domenica 12 marzo 2023

The Whale - la recensione

Charlie (Brendan Fraser) è un professore di lettere pesantemente obeso, depresso, che vive recluso nel suo appartamento senza alcun contatto con l'esterno ad esclusione di Liz (Hong Chau), un'infermiera che va a trovarlo ogni giorno per assicurarsi che non muoia, e Ellie (Sadie Sink), la figlia adolescente con cui vorrebbe riallacciare i rapporti dopo otto anni. Persino il fattorino delle pizze non lo ha mai visto, limitandosi a lasciare la pizza sull'ingresso e a ritirare i soldi dalla buca delle lettere. Gli studenti di Charlie conoscono solo la sua voce, infatti lui tiene le sue lezioni da remoto, adducendo come scusa la webcam rotta.


Il film diretto da Darren Aronofsky, e tratto dallo spettacolo teatrale di Samuel D. Hunter (qui anche sceneggiatore), potrebbe ricordare per sommi capi un altro film del regista di qualche anno fa, cioè The Wrestler, in quel caso avevamo un wrestler costretto fuori dal ring per motivi di salute che cerca di adattarsi a una vita normale e di riallacciare i rapporti con la figlia, preferendo poi tornare sul ring consapevole che questo porterà alla sua morte.

Nel caso di The Whale, però, il tutto è estremamente più riuscito e meno didascalico, risultando molto più emotivamente coinvolgente. Il setting molto teatrale della casa di Charlie è claustrofobico e richiama le quinte di un palcoscenico, con gli attori che sembrano doversi fare strada attraverso corridoi e cunicoli per arrivare sul palco, rappresentato dal soggiorno dove Charlie passa la maggior parte del suo tempo. Abbiamo inoltre i consueti simbolismi tipici dei film di Aronofsky: il corpo di Charlie è la trappola in cui lui stesso si è rinchiuso, il suo mangiare è l'impulso autodistruttivo che mette in atto coscientemente, il suo lento e inesorabile suicidio è frutto del lutto profondissimo che lo ha colpito e da cui non riesce a riprendersi. Charlie vede se stesso come un mostro e decide di trasformarsi in quel mostro. La balena a cui il titolo fa riferimento è Moby Dick, il mostro, appunto, del romanzo di Melville più volte citato nel corso della pellicola, ma è difficile capire se Charlie sia la balena o se sia Achab, perché è difficile capire chi dei due sia alla fine il vero essere mostruoso in cui lui si identifica.

L'intera vita di Charlie, giunta ormai alla fine, è da lui vista come un lento e inesorabile scivolare verso l'abisso della mostruosità, un susseguirsi di errori, la prova del suo essere una persona indegna di amore, persino di quello di sua figlia che infatti ha abbandonato quando era bambina e che gli porta un rancore che Charlie sente di meritare e che sembra quasi aver cercato.

Interamente basato sui dialoghi e sui silenzi, il film si regge sulle spalle di un incredibile Brendan Fraser: sotto il trucco prostetico, l'attore canadese regala la performance della vita, i suoi ansimi, la sua fatica, sono la colonna sonora che ci accompagna in maniera sempre più angosciante nella spirale di dolore del protagonista, ma nonostante la drammaticità del tutto, Fraser non va mai oltre, non esagera mai, anzi, regala una interpretazione dove è la speranza e la positività di quest'uomo fragile e forte allo stesso tempo il vero leitmotiv. 

Premi vinti fin qui assolutamente meritati, chissà che non valga a Brendan Fraser una statuetta ai prossimi Oscar, sancendo definitivamente la rinascita di un attore di cui sentivamo la mancanza.

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