Disponibile su Netflix il nuovo film di Guillermo del Toro, Frankenstein, tratto dal celebre romanzo di Mary Shelley, un grande classico della letteratura ma anche del Cinema Horror.
La storia è nota, così come l'ossessione di Del Toro per Frankenstein, da quando, a 7 anni, vide il Classico del 1931, con Boris Karloff protagonista, per poi leggere il libro. Il regista ha inseguito questo progetto per anni e, guardando il film, si nota subito come questo sia un progetto a cui teneva particolarmente.
Visivamente il film è eccezionale, ogni scena è curata nei minimi dettagli, le scenografie in particolare sono davvero notevoli, sia nell'ampiezza, negli spazi aperti, che negli interni, e meritano un ulteriore elogio perché - in gran parte - sono scenografie vere, costruite, realizzate fisicamente e non con l'utilizzo di effetti speciali (che comunque ci sono). Ottimi anche i costumi e il trucco. Nel film ritroviamo tutti gli elementi tipici del regista messicano, che dà al film uno stile si potrebbe definire "gotico barocco steam punk". Molto bella anche la fotografia che accompagna la solida regia di Del Toro.
Se visivamente il film è davvero ineccepibile, dove zoppica invece è nella sceneggiatura e nella caratterizzazione dei personaggi. Del Toro ha covato il sogno di raccontare la propria versione di Frankenstein per così tanto tempo che, come spesso accade a chi per troppo tempo rimugina su una storia, alla fine ha perso un po' l'equilibrio del racconto. Il regista vorrebbe dire tante cose, affrontare molti temi, tra cui quelli cardine della storia di Frankenstein, dal rapporto padre-figlio al mito di Prometeo, al romanticismo, l'amore impossibile, il dolore, la morte, il rimorso, i rimpianti, che finisce con accennarli soltanto e passare da un tema all'altro, da un momento della storia all'altro, senza fluidità e senza approfondirne nemmeno uno, e questo in ben 2 ore e mezza di durata.
A pagarne le spese sono i personaggi, soprattutto quelli secondari. Oscar Isaac è bravo ma è davvero difficile empatizzare con il suo Victor Frankenstein, non attrae, non si prova simpatia per lui nemmeno per un momento, è logorroico, eccessivamente teatrale. Lo sviluppo del personaggio è troppo confuso, Victor dovrebbe essere mosso dalla sua ossessione, quella di sconfiggere la morte, il lavoro di una vita, su cui però cambia idea in un attimo e per motivi davvero futili, quasi per un capriccio. Ai limiti dell'inutilità il personaggio di Christoph Waltz, davvero molto piatto invece quello di Mia Goth, che invece nella storia dovrebbe avere un peso importante. La sua Elizabeth dovrebbe essere l'elemento scatenante, della gelosia e dell'amore, ma succede tutto così in fretta e viene raccontato in modo così superficiale e confuso, che non si capisce come possa essere così importante per i protagonisti. In questo quadro confuso di personaggi, a sorpresa, a convincere di più è Jacob Elordi, sepolto sempre sotto un pesante trucco, l'attore fa il suo e lo fa bene. Nota di merito, in particolare, per la sua performance a livello vocale, e per apprezzarlo è necessario vedere il film in lingua originale.
Frankenstein, versione Guillermo Del Toro, decisamente poco horror ma più gotica, è un film che ha delle grosse pecche nel racconto ma riesce, in parte, a nasconderle e a colpire lo spettatore con la sua grande forza visiva. Davvero un peccato che sia stato relegato ad una uscita in streaming, un film del genere, con questa cura per l'immagine, le scenografie e la fotografia, meritava il grande schermo e, onestamente, è triste che lo stesso regista non si sia imposto per avere un'ampia distribuzione in sala. A rimetterci alla fine è il film stesso, le cui immagini vengono soffocate da una banale visione in streaming, e non importa quanto sia grande o definita la tv, sarà sempre più piccola e meno coinvolgente di una proiezione sul grande schermo, nel buio di una sala cinematografica.
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