Può il Cinema Italiano tornare a fare film di genere?
Questa è una domanda che in moltissimi continuano a porsi, sfiniti dal continuo proliferare nel cinema nostrano di commedie e drammoni, senza possibilità di uscita. Non è necessariamente un male, in fondo le commedie sono nella nostra tradizione e continuano a incassare moltissimo, e i drammoni non sono sempre pesanti e se ne contano anche alcuni piuttosto riusciti. C'è però sicuramente l'esigenza di un certo pubblico, di nicchia forse, di esplorare un tipo di cinema più moderno e che possa rivaleggiare con le produzioni estere, in particolare quelle americane, dove al momento il sottogenere dedicato ai cinecomic, e in generale ai supereroi, spopola.
Gabriele Mainetti ci aveva già provato con enorme successo di critica e pubblico qualche anno fa, con quel Lo chiamavano Jeeg Robot che uscì in sordina e praticamente inosservato per poi pian piano, a furia di passaparola, diventare un vero e proprio cult, grazie anche alla presenza di un personaggio iconico come lo Zingaro. Adesso Mainetti raddoppia e se il suo esordio fu chiaramente autoriale e non proprio un kolossal, con Freaks Out cerca di fare il grande salto del film ad alto budget. Tuttavia non si perde minimamente l'impronta dell'autore che, anzi, appare più forte che mai in ogni aspetto della storia, dei personaggi e delle ambientazioni.
Un gruppo di persone con poteri straordinari e spesso bizzarri, un piccolo circo e un circo molto più grande, una Roma devastata dalla guerra e in mano ai nazisti, le deportazioni degli ebrei e la resistenza partigiana. C'è tutto questo in Freaks Out, che da un lato non ha paura di mostrare le sue chiare influenze fumettistiche (su tutte le altre è più che evidente come gli X-Men siano una ispirazione fortissima), e dall'altro rivendica a voce altissima l'appartenenza territoriale, non solo grazie all'uso del dialetto, ma soprattutto grazie al modo tutto personale con cui Mainetti mette in scena dinamiche tipicamente italiane e fortemente radicate nella nostra storia.
Da un lato puramente tecnico, il budget non è stato speso invano, il lavoro sulle location e gli effetti visivi è magistrale e non ha davvero nulla da invidiare a produzioni più blasonate. La fotografia in particolare è perfetta nel restituire un'atmosfera magica e irreale, a metà fra Pinocchio e Il Mago di Oz, con Mainetti che piazza una sequenza onirica di quelle che ricorderemo a lungo.
Il cast azzeccatissimo e per quanto i personaggi secondari siano poco approfonditi rispetto ai due protagonisti, riescono a restituire bene il carattere e le particolarità di ognuno. Molto brava la protagonista, l'esordiente Aurora Giovinazzo, ma ancora una volta a rubare la scena è il villain, personaggio patetico, sfaccettato e iconico, interpretato in maniera sublime dall'attore tedesco Franz Rogowski e che ci dà la definitiva conferma che se c'è una cosa che Gabriele Mainetti sa fare maledettamente bene è scrivere i cattivi.
Un film che probabilmente non piacerà a tutti, forse pecca un po' di alcune ingenuità nella struttura narrativa generale, ma che alla fine riesce perfettamente nel suo intento, trasportare lo spettatore in un altro mondo, affrontando anche temi importanti come la diversità, la Seconda Guerra Mondiale e le sue atrocità, e la scoperta di sé. Un esperimento riuscito, e di questi film ce ne vorrebbero davvero molti altri.
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