mercoledì 24 febbraio 2016

Il Ponte delle Spie - la recensione

Passato per lo più inosservato (è uscito infatti lo stesso giorno dell'Episodio VII di Star Wars), Il Ponte delle Spie è l'ultimo film di Steven Spielberg e la nuova collaborazione tra il regista e Tom Hanks.
Siamo in piena Guerra Fredda e il pittore Rudolf Abel è accusato di essere una spia sovietica. Contro il parere della sua famiglia e contro la stessa opinione pubblica, l'avvocato di Brooklyn James B. Donovan accetta di difenderlo, trovandosi suo malgrado invischiato in uno scambio di prigionieri tra il Governo degli Stati Uniti e quello Russo.


La prima parte del film è estremamente affascinante, impregnata di una certa atmosfera quasi alla Hitchcock e serve principalmente a presentare il protagonista. Donovan è un personaggio di una tipologia tipicamente spielberghiana, un giusto, un uomo incrollabile che ha fatto del suo mestiere, l'avvocato, uno stile di vita e una religione, che accetta di difendere qualcuno non perché convinto della sua innocenza, ma perché convinto che sia giusto garantire una difesa a chiunque. Tom Hanks è perfetto nel ruolo di uomo integerrimo, volto affidabile, con una incrollabile fede nella giustizia, ma a spiccare davvero nella prima ora di film è l'interpretazione controllata di Mark Rylance, ambiguo e affascinante, personaggio da cui ci si sente naturalmente attratti, proprio come succede al protagonista.
Da un certo punto in poi il racconto cambia e le atmosfere si fanno maggiormente narrative, la trama più articolata, i giochi di potere tra i due schieramenti più presenti. Qui esce fuori il talento di Spielberg come narratore per immagini, a colpire maggiormente sono proprio le singole scene e il modo in cui sono girate, quasi a voler esprimere attraverso il visivo ciò che sono i sentimenti dei personaggi di fronte alla Storia e alla crudeltà. A questo proposito è molto bella e significativa la ricostruzione della Berlino Est di quegli anni, con il Muro che iniziava a divenire realtà, la neve ad ammantare le ingiustizie in cui Donovan cammina quasi incredulo, fino ad un finale agrodolce e in un certo senso circolare.

Un film solido, potente e corposo, non certo un capolavoro, né il migliore che Steven Spielberg abbia mai girato, ma comunque un film di altissimo livello, e non è cosa da tutti.

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