[Oscar 2015] Boyhood - la recensione
Boyhood è un film molto particolare, non tanto nelle tematiche affrontate, quanto nella realizzazione stessa. Boyhood è la vita di Mason Evans, del rapporto con i genitori divorziati, sua sorella e i nuovi compagni della madre, seguita per dodici anni, da quando Mason ne ha cinque fino alle soglie dell'età adulta.
Richard Linklater, regista del film, ancora una volta fa della realtà, oltre che del realismo, il suo filo conduttore, ma si spinge ancora più oltre rispetto a quanto fatto con Prima dell'Alba e i suoi sequel, riunendo il cast per dodici anni ogni anno al fine di rappresentare la crescita e l'invecchiamento reali.
Boyhood è un film che all'inizio può far paura, con le sue quasi tre ore di durata in cui non si hanno grandi avvenimenti, nessun grande dolore come nessuna speciale gioia, ma è un film di cui non si vorrebbe mai la fine, perché le gioie e i dolori sono quelli della vita, il desiderio di vedere come va a finire si trasforma nel purissimo desiderio di continuare a far parte della quotidianità di Mason e della sua famiglia, così come lo si desidera di una persona cara, un amico o un familiare.
Quando il cinema diventa uno strumento così potente diventa persino superfluo lodare la splendida fotografia, le musiche o le performance del cast (Patricia Arquette, Ethan Hawke ma soprattutto Ellar Coltrane) perché quello che si vede non è solo recitazione.
Boyhood è un film che va visto, vissuto, assaporato, un capolavoro come ve ne sono pochi altri, che parla al cuore dello spettatore come solo la vita vera sa fare.
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