C'è una cura quasi maniacale dell'accuratezza storica, dietro al fascino potente di The Witch. Robert Eggers, regista e sceneggiatore, ha illuminato le scene solo con luce naturale e candele, come si sarebbe fatto all'epoca, in un'atmosfera cupa e profondamente vera, ha preteso che ogni costume fosse cucito a mano, che la casa fosse costruita con materiali e tecniche all'ora in uso, persino alcuni dei dialoghi sono riproposizioni di quanto si può leggere nei resoconti reali di un tempo. Si viene sbalzati con forza all'interno di una dinamica familiare già consolidata, di fronte a personaggi in divenire, a una tragedia apparentemente senza spiegazione che trova risposte solamente nella Fede o nella visione distorta che di essa ne hanno i personaggi.
E così la scomparsa di un bambino crea streghe, che siano quelle misteriose che si annidano
nell'oscurità di un bosco minaccioso e troppo vicino, o streghe tangibili tra le mura di casa, di una ragazza che sta scoprendo se stessa per la prima volta e che mostra nei segni della prima femminilità un'inquietudine mai provata prima.
La disperazione di una madre diventa così follia incontrollata, la Fede in Dio si distorce in superstizione e inquietante fanatismo, le insicurezze di una condizione precaria diventano accuse reciproche, finché il crudo realismo lascia il posto al dubbio che forse, che sia nascosto fra l'oscurità del bosco o fra le mura di una casa, il Male si annidi davvero in attesa di sferrare il suo attacco finale.
Con una tensione che non si spezza mai e una raffinatezza visiva rara, The Witch riesce a innalzarsi oltre l'horror, mettendo in scena la paranoia e l'esasperazione in maniera cruda ed estremamente efficace.
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