lunedì 22 novembre 2021

Ghostbusters: Legacy – la recensione [no spoiler]

È uscito da pochi giorni nelle sale italiane il nuovo capitolo della saga sugli Acchiappafantasmi più conosciuti al mondo, Ghostbusters: Legacy

Il film riprende con cura e devozione l’albero genealogico della famiglia Spengler e ci mostra la vita tutt’altro che priva di difficoltà della figlia di Egon (il compianto Harold Ramis, uno dei "papà" della saga cult originale), Callie, interpretata da Carrie Coon, e dei suoi figli: Trevor (Finn Wolfhard), alle prese con le pulsioni della sua invadente adolescenza, e Phoebe (Mckenna Grace), la più giovane dei due, che tanto somiglia al nonno, sia per la sua mente brillante, che per i suoi occhialoni rotondi e il suo sguardo deciso, ma anche per il suo singolare senso dell’umorismo. Queste tre pedine, estremamente diverse tra loro, si vanno ad inserire su una scacchiera sulla quale si gioca il destino del mondo, tra sciami sismici inspiegabili e trappole per fantasmi nascoste, aggiungendo ai toni brillanti e volutamente poco seri della trama originale, dei toni più cupi e nostalgici che solo la scomparsa di un personaggio tanto amato possono dare. A tutto questo poi si deve aggiungere una colonna sonora coinvolgente e dei personaggi secondari ben definiti, come il buffo compagno di classe, Podcast (Logan Kim), e il professore di scienze più improbabile e sbadato che si possa desiderare, Mr. Grooberson (Paul Rudd). Tutto questo messo insieme è Ghostbusters: Legacy. “Chi chiameranno?

Il film, della durata di 124 minuti, attinge direttamente all'immaginario della saga originale, vanta una trama ben architettata, che porta lo spettatore attraverso un dedalo che piano piano si districa, rendendo evidente ogni singolo collegamento possibile.
La performance corale del cast è senza sbavature, ed è sicuramente un punto di forza del film. Strabiliante, nonostante la sua giovane età, la deliziosa Mckenna Grace, che con semplicità ci presenta una versione in miniatura e tutta riccioli del caro Harold Ramis, e trasmette anche un senso di malinconia nel vederla interagire con Podcast, che ricorda molto un "piccolo Raymond Stantz" (Dan Aykryod nei film originali), quasi a voler sancire un netto passaggio generazionale che apre verso la possibilità di nuove avventure.

Jason Reitman, figlio di Ivan, regista dei primi due episodi, costruisce il ponte perfetto tra passato e presente, con un palpabile rispetto per i film del padre e tanto cuore, tenendo lo spettatore saldamente incollato alla poltrona con un film che stringe con forza la mano ai suoi predecessori, come solo un fan affezionato ed emozionato potrebbe fare.

Francesca Matteucci

0 commenti:

Posta un commento