mercoledì 6 febbraio 2019

Il Primo Re - la recensione

Quando nel 2016 Gabriele Mainetti fece uscire il suo straordinario Lo Chiamavano Jeeg Robot tutti parlarono di grande rinascita del cinema italiano, di cinema di genere, di esplosione sul mercato internazionale. In questi anni la realtà è stata molto più contenuta, ma non sono mancati gli esempi positivi, come Garrone e Matteo Rovere, autore di un film originale (per l'Italia) come Veloce come il Vento. Eppure Rovere il suo grande azzardo doveva ancora compierlo: girare un film storico, con influssi dal mito, nientemeno che Romolo e Remo, la fondazione di Roma, per di più girato interamente in proto-latino, con uno sforzo produttivo enorme e rischi ancora più grandi. Resta da capire se la scommessa è stata vinta.


Siamo nel 753 a.C. e la vicenda segue i due fratelli Romolo e Remo, interpretati da un lanciatissimo Alessandro Borghi e Alessio Lapice, vicenda che fra sacrifici di sangue, boschi pieni di spiriti, paludi infinite e tribù sabine senza scrupoli, porterà a compimento il destino scritto dagli dei e alla fondazione di una città come non ne sono mai esistite e non ne esisteranno mai: Roma.

Si possono ritrovare varie influenze provenienti da diverse parti: nella fotografia, tutta di luce naturale, è impossibile non rinvenire richiami al miglior Terrence Malick (un applauso, davvero, a Daniele Ciprì), nelle scene di lotta fra tribù la mente torna subito a Mel Gibson e al suo Apocalypto, così come l'uso di una lingua morta nei dialoghi (scelta davvero coraggiosa per un paese in cui ancora il doppiaggio la fa da padrone), o ancora il mescolarsi di storia e mito che non può non ricordare quanto fatto in televisione da  Michael Hirst in Vikings. Eppure nonostante tutto non si ha mai l'impressione di già visto, grazie soprattutto alla storia, per quanto conosciuta, che non lesina i colpi di scena e i momenti epici, e alla componente visiva, vera punta di diamante del film. 
Degna di nota è la colonna sonora, di grandissimo impatto ed estrema importanza in una pellicola di questo genere, Andrea Farri mescola sapientemente archi e soprattutto percussioni con grandissimo fascino, e la musica sottolinea le scene alla perfezione.


Potere, famiglia, destino, sacro e profano, temi universali dell'epica classica messi in scena con grande coraggio da Matteo Rovere, a cui si perdona anche qualche ingenuità registica, perché produrre un colossal storico-mitologico, con protagonista uno degli attori sulla cresta dell'onda, e consegnarlo allo spettatore in una lingua che non si parla da più di 2000 anni, era un azzardo che poteva rivelarsi un disastro. E invece è una specie di miracolo. 

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