Mark Shultz (Tatum), campione olimpico di lotta, viene contattato da un uomo mandato dal miliardario John du Pont (Carell), che vuole creare e allenare una squadra di lotta che tenga alto l'onore degli USA ai mondiali di lotta e alle Olimpiadi.
Nonostante le perplessità del fratello di Mark, Dave (Ruffalo), anche lui campione di lotta e vera leggenda della specialità, Mark accetta, anche per cercare di uscire dall'ombra del fratello, e si trasferisce nella enorme tenuta di famiglia dei Du Pont. Il rapporto tra Mark e John du Pont evolve nel tempo e ben presto Mark si troverà di fronte alla vera natura del suo coach: un uomo solo, molto patriottico, pressato e influenzato dal giudizio dell'anziana madre, sociopatico e fortemente disturbato. Mark si lascerà trasportare in un vortice autodistruttivo e a risentirne saranno le sue performance sul tappeto. L'arrivo del fratello, chiamato e convinto ad unirsi alla squadra dallo stesso Du Pont, farà precipitare ancora di più la situazione, portando alla luce sempre di più i disturbi psicologici di Du Pont, fino alla tragedia.
La storia è tratta da fatti realmente accaduti, Mark e Dave Shultz, entrambi campioni olimpici, sono stati delle vere leggende della lotta libera. Il film è l'adattamento della biografia "Foxcatcher. Una storia vera di sport, sangue e follia", scritto dallo stesso Mark Shultz.
Foxcatcher non è un "film sportivo", non lo era nemmeno Moneyball, ma non è neanche un semplice racconto cronologico. Bennet Miller ha scelto la via più difficile, o meno convenzionale, decidendo di raccontare non gli eventi ma i personaggi, la psicologia, il malessere e, nel caso di John du Pont, la follia. Per farlo il regista usa un ritmo compassato, a tratti lento, pochi dialoghi e un'atmosfera cupa e fredda che risulta efficace nel dare quel senso di soffocamento in cui sembra vivere e voler imporre il personaggio di Du Pont, ma allo stesso tempo crea un distacco tra lo spettatore e i personaggi rendendo difficile il coinvolgimento emotivo.
Ottimo il trio di protagonisti. Il sociopatico John du Pont è interpretato da Steve Carell, quasi irriconoscibile sotto chili di trucco (a cui però bisogna abituarsi). Una performance sorprendente e molto inquietante quella di Carell, che di solito siamo abituati a vedere in ruoli comici o brillanti ma che ha dimostrato di essere in grado di interpretare anche personaggi molto sfaccettati (vedere Little Miss Sunshine per credere). Meritata la nomination agli Oscar 2015. Ottima anche la prova di Mark Ruffalo, che nel film interpreta Dave Shultz, dei tre è quello con meno spazio ma l'attore riesce a incidere in modo deciso sul film. Anche Ruffalo nominato all'Oscar 2015 meritatamente. A rimanere un po' schiacciato nel mezzo è Channing Tatum, cioè Mark Shultz, calato anima e corpo nel personaggio, ma l'attore offre una performance convincente. Nel cast sono presenti anche Sienna Miller e Vanessa Redgrave.
Miller attraverso la storia del film cerca di fare una parabola sull'America, visto come un paese che elegge i propri campioni come eroi per poi dimenticarli e lasciarli cadere nell'indifferenza. Da una parte l'erede miliardario di una delle famiglie più importante d'America che è alla disperata e ossessiva ricerca di un riconoscimento - trofei, medaglie - che lui, in prima persona, non potrà mai avere e che quindi cerca di conquistare attraverso gli altri; dall'altra un atleta vincente ma che viene costantemente affiancato e paragonato alla figura del fratello, anche lui vincente, che l'ha cresciuto e allenato ma che gli fa ombra. Due personaggi molto distanti che si trovano, si avvicinano pericolosamente, morbosamente, per poi distaccarsi in modo netto e irrecuperabile. Fra queste due figure s'intromette quella di Dave, mosso da affetto vero vero il fratello minore e da una profonda serietà nell'affrontare il suo mestiere e il suo sport. Un'integrità che pagherà a caro prezzo.
Foxcatcher non è un film facile da affrontare, il risultato finale è ottimo, tecnicamente ineccepibile, ma un po' freddo.
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