lunedì 10 dicembre 2018

Mowgli - Il Figlio della Giungla - la recensione

Doveva uscire nel 2016, lo stesso anno del bellissimo film Disney diretto da Jon Favreau, ma forse è meglio che sia uscito solo ora, a fine 2018 sulla piattaforma Netflix, perché il confronto con lo strapotere tecnico e creativo Disney avrebbe ingiustamente affossato un film che, nonostante i suoi limiti (soprattutto negli effetti visivi), riesce a toccare le corde giuste e dire qualcosa di importante e profondo.


Lontano dalla spensieratezza Disney e dalla magnificenza realistica della ricostruzione in CGI che quella trasposizione aveva proposto, Andy Serkis si avvicina maggiormente allo spirito e all'anima che animava i racconti di Kipling
La giungla è scura, crudele anche con i propri abitanti, governata da una legge assoluta a cui tutti devono sottostare per poter sopravvivere al suo interno, dagli enormi elefanti ricoperti di vegetazione e dalle zanne spezzate, fino alla crudele tigre Shere Khan (un monumentale Benedict Cumberbatch), astuta, melliflua, ma ugualmente segnata, con una zampa mutilata.
Anche Mowgli, ragazzino alle soglie della pubertà, si ritrova a vivere in questo ambiente spietato, diviso fra il suo essere uomo e il suo essere lupo, senza essere però davvero nessuno dei due. I suoi maestri sono Bagheera e Baloo, in una inedita versione molto meno giocosa, doppiati da Serkis stesso e da Christian Bale, quasi crudeli nel loro addestrare il giovane cucciolo d'uomo a una vita che sarà per lui tutt'altro che facile.
E' interessante come nel racconto di formazione che ne deriva, più che l'aspetto più puramente narrativo (il film zoppica un po' quanto a intreccio, non sempre chiarissimo, non sempre fluido), è il paesaggio stesso della giungla a diventare preponderante, rendendo sfumate le divisioni classiche fra buoni e cattivi, riuscendo con grande forza a restituire la sensazione cruda e spietata del passaggio dall'infanzia all'adolescenza, fino all'età adulta, senza edulcorare nulla e senza risparmiare anche scene di un certo impatto.

Come ci ricorda il serpente Kaa, con la splendida voce di Cate Blanchett, la legge della giungla è inflessibile e tutti gli abitanti devono rispettarla per poter sopravvivere, ma è anche fragile ed è solo comprendendola, e accettando la nostra vera natura, che si può davvero sperare di non soccombervi.
Il cucciolo d'uomo ci riesce ed è questa profonda comprensione che lo porta a crescere, così come è questa visione intima, dall'impronta fortemente autoriale, che permette al film di Serkis di non sfigurare affatto di fronte a produzioni di più alto prestigio.

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