sabato 9 marzo 2024

American Fiction - la recensione

Candidato a 5 premi Oscar 2024, tra cui miglior film, attore protagonista e non protagonista, American Fiction ha saltato la sala in Italia per arrivare direttamente su Prime Video in questi giorni.

Thelonious Ellison, detto Monk, è un professore e uno scrittore afroamericano che si trova in un momento di frustrazione personale e professionale. Il suo ultimo libro non trova un editore che voglia pubblicarlo e intanto viene invitato a prendersi una vacanza dopo aver cacciato un'alunna dalla classe; controvoglia torna a casa a Boston per rivedere la famiglia, ma non c'è relax. La sorella muore all'improvviso, la madre ha l'Alzheimer, e il fratello è in un momento complicato dopo aver fatto coming out con conseguente divorzio. In tutto questo, preso da un momento di estremo fastidio verso l'editoria che boccia il suo libro mentre predilige e osanna testi piena di stereotipi, come quello del momento, che lui trova orribile ed è stato scritto da una afroamericana, Monk decide di scriverne uno, per scherzo, anzi per scherno, con un falso nome, e di intitolarlo (alla fine) "Fuck", più che un titolo, un messaggio. Il libro però conquista gli editori, gli offrono una cifra assurda per pubblicarlo e addirittura Hollywood si presenta alla sua porta. Monk, incredulo, si ritrova a dover gestire una identità fasulla con cui ha scritto un libro che rappresenta tutto quello che detesta, e anche a doverlo giudicare in un concorso letterario.

L'esordio in un lungometraggio di Cord Jefferson è una commedia amara e ironica che racconta il cortocircuito che viviamo oggi con la cosiddetta "cultura woke" che spesso si accartoccia su polemiche inutili e nasconde solo una forte ipocrisia, e il film la prende di mira fin dalla prima scena, quando Monk caccia dalla classe una alunna bianca che trova offensiva la "N word" nel titolo di un libro, e ostinatamente lo fa notare a Monk, che è nero e non si sente offeso perché è semplicemente il titolo di un libro. Il film prende apertamente in giro il "senso di colpa dei bianchi", che sia l'editoria o Hollywood, che si mostrano aperti alla diversità ma alla fine vogliono solo storie stereotipate con rap, crack, vita di strada e la polizia che ammazza un nero, ma colpisce anche gli afroamericani che si piegano a quelle richieste alimentando gli stereotipi di cui poi si lamentano, come il personaggio di Issa Rae, scrittrice acclamata che scrive quei libri che Monk disprezza ma che a sua volta critica il finto libro di Monk perché pieno di stereotipi. Cortocircuiti, circoli viziosi, che ormai sono all'ordine del giorno.
Il film ha poi una seconda faccia, quella della famiglia di Monk, una famiglia che, se fossero bianchi, verrebbe definita borghese, completamente diversa da quella raccontata dai classici stereotipi, e che sta vivendo un periodo di grandi cambiamenti ed enormi difficoltà. Meritata la nomination per la sceneggiatura (ed è il favorito per la vittoria), ma il film funziona meglio nella sua parte più satirica e graffiante verso l'editoria rispetto a quella più "normale" sulla famiglia.

Quello di Monk è un bel personaggio, un po' triste, malinconico, arrabbiato, sarcastico, ed è ottimamente interpretato da un bravissimo Jeffrey Wright, che si è meritato la nomination agli Oscar 2024 come migliore attore protagonista. Ma è ottimo tutto il cast, Sterling K. Brown, Erika AlexanderJohn Ortiz, che ha le battute migliori, e anche Tracee Ellis Ross, in un ruolo breve ma che resta impresso.

American Fiction non sarà un film memorabile ma è un buon film, scritto e interpretato molto bene. 

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