giovedì 14 aprile 2022

The Northman - la recensione

Con soli due film all'attivo, Robert Eggers si è già imposto sulla scena come uno dei registi più interessanti degli ultimi anni. Dopo l'horror atipico di The Witch e l'incursione nelle atmosfere claustrofobiche e inquietanti del gotico espressionista in The Lighhouse, ecco che Eggers cambia ancora una volta ambientazione e si spinge nell'epica vichinga, con un film che già dalle premesse è più accessibile al grande pubblico rispetto ai precedenti, e forse per questo più ambizioso, anche perché Eggers non cede mai alla tentazione di rinunciare al suo modo peculiare di fare Cinema.

Il principe Amleth (Alexander Skarsgard) figlio del re Aurvandil (Ethan Hawke), assiste impotente alla morte di suo padre per mano dello zio Fjölnir (Claes Bang) che ne usurpa il trono e rapisce la regina Gudrùn (Nicole Kidman) per farne sua moglie. Il giovane Amleth fugge per salvarsi la vita, ma da quel momento la sua intera vita sarà votata alla vendetta. Anni dopo, torna nella sua terra natia, accompagnato anche dalla giovane Olga (Anya Taylor-Joy) incontrata durante il viaggio, per compiere il suo destino, vendicare suo padre e salvare sua madre.


Come avvenuto per tutti i suoi film precedenti, anche il The Northman abbondano le citazioni artistiche, in particolare i rimandi letterari. Il primo e più evidente è senza dubbio quello all'Amleto shakesperiano, non solo perché il protagonista ne condivide il nome, e in un certo senso il desiderio di vendetta, ma anche a un livello più profondo, il rapporto con il padre, e soprattutto con la madre, ha molti punti in comune con la tragedia inglese.

L'altro grande punto di riferimento letterario riscontrabile nel film è senza dubbio il Beowulf, il poema medievale sull'eroe che uccide il drago. Il nome Beowulf vuol dire letteralmente "lupo delle api", un modo poetico per riferirsi all'orso, mentre Amleth, il protagonista della pellicola, viene chiamato proprio orso-lupo, perché facente parte dei guerrieri Berserkr. Questi erano una casta guerriera vichinga che scendevano in battaglia invasati dallo spirito di Odino e che entravano in una sorta di trance ed estasi, una vera e propria metamorfosi nel loro animale spirituale. Anche Amleth assume spesso questa doppia natura, umana e animalesca, incarnando lo spirito tanto del lupo, richiamo primordiale al padre, che all'orso, simbolo di forza e ferocia. Alexander Skarsgard subisce quindi una vera e propria trasformazione anche fisica, perdendosi nel ruolo e lavorando anche sul corpo e la postura, dove il selvaggio prende il sopravvento sulla ragione e la violenza esplode in tutta la sua ferocia.


Come avvenuto anche in The Witch e in The Lighthouse, reale e soprannaturale si fondono in un mix di suggestioni, misticismo, rimandi mitologici e folkloristici. 

Una storia tutto sommato lineare, quella di un figlio che vuole vendicare suo padre, ma che grazie alla regia di Eggers diventa qualcosa di più. Le lunghe riprese a camera singola, l'uso della luce naturale, i primissimi piani sui volti dei personaggi, rendono le scene di battaglia quasi surreali, come se non si stesse assistendo a un racconto storico ma a una storia, il racconto epico di un bardo in cui gli dei esistono, Odino compare sul campo di battaglia per indicarci la via e il guerriero viene posseduto dallo spirito dell'animale diventando un tutt'uno con esso. Ogni colpo inferto, ogni emozione provata, ogni espressione del cast, è cruda e viscerale, la musica stessa sembra venire da dentro la pancia dello spettatore. 

Non solo Alexander Skarsgard dà una performance brutale e selvaggia, ma anche gli altri attori coinvolti sono perfetti e non si riesce a immaginare nessun altro in quei ruoli.


Da un lato The Northman è un film più accessibile al grande pubblico rispetto ai precedenti di Eggers, perché la storia che racconta è una storia universale e perché la narrazione è meno contorta e visionaria, dall'altro però, per molti aspetti, questo è un film più completo e compatto, che va dritto al punto delle emozioni che vuole trasmettere ma allo stesso tempo non ha paura di osare e di usare il simbolismo a cui Eggers ci ha abituati.

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