domenica 27 marzo 2022

Drive My Car - la recensione


Yusuke Kafuku (Hidetoshi Nishijima) è un attore e regista teatrale, sposato con Oto (Reika Kirishima), una sceneggiatrice. Oto crea le sue storie durante gli amplessi e in quei momenti le racconta a Yusuke, che il giorno successivo le ricorda e le mette su carta. Un giorno Yusuke sorprende Oto con un altro uomo, il giovane attore Koji (Masaki Okada) con cui la donna sta collaborando, ma Yusuke va via senza essere visto e fa finta di nulla, per paura di perdere sua moglie per sempre. Il loro rapporto è passionale, ma sembra nascondere il dolore per la perdita prematura della loro figlia anni addietro sotto una coltre di non detti. Poi Oto muore improvvisamente e Yusuke ha un crollo nervoso sul palco, mentre interpreta il protagonista del dramma Zio Vanjia, di Checov. Due anni dopo, Yusuke si trasferisce a Hiroshima per dirigere proprio Zio Vanja e lì ritrova Koji, che si presenta alle audizioni e viene scelto per interpretare il protagonista, lo stesso ruolo che aveva provocato il crollo in Yosuke anni prima. L'organizzazione del dramma, inoltre, vieta a Yosuke di guidare e gli assegna un'autista, la ventitreenne Misaki Watari (Toko Miura), schiva e silenziosa ma che ben presto diventa per Yosuke una confidente, nel tempo trascorso in auto dove Yosuke è solito ascoltare le registrazioni in cui Oto lo aiutava a preparare le sue parti teatrali.


La trama di Drive My Car prende il via proprio da questo lungo prologo, un setting per quella che alla fine non è altro che una lunga analisi sul lutto, sulla sua elaborazione o sulla mancanza di questa elaborazione, sull'incapacità di comunicare e sui sensi di colpa.
I temi che il regista Ryusuke Hamaguchi inserisce nel film sono molti e tutti girano intorno al doppio: Yosuke rivede se stesso in Misaki, entrambi non riescono a staccarsi dal senso di colpa per la morte di una persona cara ed entrambi vivono come intrappolati nel loro lutto, incapaci di comunicare con il mondo esterno, e allora l'automobile, con il suo essere luogo chiuso e in un certo senso intimo, assume quasi il ruolo di un confessionale in cui aprirsi; anche Koji è uno specchio di Yosuke, il suo opposto in molti frangenti, entrambi innamorato della stessa donna, entrambi incapaci di affrontarne la morte, ma se il protagonista vive in uno stato quasi di apatia, Koji è completamente in balia delle sue emozioni, sfogando il dolore nella violenza e nella dissolutezza, e anche in questo caso è la macchina il luogo in cui i nodi vengono al pettine e i due uomini si confrontano sinceramente.
C'è poi il tema del Teatro come oggetto catartico: la rappresentazione del dramma di Checov è il filo che unisce passato e presente e che funziona come uno specchio, di nuovo, per gli stati d'animo ed emotivi del protagonista, che soltanto attraverso la realizzazione di quella performance può liberarsi delle sue catene psichiche e affrontare realmente il futuro con una nuova consapevolezza.


Tratto da un racconto di Haruki Murakami, Drive My Car è un film denso e sfaccettato, dalle molteplici chiavi di lettura e che nelle sue tre ore di durata non si perde mai in momenti inutili, anzi, riesce con la delicatezza e l'introspezione tipiche del cinema orientale a scavare profondamente nelle dinamiche emotive del lutto.

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