Protagonista della quinta giornata del Festival è l'horror di Eli Roth.
Il regista di 'Hostel' porta a Roma il suo cannibal-movie 'The Green Inferno', film fortemente ispirato alla controversa pellicola di Ruggero Deodato 'Cannibal Holocaust' (1980), ancora vietata in diversi paesi.
Un gruppo di studenti americani lascia il campus per raggiungere l'Amazzonia peruviana armati di fotocamere e telefonini con lo scopo di salvare le tribù indigene locali dalle multinazionali che vogliono sfruttare il territorio. Ovviamente le cose vanno male, il loro piccolo aereo cade nel bel mezzo della giungla e gli indigeni del posto sono pronti a sfamarsi con i loro corpi mangiandoli.
Uno spunto ambientalista per far partire la storia che poi si avvia verso il cruento bagno di sangue, perché le immagini del film sono davvero dure, gli indigeni cannibali non si risparmiano, aprono i corpi, mangiano organi, occhi, spezzano ossa, bevono sangue, tutto senza un minimo di censura.
Eli Roth, che mancava alla regia da 6 anni, ha dichiarato apertamente di essersi ispirato al film di Deodato: "Come sapete io adoro il cinema di genere italiano. Sono cresciuto con i film italiani di Argento, Deodato, Martino, Bava. Il mio primo contatto con l’horror è avvenuto grazie al cinema italiano: nessuno è mai stato bravo nel far vedere la violenza sul grande schermo come gli italiani! Da ragazzo avevo visto 'Cannibal Holocaust', l’ho guardato molte volte e credevo che il regista fosse andato in carcere e che avesse ucciso realmente gli attori! Non si trovavano informazioni, sembrava quasi come se avesse ammazzato tanta gente. Il suo è un film così potente: ha dato via ad una nuova forma di cinema moderno, e tutti i film realizzati con un doc-style, come 'The Blair Witch Project' o 'Clovefield', sono arrivati dopo. Tutto risale a Deodato, nonostante i critici sminuivano ai tempi quel genere di film, lo definitiva il peggior modo di esprimere l’horror. Paradossalmente ci sono più teenager oggi con le magliette di Cannibal rispetto ai miei tempi, e non a caso sono sempre i più giovani a volerli vedere". Il film è stato girato veramente nella foresta Amazzonica in un villaggio isolato. "Io volevo fare un film folle", ha raccontato il regista, "siamo perciò entrati nel cuore dell’Amazzonia, arrivando in un villaggio dove non avevano elettricità, e non avevamo mai visto un film. Ho proiettato per loro 'Cannibal Holocaust', e dopo averlo visto quasi tutti loro hanno voluto partecipare al film. Loro non avevano mai visto un film, e paradossalmente l’unico loro concetto di cinema era e rimarrà questo! Sono orgoglioso di aver portato il cinema italiano in Amazzonia!".
Scopo del regista però era anche quello di fare una denuncia contro "gli attivisti da poltrona" convinti che con un click salveranno il mondo. "Twitter ad esempio è un luogo dove la gente sale in cattedra e vuole dimostrare di essere migliore, di impegnarsi nelle cause", spiega Eli Roth, "Ma molti, ad esempio nel caso di Ocupy Wall Street lo facevano perché era un bel modo per incontrare ragazze. Questo non è vero attivismo, premere un tasto non è uguale ad impegnarsi, ad essere attivisti".
Tema comune nei film di Roth è il viaggio, che di solito va sempre a finire male. "Ogni volta scrivo una sceneggiatura mi dico sarà diverso, ma ogni volta finisco per scrivere di giovani americani, borghesi, che cercano un’avventura, offendono la cultura locale e ne affrontano le conseguenze", ha detto il regista, "Adoro viaggiare. Da ragazzo ho viaggiato e lavorato in Francia, Russia e molti altri paesi, e ogni volta che tornavo in Massachusetts vedevo questi ragazzi viziati che si lamentavano di tutto, e allo stesso tempo non erano mai usciti dai confini dello stato. Io mi considero cittadino del mondo, e mi piacerebbe girare un film in Italia, mi piacerebbe immergermi nella vostra cultura".
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Presentato in Concorso anche il film italiano 'I Corpi Estranei' di Mirko Locatelli, con Filippo Timi.
Il film racconta di un padre (Timi) che arriva a Milano col figlio piccolo affetto da una grave malattia per affidarlo alle cure di un ospedale specializzato e salvarlo. Nello stesso reparto incontra un ragazzino di 15 anni emigrato dal Nord Africa. I due sono costretti a convivere e a condividere le loro diverse esperienze in quel piccolo microcosmo che è l'ospedale.
Il regista Mirko Locatelli in conferenza ha raccontato l'immagine che ha ispirato il film: "Siamo partiti da un’immagine che mia moglie mi ha sottoposto e che arrivava dalla sua memoria venti anni fa: un uomo solo con un bambino in braccio in un reparto di oncologia. Quest’uomo era solo un’immagine dalla quale siamo partiti. Abbiamo provato a immaginare una storia attorno a quell’uomo perché spostava l’attenzione, dal punto di vista delle fragilità, dal bambino all’adulto. Abbiamo scoperto che in certi casi i veri malati sono i genitori". Protagonista principale un intenso Filippo Timi che così ha raccontato la sua esperienza: "Io per etica penso che sia impossibile recitare quel dolore, soprattutto per un bambino, l’unica cosa che ho provato a fare è chiudere la porta di quel dolore. Non ho potuto recitare niente perché avevo a che fare con un bambino, il bambino doveva essere parte di una tragedia. Questo è il film più documentaristico che io abbia fatto, non mi sono mai preoccupato di recitare. E secondo me è un bell’approccio, a me non piacciono quegli attori che recitano perché vogliono dimostrare di essere i più bravi". E sul fatto di aver sorretto il film quasi tutto da solo? "Non me ne sono accorto, non mi preoccupo di quello, quando senti che una storia ti parla è già un regalo", ha risposto Filippo Timi, "Spendere del tempo, vivere in quella storia e per quella storia, è questo quello che mi occupava totalmente. E’ un caso avere una camera puntata addosso. Stanislawski diceva che non esistono piccoli ruolo ma piccoli attori, è un caso che sei il protagonista".
mercoledì 13 novembre 2013
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