Dopo mesi e mesi di ritardo a causa del fallimento della precedente casa di distribuzione italiana, Fury, nuovo film di guerra con Brad Pitt, arriva finalmente nelle sale.
Aprile 1944, Seconda Guerra Mondiale, gli Alleati sono già sbarcati e puntano decisi verso Berlino. La guerra è al suo culmine. I carri armati tedeschi sono superiori a quelli americani ma c'è chi tiene duro, tra questi il carro armato "Fury" del sergente Don "Wardaddy" Collier e del suo equipaggio, soprannominati "Bible", "Gordo", "Coon-Ass". Una squadra affiatata a cui si unirà il giovane e inesperto "Machine". Il carro armato "Fury", alla testa dei pochi cingolati rimasti, viene mandato dietro le linee nemiche, verso un paesino isolato, per difendere un importante crocevia. Una volta rimasti soli con il loro carro armato, decidono di restare a combattere fino alla fine.
Pregi e difetti per il quinto film di David Ayer. Fury si rifà palesemente ai grandi classici dei film di guerra americani. Spogliato di tutto, alla base della trama c'è un'idea molto semplice: il rapporto fra esseri umani, in una situazione estrema come la guerra, vista da un luogo claustrofobico come l'interno di un carro armato. Fury è un film tradizionalista, patriottico, violento, "sporco" ed eroico, ma non sempre Ayer riesce a dosare bene gli ingredienti. Eccedere nella violenza, con visi spappolati e corpi schiacciati, non significa automaticamente rendere il film più realista, così come allungare troppo le parentesi di intimità in contrasto con i modi rudi e "ignoranti" dei soldati, non sempre aumenta l'emotività di una scena. L'impressione è che, in alcuni punti della storia, Ayer si sia fissato più sulla voglia di provocare una reazione nel pubblico, attraverso immagini forti e sanguinolente, piuttosto che sullo sviluppo della storia, che procede a strappi per tutta la durata del film.
Un vero peccato l'andamento incerto perché sotto il punto di vista tecnico il film è davvero ben fatto, e nelle parti in cui le scene sono supportate dalla sceneggiatura, la pellicola funziona bene. Molto bella la fotografia, ottimi gli effetti visivi e sonori.
Il vero punto forte del film però sono i protagonisti, capitanati da un Brad Pitt - ancora un po' tenente Aldo Raine (Bastardi Senza Gloria) - solido e convincente nei panni di un uomo al comando angosciato dal suo ruolo. Accompagnato come sempre dalla sua grande presenza scenica, Pitt offre un'interpretazione che ricorda molto i protagonisti dei film di guerra americani degli anni '50/'60.
Accanto a Pitt troviamo Michael Pena e Jon Bernthal, nei panni di "Gordo" e "Coon-Ass", dei cinque sono i personaggi meno approfonditi ma i due attori offrono delle interpretazioni convincenti, entrambi capaci di lasciarsi alle spalle il ruolo da "macchietta" che la sceneggiatura, nelle sue sottotrame poco riuscite, sembra volergli cucire addosso.
Davvero molto bravo Logan Lerman, un attore giovane che sta dimostrando di essere in grado di adattarsi a ruoli e generi diversi. Nel film interpreta con grande intensità l'ultimo arrivato, "Machine", soldato arruolato come tipografo che si ritrova dentro un carro armato, senza un minimo di esperienza e riluttante nel voler uccidere. Cambierà presto idea grazie al sergente Collier in una delle scene più riuscite del film. Complimenti a parte li merita Shia LaBoeuf, attore di cui purtroppo si è parlato troppo per fatti privati e poco per le sue capacità. LaBoeuf è molto bravo e a volte si rischia di dimenticarlo. Intenso e "spirituale" - non a caso il suo soprannome è "Bible"-, calato anima e corpo nel personaggio, nel film offre una delle sue migliori interpretazioni in assoluto.
Alla fine, grazie a un cast più che indovinato e ottime scene di guerra, Fury riesce a coinvolgere lo spettatore, purtroppo però non riesce a mantenersi su un livello alto per tutta la sua durata. Ayer in alcuni momenti si perde, ed è un peccato. Rimane un buon film che però aveva i presupposti per essere qualcosa in più.
lunedì 1 giugno 2015
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