domenica 20 settembre 2015

Southpaw - la recensione

Ennesimo capitolo del "matrimonio" tra cinema e boxe, Southpaw, diretto da Antoine Fuqua, ci racconta la caduta e la risalita di un pugile.

Billy Hope (J.Gyllenhaal) è il campione imbattuto dei pesi medio-massimi. E' ricco, ha una famiglia unita, una moglie, Maureen (R.McAdams), conosciuta ai tempi dell'orfanotrofio, che lo sostiene, soffre insieme a lui dietro l'angolo, e cerca di convincerlo a dire basta con la boxe. Billy è indeciso ma i dolori e le ferite riportate durante l'ultimo durissimo incontro, che lo ha confermato campione, lo spingono a dare retta alla moglie. Una pallottola vagante sparata durante un rissa con un pugile che lo aveva provocato, cambia per sempre il corso della sua vita. Sua moglie muore, perde i soldi, la casa, gli portano via la figlia, così Billy dovrà cercare di ricominciare da zero e tornare sul ring per chiudere i conti con tutto.

Discesa e risalita, toccare il fondo più sporco e poi risalire con la sola forza d'animo, temi non nuovi nell'universo del cinema pugilistico. Trovare un'idea originale nel genere è praticamente impossibile, Rocky ha già detto tutto quello che c'era da dire, e l'ha fatto in modo epico e perfetto, e se non bastasse c'è anche un capolavoro come Toro Scatenato a chiudere le porte all'originalità in questo specifico genere. Questo però non significa che non si possono più fare film sulla boxe, lo sport più cinematografico di sempre, tutto sta a raccontare e affrontare nel modo giusto temi e situazioni già viste, come ha fatto ad esempio Clint Eastwood con il suo bellissimo Million Dollar Baby. Antoine Fuqua in Southpaw ci riesce a metà, e la parte più riuscita non è merito suo.

Scappare dagli stereotipi del genere è impossibile? e allora Fuqua decide di usarli tutti. La storia del film ha uno svolgimento piuttosto prevedibile? allora il regista opta per la mano pesante - come è nel suo stile, tra l'altro - decidendo di puntare tutto su dei "pugni emotivi" per cercare di colpire e stendere lo spettatore piuttosto che su una generale costruzione della storia e dell'ambiente intorno al protagonista. Questa scelta provoca degli strappi nell'andamento, momenti in cui si enfatizza e si carica, e altri in cui si tira avanti in modo un po' superficiale; alla fine si ha la sensazione che, dal punto di vista della storia, della sceneggiatura e dell'approfondimento di alcuni punti, si poteva fare meglio. Discorso diverso per le scene di combattimento e di allenamento, ben girate e coinvolgenti.

Punto di forza del film è sicuramente il cast. Il sempre più bravo Jake Gyllenhaal è assoluto protagonista del film, presente praticamente in tutte le scene e trasformato fisicamente da chili di muscoli (dopo la magrezza inquietante raggiunta in Nightcrawler), la sua grande carica emotiva e la presenza scenica risollevano il film ogni volta che comincia ad accasciarsi da un lato. Un'interpretazione molto intensa che coinvolge e riesce a trascinare lo spettatore nella storia. Molto bravo anche Forest Whitaker, che con un personaggio appena accennato, e che entra in scena solo a metà film (un po' troppo tardi), riesce comunque ad incidere in modo evidente. Nel cast anche Rachel McAdams, Naomie Harris e 50 Cent.

Non diventerà un punto fermo nel genere dei film sulla boxe, ha sicuramente tanti difetti, ma alla fine Southpaw non annoia affatto, e in un modo o nell'altro, usando temi e situazioni sicuramente già viste, toccando corde già testate per stimolare la sensibilità dello spettatore, grazie a un ottimo protagonista, e grazie a uno sport che al cinema rende tantissimo, riesce a coinvolgere. Alla fine però resta anche il dubbio che, con un regista diverso, più equilibrato, avrebbe potuto essere qualcosa in più.

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