La storia ci ha insegnato che di fronte a progetti come Alice in Wonderland o Alice Attraverso lo Specchio (e molti altri) l'approccio giusto da usare è quello del non aspettarsi - e non pretendere - un prodotto più o meno fedele all'opera da cui è tratto. È stato così con il primo capitolo diretto da Tim Burton e lo stesso vale anche per il sequel appena uscito nelle sale diretto da James Bobin (I Muppet).
Alice Attraverso lo Specchio è un prodotto interamente originale basato su personaggi provenienti da due celebri opere letterarie. Fatto che uno spettatore informato dovrebbe sapere. Detto questo, passiamo ad esaminare il film con la premessa appena fatta.
Alice Kingsleigh, dopo aver intrapreso un viaggio ai confini del mondo, come visto alla fine del primo film, torna in patria sicura di sé e con un bagaglio culturale più ampio. Il suo ritorno, tuttavia, implicherà dei cambiamenti, imposizioni a cui la giovane non è disposta a piegarsi. Nello stesso momento una via "attraverso lo specchio" la riporterà nel suo amato Sottomondo per compiere una missione ben precisa: salvare il Cappellaio. Un'inevitabile corsa contro il Tempo farà da cornice ad una nuova evoluzione della giovane eroina impavida e spericolata.
Non brilla Alice Attraverso lo Specchio, come non brillava (non in senso stretto) Alice in Wonderland. Se nel primo capitolo si riuscivano però ad apprezzare alcune “licenze creative e poetiche” originali, e di base intriganti, in questo (forzatissimo) sequel si assiste alla distruzione di un mondo cinematografico già azzoppato in partenza. Il colpo di grazia, per così dire. La storia risulta poco interessante e sviluppata in maniera sbrigativa (per non dire infantile), e man mano che va avanti nulla riesce a toglierci dalla mente una cosa: È tutta una perdita di Tempo. Bizzarro perché il perno del lungometraggio è proprio il Tempo, un personaggio in carne ed “ingranaggi” con le fattezze di un Sacha Baron Cohen baffuto e vagamente intrigante, almeno nella prima parte, ma che inevitabilmente dispensa frasi fatte e dialoghi prevedibili. Prevedibili come le sorti dell'intera storia, animata da viaggi nel tempo e scenari passati che coinvolgono tutti i personaggi del film e che dovrebbero chiarire (?) la mitologia di Sottomondo e svelare retroscena più o meno rilevanti, o almeno è quello che dovrebbero fare.
Qualcosa non funziona. Il target di riferimento non è certo l'uomo adulto. Un bambino potrebbe apprezzare la semplicità della situazione (nei limiti), ma cosa rimarrebbe nella sua mente? Probabilmente un'accozzaglia di personaggi in CGI tanto irreali quanto piatti (nel primo film parevano almeno avere una coerenza interna vagamente accettabile) che potrebbero rispondere ai nomi di Pincopanco, Pancopinco, la Lepre Marzolina, il Ghiro, Lo Stregatto, il cane Bayard e tutti gli altri. Quelli in carne ed ossa, come il Cappellaio Matto, la Regina Rossa e la Regina Bianca (visibilmente invecchiati anche sotto 5 mm di cerone), spezzano ogni illusione già precaria e instabile con una caratterizzazione regredita rispetto al passato. Come già ribadito, qualcosa non funziona.
È colpa della sceneggiatura? degli effetti? del reparto tecnico? della regia? Probabilmente, come spesso accade, la colpa è dell'industria cinematografica, la quale non prova pietà di fronte all'occasione di guadagno facile. Non è una critica, assolutamente. L'industria cinematografica vive anche di questo, ma tra un mucchio di banconote e l'altro, un po' di cuore, anche solo un pizzico, non farebbe male.
martedì 31 maggio 2016
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