mercoledì 17 febbraio 2016

Il Caso Spotlight - la recensione

Nel 2001 la squadra giornalistica "spotlight" del Boston Globe, guidata dal nuovo arrivo Marty Baron, inizia un'indagine atta a svelare gli abusi sessuali perpetrati da oltre 70 sacerdoti della Arcidiocesi di Boston ai danni di minori e il ruolo delle Autorità Ecclesiastiche nell'insabbiare la vicenda.



Un po' documentario, un po' film d'inchiesta, un po' melodramma, il film rimane per tutta la sua durata  indeciso su cosa vuole realmente essere, senza riuscire ad andare mai davvero a fondo in nessuna delle tre caratteristiche principali: l'indagine è condotta in modo non sempre chiaro e non è facile districarsi tra nomi, date e luoghi, la componente prettamente giornalistica invece tiene bene ed è solida e sotto questo aspetto Spotlight è uno dei migliori film del genere. Dove però fallisce abbastanza clamorosamente è nella componente più puramente emotiva, in quanto per tutte le due ore non si riesce mai davvero ad empatizzare per nessuno dei personaggi, non si va mai a fondo in una introspezione psicologica, praticamente rimangono degli sconosciuti per lo spettatore, nonostante un paio di volte si cerchi di scuoterlo emotivamente con scene in cui è la loro coscienza più profonda a parlare.
L’intera pellicola è retta e portata avanti dal suo cast stellare e dalle interpretazioni di altissimo livello di Michael Keaton, Rachel McAdams e soprattutto un sempre più istrionico Mark Ruffalo, che dimostra ancora una volta il suo grande talento e la facilità con cui è riesce a spaziare tra i generi.

Non siamo di fronte a un grandissimo film, ma nemmeno a un brutto film, semplicemente Spotlight scorre via senza lasciare mai davvero il segno se non per la portata della vicenda di cui racconta.

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