20 ottobre 2017

Mindhunter (stagione 1) - la recensione


E' finalmente arrivata su Netflix la prima stagione di Mindhunter, una selle serie più attese di questo autunno sia per i temi trattati (la nascita di quella sezione dell'FBI che si occupa di scienze comportamentali e profilazione dei serial killer), che soprattutto per i nomi coinvolti nel progetto.
Infatti a dirigere ben quattro dei dieci episodi, i due iniziali e i due finali, che compongono questa prima stagione è nientemeno che David Fincher, regista che non ha bisogno di presentazioni e che si è già occupato di serial killer in Seven e nel bellissimo Zodiac del 2007.
Il pilot, pur nel suo essere probabilmente l'episodio più debole fra i dieci per presa narrativa e ritmo, mette subito in luce il talento del regista americano, capace di creare tensione in scene in cui, sostanzialmente, non c'è altro che dialogo. Proprio come succedeva in The Social Network, infatti, la prima stagione di Mindhunter non è altro che un lungo susseguirsi di dialoghi, che sia fra l'agente Holden Ford (Jonathan Groff, già protagonista di Looking) e il suo collega Bill Tench (Holt McCallany), o fra i due agenti e un efferato serial killer, si rimane incollati allo schermo, incapaci di distogliere lo sguardo, totalmente rapiti da una tensione che non scende mai e che anzi non fa che aumentare per tutti gli episodi, fino a esplodere nel finale.

La scrittura serrata e la regia magistrale sono aiutate da una scelta di casting azzeccatissima: ai già citati Groff e McCallany vanno aggiunti Anna Torv, che torna in una grande produzione televisiva dopo Fringe, e soprattutto Cameron Britton che veste gli enormi e inquietanti panni del killer Ed Kemper, alto più di due metri e dal sorriso mellifluo è protagonista indiscusso dei momenti migliori che la serie ha da offrire.

Se si cerca un poliziesco canonico, sicuramente Mindhunter non è la serie adatta: è facile seguirne le diverse ispirazioni, dai romanzi di Harris su Hannibal, alla serie omonima di Fuller, ai momenti di scontro verbale fra Clarice Starling e Hannibal Lecter in Il Silenzio degli Innocenti, e naturalmente nei lavori di David Fincher. Manca totalmente l'azione in senso stretto, manca quasi del tutto il caso da risolvere, perché l'azione è data dall'introspezione psicologica dei personaggi, da ciò che li muove e dalle domande che si pongono sul mondo e su loro stessi, mentre il caso da risolvere non è altro che l'analisi più profonda della psiche, la risoluzione alla domanda del perché un uomo arriva a commettere delitti così efferati, quale sia lo schema che lo muove.

Ben lontana quindi da essere una serie statica e noiosa, Mindhunter è un vero e proprio vortice di tensione che cattura con l'efficacia dei dialoghi, la bravura del cast e la dinamicità della regia, trascinando lo spettatore in un bingewatching cui è difficile resistere. In attesa della già confermata seconda stagione.

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