venerdì 16 ottobre 2020

[RomaFF15] Soul - la recensione

In un periodo non certo facile, dopo essere stato rimandato più volte e infine relegato a una uscita esclusivamente in streaming, Soul, nuovo film Disney / Pixar - diretto da Pete Docter (Monsters&co, Up, Inside Out), in veste di nuovo capo della divisione - apre la Festa del Cinema di Roma fra le polemiche di chi si aspettava una presa di posizione netta da parte della Festa rispetto alla decisione della Disney di non far uscire il film in sala. Al di là di tutto però, rimane la curiosità di capire se le aspettative per un film molto atteso sono state rispettate.

Joe (voce di Jamie Foxx) è un afroamericano newyorkese, pianista jazz per passione e insegnante di musica alle scuole medie per necessità, che subito dopo aver ricevuto la grande occasione della sua vita, finisce all'Altro Mondo. Qui, rifiutandosi di morire, si ritroverà letteralmente a cadere da una dimensione all'altra, fino ad arrivare dove le anime non ancora nate si preparano alla vita, e lui, insegnante riluttante, dovrà far da mentore a 22 (Tina Fey), un'anima che si rifiuta di nascere.

La cosa interessante che salta subito all'occhio è il parallelismo evidente fra questo film e il precedente di Docter, ovvero Inside Out. Se quello era un viaggio all'interno della nostra mente e delle nostre emozioni, qui il viaggio è all'interno della nostra anima e della nostra personalità. I piani astrali che si susseguono durante il procedere dei protagonisti, le forme bidimensionali che li abitano, le metafore e le simbologie che incontriamo, sono speculari a quello che potevamo vedere in Inside Out, ma in questo caso non è la psicologia a guidarci, ma la metafisica.

Andando avanti ci immergiamo sempre più profondamente in un discorso filosofico sul significato della vita, sul nostro Io più profondo, persino sull'essenza stessa dell'esistenza e su cosa voglia realmente dire perseguire uno scopo, o in altre parole vivere davvero. Da questo punto di vista Soul è davvero un film ambizioso, forse il più ambizioso che la Pixar abbia mai proposto, e un naturale proseguo del lavoro di Pete Docter, un uomo che ha fatto degli altri mondi il suo tratto distintivo, che fosse il mondo dei mostri in cui la paura è il carburante, la nostra mente abitata da emozioni che devono imparare a coesistere, o il mondo altro dell'aldilà e della nostra stessa anima. Persino in Up, il più "normale" dei film del regista, dei palloncini trasportavano una casa in un altro mondo, sicuramente più reale ma non meno metaforico.

Il discorso profondamente metafisico portato avanti in Soul è magnificamente espresso attraverso le immagini: un mix di realismo estremo (le magnifiche visioni di New York) e astrattismo concettuale, dal 3D dei protagonisti, alle due dimensioni dei personaggi guardiani dell'Altro Mondo (fra tutti Terry il contabile, il personaggio più riuscito del film). Non sempre però questo discorso è riuscito, e purtroppo rispetto a Inside Out, non riesce a restituire personaggi altrettanto memorabili e situazioni altrettanto iconiche e incisive.

Un plauso senza dubbi di sorta va invece alla colonna sonora, fatta quasi interamente da pezzi jazz e che proprio nel jazz riesce a trovare una interessante metafora della vita, fra individualismo ed ensemble.

Un film dalle grandi ambizioni, estremamente filosofico, che parte dalla morte ma, ben lungi dall'esplorare le dinamiche del lutto (come avveniva ad esempio in Coco) si concentra molto di più sulla vita, portando avanti quanto il regista aveva iniziato con Inside Out

Non siamo di fronte al migliore dei film Pixar, ma ormai sembra assodato che anche le meno riuscite fra le pellicole di questo studio siano comunque delle piccole perle. E quest'anno, dopo il bellissimo Onward, ne abbiamo un'altra da vedere e rivedere.

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