Nella Francia feudale del 1386, il cavaliere Jean De Carrouges (Matt Damon) e lo scudiero Jacques Le Gris (Adam Driver) si sfidarono a un duello all'ultimo sangue a causa di una donna, Marguerite de Carrouges (Jodie Comer), moglie di De Carrouges che accusò Le Gris di stupro. Questo fu l'ultimo dei cosiddetti "Duelli di Dio" autorizzati dal Re di Francia, duelli in cui la colpevolezza e l'innocenza veniva decisa dalla volontà di Dio attraverso il duello all'ultimo sangue.
Ridley Scott prende questa vicenda storica e il romanzo che la racconta, The Last Duel scritto da Eric Jager, e ne fa una trasposizione perfettamente moderna per messa in scena e soprattutto per il modo in cui decide di mettere al centro della vicenda non tanto il duello che dà il titolo al film, quanto la violenza sulle donne, trattando il tutto con grandissima efficacia e senza retorica spicciola.
Come fece Kurosawa nel suo capolavoro Rashomon, la storia è raccontata dai tre punti di vista differenti dei tre protagonisti, ognuno dei quali con sfumature diverse sugli stessi eventi che riflettono le percezioni e i ricordi del soggetto. In una specie di gioco di specchi, in cui rivediamo la stessa scena dagli occhi prima del personaggio di De Carrouges e poi di Le Gris, arriviamo a chiederci quale sia effettivamente la verità, se Marguerite sia un angelo del focolare o una donna ammaliante, se De Carrouges sia un valoroso costantemente sottovalutato da tutti o un borioso e grezzo ignorante, se Le Gris sia un arrivista approfittatore o un brillante contabile con il gusto per la vita. È a questo punto che Scott però fa un salto ulteriore rispetto a quanto ci si potrebbe aspettare e ci offre il terzo punto di vista, quello della vittima, di Marguerite, dicendoci che la verità esiste ed è una sola, quella della vittima, quella di chi la violenza l'ha subita e la cui voce sembra essere messa in secondo piano rispetto all'orgoglio e all'ego dei due uomini. Se per suo marito o per il suo assalitore lei non è altro che un oggetto, che sia esso l'oggetto da difendere per ripulire l'onore oltraggiato o l'oggetto del desiderio di un amore ossessivo e malato, quando guardiamo la vicenda dagli occhi di Marguerite vediamo finalmente una donna a tutto tondo, con le due fragilità, le sue forze, i pregi e i difetti, e soprattutto vediamo finalmente il suo trauma e come ciò che le è successo influisce sulla sua vita. La sua, non quella degli uomini che la circondano.
Dal punto di vista tecnico non si piìuò che lodare la ricostruzione storica, dai costumi agli scenari, fino alla splendida riproposizione delle scene di battaglia, con uno dei più bei duelli uno contro uno che si siano mai visti al cinema. Anche la colonna sonora è splendida e riesce a essere sempre perfetta nell'accompagnare sia le scene più epiche che quelle più intime, con quelle note che richiamano più volte le melodie medievali a farla da padrone.
Ma se il film è così riuscito, oltre alla bellezza di regia e fotografia, il merito va soprattutto al trio protagonista. Se Matt Damon dà il meglio di sè con questo volto rovinato e quasi impettito, e Adam Driver giganteggia letteralmente con in'interpretazione fascinosa e allo stesso tempo raccapricciante, è sicuramente Jodie Comer a brillare più di tutti, infondendo alla sua Marguerite un'umanità fragile e granitica allo stesso tempo.
Dal post meToo in poi sono stati tantissimi i film che hanno cercato di dire la loro sull'argomento, ma davvero pochi film hanno centrato il tema come questa ultima fatica di Ridley Scott, e quasi nessuno lo ha fatto con una tale efficacia narrativa.