Tratto da una storia vera, Joy (Lawrence) è una donna divorziata, con due figli, una famiglia allargata, disastrata e negativa sulle spalle e un ex marito con cui è in ottimi rapporti ma che vive ancora in casa sua. Stanca della sua vita piena di delusioni e incoraggiata dalle parole della nonna, Joy decide di seguire il suo istinto per risollevare la sua condizione e trovare finalmente la gioia. Inventa una scopa, un particolare mocio che si strizza da solo, un'idea semplice e funzionale, ma riuscire a venderla non è facile. Tra la negatività della sua famiglia, ricatti, delusioni, umiliazioni e tante difficoltà, Joy riuscirà a creare un vero e proprio impero.
Quella di Joy è una classica storia "dalle stalle alle stelle", ma più che alla vera Joy Mangano, sembra che David O. Russell si sia ispirato a Cenerentola. Fin da subito il regista ci presenta la protagonista impegnata in faccende domestiche, piegata a terra per pulire o aggiustare qualcosa, sempre con i vestiti macchiati, con un lavoro poco soddisfacente, una famiglia che le complica le cose, c'è addirittura una sorellastra invidiosa sempre pronta ad andarle contro e una rassicurante voce narrante (quella della nonna). A questo insolito ma indovinato parallelo, il regista aggiunge quegli aspetti che, nel bene o nel male, caratterizzano il suo cinema.
La prima parte di Joy è in pieno stile O. Russell: c'è il kitsch, cioè capigliature esagerate e abbigliamenti fuori luogo; c'è il grottesco, rappresentato in una famiglia insopportabile e macchiettistica; e ci sono i dialoghi sovrapposti e incasinati, con vari personaggi che si parlano addosso e creano caos intorno alla protagonista. Non contento dei suoi soliti ingredienti, il regista aggiunge dei momenti quasi onirici, dei flashback e dei sogni che rendono il quadro ancora più grottesco. Poi il film improvvisamente cambia, abbandona il suo lato più tragicomico per diventare più lineare, quasi un classico biopic. E qui c'è il primo grosso problema. Joy è un film incoerente e incerto. Nel cambiare improvvisamente registro, dal grottesco al lineare, David O. Russell tradisce se stesso. Se il film fosse rimasto fedele ai toni della prima parte, forse sarebbe stato più difficile e meno "commerciale", ma sarebbe stato sicuramente più onesto; allo stesso modo, se fosse stato tutto più lineare come la seconda parte, probabilmente sarebbe stato più convincente e solido. Incerto su cosa fare (o forse era proprio questo che voleva fare, meglio non chiederselo), O. Russell ha creato un ibrido che alla fine risulta poco convincente.
Il secondo problema viene dall'uso dei tanti personaggi di contorno presenti nel film. Nella prima parte, il regista li caratterizza bene, dà ad ogni personaggio una sua forma ben precisa e un piccolo spazio in cui agire - una madre malata di soap opera, un padre negativo che cerca vedove fra gli annunci, un ex marito fallito ma buono, ecc - ma poi, nella seconda parte, se li dimentica completamente. Un peccato perché alcuni di loro avrebbero meritato una sorte migliore, soprattutto i personaggi di Isabella Rossellini, Virginia Madsen e Diane Ladd. Meno positiva la prestazione di Robert De Niro, a cui il regista chiede più smorfie che recitazione.
Terzo e ultimo problema: perché David O. Russell continua ad "usare" Jennifer Lawrence in ruoli in cui non è adatta? L'attrice nel film è onnipresente, compare in tutte le scene e, con uno sforzo ammirevole, riesce a portare avanti il film praticamente da sola. Jennifer Lawrence nel film è brava, non eccede mai, anche se tutto quello che ha intorno si fa grottesco e sopra le righe, lei riesce sempre a mantenersi equilibrata, ma, onestamente, quanto può essere credibile la Lawrence nel ruolo di una donna divorziata e con due figli a carico e un passato pieno di delusioni?
La speranza è che Jennifer Lawrence, attrice giovane e di indiscutibile talento, a lungo andare non rimanga impantanata nei ruoli che O. Russell le propone.
Tra i tanti difetti c'è anche del buono in Joy, il film ha un'ottima fotografia, una buona colonna sonora, un'estetica particolare, alcune scene sono registicamente ottime, come quella nello studio televisivo, ma sono solo lampi che non salvano un film confuso che alla fine convince poco.
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