martedì 4 novembre 2025

After the hunt - la recensione

Alma Himoff (Julia Roberts), docente di filosofia all’università di Yale, in procinto di ottenere una cattedra, è molto stimata da colleghi e studenti, tra cui l’assistente Hank (Andrew Garfield) e la dottoranda Maggie (Ayo Edebiri) che, entrambi in competizione per la sua attenzione, si lanciano frecciatine reciproche: lui definisce la generazione di lei troppo rigida, mentre Maggie lo invita a non generalizzare. Sebbene Alma sia spesso colpita da dolori improvvisi, sceglie di non confidarsi con il marito Frederick, che la accudisce con premura ma la considera impenetrabile, se non addirittura insensibile. Quando Maggie si presenta a casa della professoressa sostenendo di essere stata molestata da Hank, Alma si ritrova divisa tra l’empatia verso la studentessa e il desiderio di preservare la propria immagine di paladina delle donne, e la volontà di concedere al suo assistente il beneficio del dubbio, mentre un insistente ticchettio di metronomo sembra scandire l’imminente resa dei conti nell’era del #metoo e della correttezza politica. 


Dopo gli eccessi glaumor di Challengers e le visioni oniriche e psichedeliche di Queer, Luca Guadagnino cambia totalmente registro affrontando il thriller psicologico dai toni freddi e raffinati, cercando di mixare all'interno di uno stesso film la lotta generazionale, una riflessione sulla cancel culture e il mistero derivante dal dover ricostruire la verità attraverso molteplici punti di vista.

Quello che si ottiene è un risultato che però risulta essere più confusionario che pulito e più didascalico che interessante, a tratti forse anche pedante nel modo in cui i protagonisti continuano a ripetere il concetto più e più volte. Da un certo punto di vista Guadagnino cerca di dirci che la verità è difficile da afferrare, che non è mai così netta come la nostra epoca - dove regna sovrana la polarizzazione delle opinioni, il doversi necessariamente schierare 'a favore' per non venir bollati automaticamente come 'contro' - vuole farci credere. Purtroppo però in più punti si ha quasi l'impressione di stare assistendo a un classico discorso "da boomersu come non si possa più dire niente. Peccato perché era interessante la riflessione sulla cancel culture portata agli estremi e sull'attivismo performativo, e con un pizzico di sfumatura in più ne poteva nascere qualcosa di controverso e ficcante.

Nulla da dire invece dal punto di vista tecnico, con una regia sempre elegante e soprattutto un cast notevole, guidato da una grandissima Julia Roberts in grande spolvero, una Ayo Edebiri che è ormai in ascesa e Andrew Garfield sempre una garanzia in queste occasioni. 

Sicuramente non parliamo di una pellicola totalmente da buttare, le più di due ore di film non annoiano mai, ma non si tratta del film più memorabile della carriera del regista.


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