venerdì 27 aprile 2012

'Diaz, don't clean up this blood' - la recensione


Attonito. Non so se c’è un aggettivo adatto per descrivere la sensazione che lascia la visione di Diaz, ma attonito è forse quello che si avvicina di piĂ¹. 

Anche chi era ben informato sui fatti, non puĂ² non essere colpito dalla rappresentazione sul grande schermo del tragico G8 di Genova. SarĂ  che la memoria è ancora fresca e che giustizia non è ancora stata fatta. 

Diaz non è un film che vuole cercare i colpevoli, non è un’inchiesta, è un film che mostra dei fatti senza dare interpretazioni, perchĂ© quando si tratta di violazione dei diritti umani non c’è bisogno di interpretare niente. 

Oltre l’aspetto emotivo, il film è ben strutturato e il piĂ¹ possibile imparziale nei punti di vista. La narrazione dei tragici eventi della scuola Diaz viene infatti ripresa tre volte nel film: dalla parte dei manifestanti, dalla parte dei poliziotti e dalla parte di chi era fuori e cercava di capire cosa stava succedendo. 

Il cast funziona bene, nel momento in cui riesce nell'intento di coinvolgere lo spettatore dentro la vicenda. Spicca fra tutti la magnifica interpretazione di Jennifer Ulrich, giĂ  protagonista nell'ormai cult L’Onda. La regia svolge un compito impeccabile, il coinvolgimento è quasi totale, il dolore del film diventa il dolore nello spettatore. 

Il rischio della retorica in un film come Diaz era dietro l’angolo, ma il regista con un’operazione sapiente l’ha evitata. Niente effetti facili, l'azione è limitata a pochi spazi definiti, sappiamo il minimo indispensabile dei personaggi. E' questa dimensione tutta in soggettiva, oltre all'eccellente ricostruzione (molte riprese sono di repertorio), a dare al film una forza e una dignitĂ  straordinarie. Daniele Vicari non lancia accuse: lascia parlare i fatti. All'atrocitĂ  si aggiunge lo sbalorditivo vuoto di potere in cui tutto si consumĂ².


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