martedì 8 novembre 2022

Everything Everywhere All at Once - la recensione

Nel 2016 uscì un film su un uomo che, sull'orlo del suicidio, stringe una profonda amicizia con un cadavere.
Quel film era Swiss Army Man e nonostante la premessa assurda e grottesca conquistò pubblico e critica per come riusciva a essere genuinamente divertente, commovente e profondo senza mai dimenticare le sue basi totalmente nonsense.
Sei anni dopo i registi di quella piccola perla quasi sconosciuta, Daniel Kwan e Daniel Scheinert, i "Daniels" appunto, tornano con un nuovo film che vuole lasciare da parte le atmosfere intimiste di quella commedia dolceamara con Paul Dano e Daniel Radcliffe, per buttarsi a capofitto nell'argomento del momento, ovvero i multiversi.

Ovviamente questa non è la Marvel, e i Daniels decidono che nel loro assurdo e folle film sul multiverso ci dovrà essere proprio tutto, dalla commedia al thriller, dal demenziale più spinto fino al wuxia. Tutto, ovunque, tutto insieme, proprio come il titolo promette.

Parlare della trama non sarebbe solo riduttivo, ma anche deleterio, perché parte del piacere che se ne trae sta proprio nel districare a poco a poco le maglie della narrazione, che parte come una commedia famigliare per diventare presto qualcosa d'altro, per poi cambiare ancora e ancora e ancora, in un caleidoscopio di generi che letteralmente ingloba lo spettatore per risputarlo fuori due ore e mezza dopo frastornato e felice.

La sceneggiatura è brillante, piena di dialoghi dal ritmo serrato, dalle spiegazioni assurde e dalle trovate pazzesche (e geniali) eppure non perde mai di vista il focus dei suoi personaggi, il film non dà mai l'impressione di aver smarrito la rotta e sa esattamente di cosa sta parlando. Perché poi, alla fine di questo mirabolante sali-scendi, il film dei Daniels parla di una famiglia, di una storia d'amore, di rapporti fra genitori e figli, ma anche di riscatto sociale, delle difficoltà di essere un immigrato, di saper accettare se stessi e la strada che la vita ci ha posto d'avanti. Tanti temi tutti affrontati in maniera tutt'altro che superficiale.

Questo lo si deve in grande parte al lavoro di sceneggiatura e di regia, con trovate visive veramente inaspettate e a volte persino raffinate, ma anche a un cast che dona tutto se stesso e sembra divertirsi un mondo. Su tutti una grandissima Michelle Yeoh, credibile sia che si tratti di interpretare una donna sull'orlo di una crisi di nervi, una star del cinema o una cuoca dalle abilità sorprendenti. E fa piacere anche rivedere così in forma Ke Huy Quan, cioè Jonathan Ke Quan, che è impossibile non ricordare ragazzino in Indiana Jones e Il Tempio Maledetto e ne I Goonies, ma che in questo film sa essere allo stesso tempo marito dolce e remissivo e scaltrissima spia. C'è anche una divertentissima, e divertitissima, Jamie Lee Curtis nel ruolo di una impiegata dell'ufficio delle entrate, il cui ruolo nella storia è di quelli da scoprire e godere in sala.

Forse avrebbe giovato una maggiore asciugatura, qualche taglio nella lunga durata della pellicola, per avere un film più "quadrato", cosa che lo posiziona un gradino sotto al suo predecessore Swiss Army Man, ma è anche vero che l'esagerazione è talmente parte integrante di questo film che forse, alla fin fine, va bene anche così e le oltre due ore non stancano davvero mai.


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