sabato 9 marzo 2024

La Zona d'Interesse - la recensione

Presentato al Festival di Cannes 2023, dove ha vinto il Gran Premio Speciale della Giuria, La Zona d'Interesse di Jonathan Glazer è candidato a cinque premi Oscar 2024, tra cui miglior film, regia, e film straniero, categoria in cui è senza dubbio il favorito.

Un famiglia sta trascorrendo una giornata in riva ad un fiume, scherzano, passeggiano, fanno il bagno, per poi rientrare nella loro casa, pulita e ordinata. All'esterno dell'abitazione c'è un giardino che porta ad un altro giardino più grande, curatissimo, il vialetto, l'erba tagliata per bene, una piscina, l'orto con tanta varietà, le arnie con il miele, e tanti fiori. Un giardino a cui la padrona di casa tiene molto, a cui ha lavorato e continua a lavorarci per renderlo perfetto. Un lungo muro di mattoni delimita una parte di quel perfetto e pacifico giardino, dall'altra parte c'è il campo di sterminio di Auschwitz. La famiglia è quella di Rudolf Hoss, comandante del campo, impegnato e lodato per il suo impegno nel far funzionare tutto all'interno di quel luogo di orrore.

La Zona d'Interesse di Jonathan Glazer, tratto dall'omonimo romanzo di Martin Amis, non ha una vera e propria trama ma offre un punto di vista diverso con cui raccontare l'orrore dei campi di concentramento e del nazismo, cioè quello dei carnefici, che non sono diavoli col forcone ma persone comuni, ordinarie, anche banali e noiose, ma soprattutto totalmente distaccate dalla realtà, cieche e sorde verso quello che li circonda, e completamente svuotate della minima umanità. La signora Hoss è preoccupata solo del suo giardino e della sua casa, a cui tiene più di qualsiasi cosa, tanto che quando il marito viene trasferito, la donna non ha nessuna intenzione di lasciare quel posto, il luogo dei suoi sogni, quello che ha sempre desiderato fin da ragazza. La loro vita così ordinaria e "normale" diventa un incredibile paradosso nel momento in cui si comincia a capire cosa succede al di là di quel muro di mattoni. Il campo di sterminio è sempre lì, a due passi da loro, a due passi dalla loro quotidianità, ma per loro è tutto assolutamente normale, è un rumore di fondo a cui non prestano particolare attenzione.
Oltre la famiglia Hoss infatti, c'è un altro protagonista nel film: il rumore di fondo. Del campo di sterminio non vediamo praticamente nulla, i deportati si intravedono per un attimo, qualcuno passa velocemente nel giardino per portare delle cose, come i sacchi con i vestiti che la signora Hoss - assolutamente disinteressata dalla provenienza - si spartisce insieme alle altre, lo vediamo nella inquietante macchia grigia che trasporta le ceneri (e non solo) sul fiume e che interrompe la gita di Rudolf Hoss e figli. Per il resto, il campo è presente solo nei suoni e nei rumori costanti. L'unica a manifestare una minima reazione a quello che succede dall'altra parte del muro, è la madre della signora Hoss, che si chiede, anche con un po' di senso di rivalsa, se la donna a cui faceva le pulizie sia lì, e che la notte fatica a dormire davanti alla luce accecante dei forni sempre in funzione per smaltire quelli che vengono definiti come "i carichi". Ma la famiglia Hoss convive tranquillamente con urla, rumori metallici, spari, il rumore dei passi pesanti delle marce, suoni pesanti, dolorosi, drammatici, un paradosso allucinante che lascia un peso nello stomaco. Ed è proprio lo stomaco, nel finale, a dare un segnale a Rudolf Hoss, un segnale che viene dal buio che ha dentro ma che lui, talmente vuoto d'animo, non riesce a capire.

Una delle frasi più utilizzate per descrivere l'orrore e la disumanità del nazismo è "la banalità del male", una frase di Hannah Arendt, e Jonathan Glazer con questo film ce la mostra in tutta la sua asettica regolarità. È tutto molto geometrico, freddo, preciso, proprio come la regia di Glazer, proprio come la quotidianità della famiglia Hoss, proprio come i termini e i metodi utilizzati dai nazisti. Per tutto il film non ci si può non chiedere continuamente "ma com'è possibile?". Com'è possibile essere così privi di empatia, di morale, così distaccati, così disinteressati ad altri essere umani; come possono delle persone essere così ordinarie, noiose, banali, all'apparenza nomali, eppure così disumane? Sì, è possibile, è successo.

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